Mi chiamo Anna Bianchi. Quando ne avevo ventinove, trovai lavoro come addetta alle pulizie nella villa dei signori Rossi, una famiglia benestante di Verona. Ero vedova: mio marito morì in un crollo di un edificio in costruzione e l’unica cosa che mi rimaneva era il mio bambino di quattro anni, Marco.
Chiesi a Signora Rossi di assumermi. Mi guardò intensamente e disse:
— Puoi cominciare domani, ma il piccolo deve stare sempre nella zona più arretrata della casa.
Annuii, non avevo alternative. Vivevamo in una stanza piccola, con il tetto che perdeva, su un unico materasso. Ogni giorno spolveravo i pavimenti di marmo, lucidavo i bagni e pulivo dopo i tre figli viziati della signora. Nessuno mi guardava negli occhi, tranne mio figlio. E lui mi ripeteva ogni giorno:
— Mamma, ti costruirò una casa più grande di questa.
Insegnai a Marco a contare con il gesso sui vecchi mattoni. Leggeva giornali logori come se fossero libri di scuola. Quando compì sette anni, implorai la signora Rossi:
— Per favore, lasci che vada a scuola con le sue bambine. Lavorerò di più e pagherò di più dal mio stipendio.
Lei scoppiò a ridere:
— I miei figli non si mescolano con i figli del personale di servizio.
Allora lo iscrissi a una scuola pubblica del nostro comune. Marco camminava due ore a piedi ogni mattina, a volte scalzo, e non si lamentava mai. All’età di quattordici anni vinse concorsi in tutta la regione; una giurata britannica lo notò e ci aiutò a ottenere una borsa di studio per il Canada, dove fu accettato in un prestigioso programma scientifico.
Quando riferii la notizia a Signora Rossi, il suo volto impallidì:
— Quel ragazzo… è tuo figlio?
— Sì. È lo stesso che cresceva mentre io pulivo i vostri bagni.
Anni dopo il signor Rossi ebbe un infarto e sua figlia, Ludovica, ebbe bisogno di un trapianto di rene. La famiglia perse quasi tutto in pochi mesi. I medici dissero: “Vi servono specialisti dall’estero.”
Allora arrivò una comunicazione dal Canada:
— Mi chiamo dottor Marco Bianchi. Sono un chirurgo trapiantologo e posso aiutare. Conosco bene la famiglia Rossi.
Con un team privato giunse in Italia. Alto, sicuro di sé, elegante, inizialmente non fu riconosciuto. Guardò la signora Rossi e disse:
— Una volta mi avevi detto che i tuoi figli non si mescolano con i figli dei servitori. Oggi la vita di tua figlia è nelle mani di uno di loro.
L’intervento riuscì. Non chiese nulla, né un centesimo. Lasciò solo una nota:
“Questa casa ha visto la mia ombra. Ora cammino a testa alta, non per superbia, ma per ogni madre che pulisce i bagni affinché il proprio bambino possa volare più in alto.”
Poi mi costruì un nuovo focolare e mi portò al Lago di Garda. Realizzò i miei sogni.
Ora, seduta sul portico, osservo i ragazzini che vanno a scuola. Quando la televisione annuncia: “Dottor Marco Bianchi!”, sorrido. Perché un tempo ero solo una donna che spazzava i bagni; oggi sono la madre di un uomo senza il quale molte vite non avrebbero più speranza.