«Pensavo che non saresti venuto…» — una storia di ritorno

«Pensavo che non saresti venuto…» — una storia di ritorno

Quando Andrea tornò a casa dal lavoro, lasciò cadere la borsa per terra e, dopo essersi tolto le scarpe, si diresse in cucina:

— Che c’è per cena? — chiese, come al solito.

Elietta non si voltò nemmeno.

— Niente. Ma non importa. Oggi ho parlato con la padrona di casa. Le ho detto che ce ne andiamo a fine mese.

Andrea si bloccò.

— Cosa? Avevamo detto che non avevamo ancora trovato un’altra soluzione.

— E perché cercare? — gli rispose con un sorriso, voltandosi verso di lui. — Ci trasferiamo… dalla tua ex moglie, Irene.

Lui cadde sulla sedia, sbalordito.

— Elietta, sei impazzita?

— Assolutamente no. Sei stato tu a dire che metà appartamento è ancora tuo. Risparmieremo, ho già trovato un asilo per Tobia nelle vicinanze, e i negozi sono a due passi.

Andrea sentiva il fiato mancargli. Da tempo non si sentiva padrone della sua vita. Il lavoro pagava meno, il progetto edile su cui contava era stato rimandato, e i soldi scarseggiavano.

Con Elietta le cose andavano male da mesi. Lei era più giovane, esigente e abituata al lusso. Una volta, questo lo affascinava. Adesso, lo svuotava.

Esitò a lungo, ma alla fine chiamò Irene.

— Abbiamo dei problemi. Abbiamo bisogno di un posto per qualche mese.

— È anche casa tua, Andrea. Naturalmente, vieni pure — rispose lei, calma.

Quando arrivarono, Elietta osservò l’appartamento e arricciò il naso, scontenta:

— Troppo buio — disse, entrando in casa con le scarpe. — Ma può andare.

Irene sopportò in silenzio. Ma quando si trattò della cucina, impose delle regole:

— Si pulisce a turno. Ognuno cucina per sé. Il frigo è condiviso, ma con ripiani separati.

Elietta sbuffò:

— Non siamo venuti qui per obbedire a delle regole!

— E noi non abbiamo aperto un pensionato — replicò Irene, senza alzare la voce.

Il mese seguente fu un incubo. Elietta continuava a provocare Irene, suggerendo che se ne andasse. Ma Irene resisteva. Andrea taceva, perché sapeva di essere colpevole.

Un giorno Irene annunciò:

— Vado dai miei genitori. Mi riposerò. Vi prego solo, non rovinate la casa.

Elietta a malapena tratteneva la gioia. E il giorno dopo riprese a parlare:

— Ho ordinato un progetto di design, scelto un nuovo pavimento… bisogna pagare.

Andrea perse la pazienza:

— Ma sei pazza?! Non ne abbiamo mai parlato. Non ti do un euro!

— E chi sei tu per decidere? — ribatté lei. — Non sei più un marito, solo un portafoglio che ormai è vuoto.

Quella sera fece le valigie.

— Io e Tobia partiamo per Siracusa. Se vuoi riportarci indietro, vieni pure. E porta i soldi.

Andrea estrasse senza parole la carta di credito e gliela lanciò nella borsa.

— Vedrò mio figlio la domenica.

Quando la porta si chiuse alle loro spalle, Andrea sentì per la prima volta da anni una strana libertà. Si avvicinò alla finestra e fissò a lungo il fiume.

Una settimana dopo, Irene tornò. Silenziosa, come sempre. Lui sentì l’acqua scorrere nel bagno e corse, incurante del fatto che qualcuno fosse di nuovo in casa.

— Scusa… — mormorò quando la vide.

Lei entrò in cucina, e lui, senza girarsi, disse:

— Credo di amarti ancora.

— Anch’io, Andrea. Ma non si torna indietro. Solo ricominciare da capo.

— Sono pronto — sussurrò.

— Pronto lui… — rise lei, scuotendo la testa. — Immagino che dovrò mantenerti di nuovo. Allora? Hai fame?

— Certo. Non mangio dalla mattina.

— Allora sbuccia le patate. Qui, siamo abituati a farci tutto da soli.

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