Parlane con lui… O con lei? O forse solo con te stesso/a

**10 Ottobre**

“Parlaci, Livia… O forse con lei? O semplicemente con me stessa?”

— Livia, per favore… Si farà male là fuori! — la voce di mia madre tremava per le lacrime.

— Mamma, perché dici così?

— Lo sai bene! È ancora un ragazzino! — quasi gridò Giulia.

— Ha venticinque anni. Tra un mese. Un ragazzino… — Livia si trattenne, soffiando piano nel telefono per non urlare. — Va bene. Gli telefonerò…

Chiuse la chiamata e si morse il labbro.

“Arturo, Arturo… Tutto ruota intorno a lui. E io? Sono solo un personaggio di sfondo, una comparsa nel loro dramma. Livia è matura, Livia è indipendente, Livia non piange, quindi non soffre. Nessuno mi chiede mai come sto, cosa succede nella mia vita…”

— È iniziato tutto dopo la morte di papà — raccontò Livia all’amica Anita, girando il cucchiaino nel caffè.

— Dolore, stress, nostalgia — annuì Anita. — Ma sono passati due anni…

— E infatti! Eppure lei si è aggrappata a lui, ad Arturo, come a un salvagente. Ora la sua unica ragione di vita è lui. È come se si fosse resettata.

— E tu?

— Io? — Livia sorrise amaramente. — Io ci sono, ma non conto. Con mio fratello ha un legame speciale. E va bene, se non fosse diventata un’ossessione malata. È più piccolo di me solo di due anni, eppure lei lo tratta come un neonato: lo nutre, lo protegge, legge i suoi pensieri…

— Forse assomiglia a papà?

— Tutti gli assomigliavano, anche nelle vecchie foto di scuola. Io, invece, devo avere un DNA diverso.

Livia aveva ventisette anni. Lavorava in uno studio legale, affittava un monolocale in un vecchio palazzo vicino alla stazione Termini. La vita sentimentale? Piatta. Dopo due relazioni finite male, aveva deciso di lasciar perdere per un po’ e concentrarsi su se stessa.

Arturo era diverso. Da bambino era svogliato, distratto, pigro. A scuola faceva fatica, si era iscritto a una facoltà “dove non serviva la matematica”. Papà, quando c’era ancora, aveva parlato con lui da uomo a uomo, e alla fine si era deciso, anche se controvoglia.

Poi la morte di nostro padre. Improvvisa, devastante. Mamma si era spezzata in due. Malattie, medici, lacrime, medicine, preghiere. Il lavoro quasi andato in rovina. E in tutto questo, Arturo era diventato la sua unica consolazione.

Il ragazzo del conforto. Anche se ragazzo non lo era più da tempo.

Si era trovato un lavoro. Portava a casa pochi soldi, ma almeno cenava sempre con noi, per poi sprofondare nella poltrona davanti al computer. Lì era la sua vita. Poi, tutto cambiò quando arrivò Alina.

A Capodanno, Livia era andata da sua madre. Arturo, con lo sguardo fisso sul telefono, chattava. Sorrideva goffo, borbottava frasi a caso. Livia capì: era innamorato. E per una volta, si rallegrò.

Ma nostra madre era tesa.

— Se lo vedessi! — si lamentò Giulia quando rimasero sole in cucina. — Prima non lo tiravi giù dal letto, ora lavora come un matto. Sabato e domenica fa straordinari, la sera resta in ufficio. Tutto per Alina! Tutto per il “futuro”. Vuole comprarle un anello, fiori, portarla al ristorante… Ha pure iniziato a risparmiare! Non voglio presentarmi a mani vuote, dice…

— Mamma, cosa c’è di male se vuole diventare grande? — Livia la guardò confusa. — Lo hai sempre voluto.

— Ma non così! Viaggiano dappertutto! Montagne, kayak… Tutto estremo! E se succede qualcosa? Rimango sola io…

— Non puoi tenerlo in una bolla — scosse la testa Livia. — Sta vivendo. È normale.

Passò altro tempo. Livia era a pranzo in un bar, la forchetta nel minestrone, quando sul telefono apparve il nome “Mamma”. Sospirò e rispose.

— Non è rientrato ieri, Livia! Capisci?! È andato da lei, certo, ha avvisato… ma speravo non restasse là…

— Ha quasi venticinque anni, mamma. È un adulto. È normale che abbia una relazione…

— Per me è un bambino! Non ho dormito tutta la notte. Parlaci tu, ti prego. A me non dà retta. Ma a te sì.

Livia espirò. Promise, ovvio. Ma si chiese: ne vale la pena? Forse dovrei parlargli come un’adulta a un adulto. O forse, niente discorsi. Se la caverà da solo.

Poi arrivarono nuovi drammi. Cavalli. Corsa. Catastrofi inventate dalla mente di nostra madre.

— Si romperà il collo! — piangeva al telefono. — O la schiena! Alina cavalchi pure, ma lui perché?!

E poi, l’escursione. In autunno. Con tende e sentieri di montagna.

— Si congelerà tutto! — urlava Giulia. — Ha le difese basse! E se incontra un orso? Una zecca? Livia, parlaci tu! Solo te ascolta!

— Sai — si sfogò Livia con Anita — ormai non sono più sua sorella, ma un centralino tra due fuochi. Lei dice: digli così. Lui risponde: di’ a mamma che… Io, in mezzo!

— Forse si trasferirà presto? — disse pensierosa Anita.

— Gli ho detto: sposati e vattene. Più lontano possibile. Riposati. Da lei.

Poi, tutto tacque.

Mamma smise di chiamare. Niente più richieste, niente lamentele. Livia si preoccupò. Telefonò lei.

— Come stai, mamma?

— Tutto bene, cara. Solo che Arturo e Alina hanno chiuso. Lei si è stancata. Adesso c’è un altro. E lui soffre.

— Capisco…

— È di nuovo qui a casa. Sta seduto. Si rattrista. Computer… Ma almeno non beve. E comunque è vicino. Sarò egoista, ma mi sento più tranquilla. È di nuovo qui, Livia… Esattamente come suo padre… Io lo amo ancora, sai. E piango ogni sera.

Tre mesi dopo, Arturo chiamò da solo.

— Passiamo da te con Natalia? Voglio presentartela.

Livia rise.

— Venite pure.

Ma dentro di sé pensò: “E ricomincia. Mamma impazzirà di nuovo. Piangerà. Telefonerà. Si agiterà. E io, tra l’altro, devo ancora presentarle il mio fidanzato…”

A fine mese, lei e Sergio avrebbero fatto un viaggio. In montagna. E già le veniva da tremare al pensiero: cosa succederà se mamma lo scopre?

“E inizierà a preoccuparsi anche per me. E se cado da cavallo? O mi gelo in tenda? E se avrò un figlio, e lei si aggrapperà a lui?”

Livia si sedette sul letto e sussurrò piano:

— Dio, quanto è complicato tutto questo…

Si diede un pugno sul ginocchio e pianse. Perché amava troppo. Sia sua madre che suo fratello. E voleva solo che smettessero… di avere così paura. Di amare senza perdersi.

Forse il punto è proprio questo. Parlare… non con lui, non con lei. Con me stessa. E darmi il permesso di essere felice.

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