La vita continuerà, davvero, se quel bambino innocente di tuo marito, la piccola Lucia, finirà in un orfanotrofio?
Era domenica, avrebbe potuto dormire fino a tardi. Ma Giulia si stirò, scostò il lenzuolo e si alzò. Si lavò il viso, preparò un tè fumante e lo sorseggiò lentamente mentre osservava dalla finestra il cortile grigio, alberi spogli e pozzanghere residue dopo la pioggia. Il cielo era un manto compatto di nuvole, e sembrava che da un momento all’altro potesse cadere una pioggerellina gelida.
Ma doveva uscire, almeno per buttare la spazzatura. Era stanca di rimanere chiusa in casa a compatirsi. Nulla sarebbe cambiato, Marco non sarebbe tornato. Quando muore una persona cara, è come se una parte di te morisse con lui. Giulia sentiva quel vuoto dentro, che per quanto cercasse, non riusciva a colmare. Il tempo non guarisce, seppellisce il dolore più in profondità, cancella i ricordi. Era stanca di soffrire, di quel peso sul cuore, delle lacrime. Ma come si poteva vivere senza Marco? Per cosa?
Si erano conosciuti all’università, al primo anno. Era seduto accanto a lei durante una lezione. Un ragazzo sorridente, con gli occhi pieni di curiosità, proprio come i suoi. Poi, avevano corso insieme lungo i corridoi cercando le aule, e insieme si erano catapultati in mensa durante la pausa.
Al quinto anno, si capivano senza bisogno di parlare, come una coppia sposata da decenni.
*”Come farò senza di te? Non riesco neanche a immaginarlo. Dopo gli esami, ognuno andrà per la sua strada. Senti… e se non ci lasciassimo?”* le aveva chiesto Marco un giorno, con un sorriso incerto.
*”E cosa mi stai proponendo?”* aveva replicato Giulia, fingendo indifferenza.
*”Sposami,”* aveva sbottato lui.
*”Questa è una proposta?”* aveva sussurrato lei, seria. *”Pensavo che non avrei mai sentito queste parole da te. E adesso, eccomi qui… e ti dico di sì.”*
*”Davvero?”* Marco aveva illuminato la stanza con il suo sorriso.
*”E di che ti rallegri? Per sposarsi non bastano una proposta e la voglia di stare insieme. Ci vuole l’amore.”*
*”In questi anni siamo diventati una cosa sola. Chi ti dice che non ti ami? E tu… mi ami?”*
Giulia se lo era chiesto mille volte, e ogni volta la risposta era stata *sì*. Sarebbe morta, se Marco si fosse innamorato di un’altra. Si erano sposati alla fine di agosto. Lei viveva con i genitori, lui era arrivato a Milano da un paesino in provincia per studiare.
Le loro famiglie si erano tassate e avevano comprato un monolocale per i due giovani. Senza neanche parlarne, decisero di aspettare ad avere figli. A Giulia sembrava tutto così irreale, quasi un gioco. Ma il tempo passò, vissero felici. Due anni dopo, Marco e il suo amico Luca aprirono una piccola attività in proprio.
Giulia non volle rischiare, rimase al suo vecchio lavoro. Se le cose fossero andate male, almeno avrebbero avuto uno stipendio. Ma Marco e Luca ce l’avevano fatta. Giulia si unì a loro, occupandosi della contabilità per evitare sorprese.
Due anni dopo, comprarono un ampio appartamento, una macchina, viaggiavano all’estero una o due volte l’anno. Tornavano con valigie piene di foto e video. Dopo la morte di Marco, Giulia cancellò tutto dal computer. Non poteva guardarle senza scoppiare in lacrime.
Ricordava ogni minimo dettaglio di quel giorno maledetto. Era domenica. Stavano facendo colazione. Improvvisamente, il telefono di Marco squillò, e lui si preparò in fretta.
*”Dove vai?”* gli aveva chiesto.
