**Diario – 15 Ottobre**
Avevo sempre paura del divorzio. L’idea che il mio matrimonio potesse finire mi sembrava un incubo lontano, qualcosa che non mi avrebbe mai toccata. Credevo davvero che tra me e mio marito tutto andasse bene, che fossimo una di quelle coppie che resistono agli anni, alla routine, alle difficoltà. Avevamo una bellissima figlia, Beatrice, io un mio studio di architettura a Firenze, lui lavorava come infermiere in una clinica privata. Vivevamo una vita tranquilla, ordinaria, e pensavo felice.
Poi, un giorno, tutto cambiò.
All’inizio pensavo fosse solo un periodo difficile. Andrea tornava a casa sempre più tardi, giustificandosi con turni pesanti, lavoro extra. Si irritava per le sciocchezze, rifiutava le mie proposte di passeggiata, non mi ascoltava più. Quando, tra le lacrime, gli chiesi cosa stesse succedendo tra noi, mi rispose stanco: «Sono esausto. Non mi lasci nemmeno respirare. Smettila di aggrapparti a me».
Mi chiusi in me stessa. Stavo più zitta, uscivo da sola la sera, cenavo in silenzio. Lui spariva all’alba e rientrava a notte fonda. Come un estraneo.
Il mio cuore sapeva: non era solo. Ma scacciavo quei pensieri. Finché non sentii la conversazione che mise fine a tutto.
Ero appena rientrata da una passeggiata quando lo udii parlare in camera:
«Amore, ti prometto che lascerò tutto. Aspetta solo un po’. Non arrabbiarti, Clara… per favore, non riattaccare…»
Mi gelai. Poi crollai in cucina, in un pianto disperato. Dentro di me, tutto esplose. Lui non si giustificò. Non spiegò nulla. Fece la valigia in silenzio e se ne andò. Da lei. Dalla sua «amata» giovane.
E io rimasi. In un appartamento vuoto, con le foto alle pareti che ritraevano una volta una famiglia. I mesi passavano lenti come secoli. Non riuscivo a mangiare, dormire, lavorare. Anche Beatrice, pur provando a sostenermi, non riusciva a colmare quel vuoto. A volte i clienti mi invitavano per un caffè, mi facevano complimenti. Io rifiutavo educatamente. Credevo di non poter più amare nessuno.
Poi arrivò lui. Marco. Un uomo distinto, poco più che cinquantenne, sicuro di sé, curato, con una voce calma e uno sguardo attento. Ci commissionò il progetto per un nuovo ufficio. E non seppi dirgli di no. Non al lavoro, non alle chiacchierate. E poi, non alle cene, alle passeggiate, alle carezze.
Quando l’ufficio fu pronto, Marco mi invitò all’inaugurazione. Una serata di musica, risate e vino leggero. Rimanemmo soli fino a tardi… Al mattino mi svegliai tra le sue braccia. Per la prima volta dopo tanto tempo, non sentivo dolore. Mi sentivo desiderata. Senza maschere, senza doveri.
Non era semplicemente un uomo. Divenne la mia roccia, il mio ossigeno. Con lui, tornai a respirare.
Qualche giorno dopo, incontrai Andrea. Era sulla soglia di casa mia. Lo stesso di sempre. Ma negli occhi, l’incertezza.
«Scusami, Giulia. Sono stato un idiota. Clara… era solo una ragazzina. Credevo di volere una vita nuova, ma tu eri tutto ciò che avevo di vero».
Lo guardai senza rabbia. Senza dolore. Solo stanchezza. Perché ora sapevo: la felicità non è nel riprendersi chi ci ha traditi. Ma nel ritrovare se stessi.
«Andrea, è tardi. C’è già qualcuno con cui sono felice».
Se ne andò. Solo. E sapevo che ora era lui ad avere paura della solitudine. Come una volta l’avevo avuta io.
Io e Marco ci sposeremo presto. Poi partiremo per quel viaggio che sognavo da giovane, ma che non avevo mai avuto il coraggio di fare. Ora il coraggio ce l’ho. E l’amore anche.
A volte la vita ci spezza solo per darci la possibilità di ricominciare. Non con chi ci ha traditi, ma con chi ci ha scelti. Persino senza conoscere il nostro dolore.