*”Luca ha fatto un pasticcio, un cliente vuole ritirare i soldi. Vado a sistemare.”* L’aveva baciata sulla guancia ed era uscito. Se solo avesse saputo che era l’ultima volta che lo vedeva. Nessun presentimento. Poi si era pentita di averlo lasciato andare da solo.
Un’ora dopo, la polizia chiamò per dirle che Marco era coinvolto in un incidente e che doveva raggiungere l’ospedale. Chiamò subito un taxi. Se Marco fosse morto, glielo avrebbero detto subito. E Giulia continuò a credere che fosse vivo, finché l’ufficiale che l’accolse non la accompagnò all’obitorio per il riconoscimento.
Con la morte di Marco, la vita di Giulia era finita. Luca si occupò dei funerali, le disse di prendersi tutto il tempo necessario, di non affrettare il rientro al lavoro.
Quel mattino, Giulia indossò qualcosa di diverso. Era tutto il giorno in pantaloncini e maglietta, così come piaceva a Marco. *Sei bellissima così,* le diceva.
Erano passati più di due mesi. Era ora di uscire da quella tana. Giulia doveva riprendersi. Ora possedeva metà dell’azienda di Marco. Domani era lunedì, era il momento di fare il primo passo. Se non ce l’avesse fatta, avrebbe offerto a Luca di comprarle la sua parte, sarebbe andata in vacanza e avrebbe trovato un altro lavoro.
Uscì, portando con sé un sacchetto della spazzatura. Fuori, l’aria non era così fredda come sembrava dalla finestra. Gettò il sacchetto e decise di fare una passeggiata. Quando cominciò a sentire freddo, entrò in un negozio e ne uscì con un vestito blu genziana. Non aveva resistito. Doveva pur presentarsi al lavoro in qualcosa di nuovo, e i suoi vecchi vestiti le stavano larghi come degli stracci.
La sua amica Francesca una volta le aveva detto: *Se fossi morta io e non Marco, lui non si sarebbe rinchiuso in casa a piangere.* Giulia le aveva dato ragione. Marco avrebbe sofferto, ma avrebbe continuato a lavorare, perché l’azienda aveva bisogno di lui. Gli uomini sono diversi, meno sensibili.
Il giorno dopo, Giulia arrivò in ufficio e ricevette complimenti, sguardi di compassione e bisbigli alle sue spalle. C’erano così tanti documenti da firmare che le faceva male la mano. All’inizio li leggeva attentamente, ma poi, stanca, iniziò a scorrere le pagine senza approfondire.
Tornò a casa in autobus. La macchina di Marco dopo l’incidente era irrecuperabile. A un certo punto sentì caldo e scese due fermate prima, decidendo di tornare a piedi. Un venticello faceva svolazzare la sua sciarpa leggera. Stava attraversando il parchetto vicino a casa quando…
*”Eccola, tutta elegante. Con tutti i soldi che ha preso dal marito, come non vestirsi bene? E che le importa se un bambino muore di fame?”* sentì alle proprie spalle. Si fermò.
Su una panchina, una donna di circa settant’anni la fissava.
*”Parla a me?”* chiese Giulia.
*”A te, e a chi altro?”* la donna guardò intorno. *”Non c’è nessun altro qui.”*
*”Mi conosce?”*
*”Sei Giulia Maria Rovelli. Marco Antonio Rovelli era tuo marito. Giusto? Allora parlo con te.”* Gli occhi neri della donna la trafiggevano.
*”E di quale bambino che muore di fame parla?”* Avrebbe dovuto andarsene, ma la curiosità ebbe la meglio. Si avvicinò.
*”Il bambino di tuo marito,”* disse la donna, sogghignando.
*”Cosa sta dicendo? Io e Marco non abbiamo figli,”* replicò Giulia, sempre più convinta diGiulia afferrò il biglietto con l’indirizzo della ragazza, il cuore le batteva forte, mentre la verità cominciava a sgretolare ogni certezza che le era rimasta.