Per amore eterno

**Per Amore**

“Signorina, mi saprebbe dire dov’è via Garibaldi? Giro in tondo e nessuno lo sa.”

Davanti a Ginevra c’era un ragazzo simpatico, con una grossa borsa nera a tracolla.

“È questo il suo modo di rimorchiare?” gli chiese, alzando un sopracciglio.

“Mi chiamo Lorenzo. E lei?”

“Beatrice,” rispose Ginevra con una smorfia, cercando di allontanarsi, ma lui la raggiunse.

“Davvero cerco la strada. Un amico mi ha invitato al matrimonio, ma non conosco affatto la città.”

Solo allora Ginevra notò che indossava una camicia a quadri e pantaloni larghi, non stretti come andava di moda. E quella borsa da viaggio. Chiaramente era di passaggio.

“Vada avanti e alla luce giri a destra nel vicolo. Quella è via Garibaldi,” rispose, ammorbidendosi.

“Grazie.” Lorenzo sorrise e il suo volto si illuminò. “E quindi, come si chiama davvero?”

“E lei?”

“Mia madre adora Leopardi, per questo mi ha chiamato Lorenzo. Meglio che non fossi chiamato Orlando, no?” Rise della sua battuta. Ginevra non aveva mai sentito un ragazzo ridere così, sincero e pieno di vita.

“Non so se a mia madre piaccia Leopardi, ma mi ha chiamata Ginevra.” Anche lei scoppiò a ridere.

“Allora, viene domani con me al matrimonio? È il mio amico che si sposa… e qui non conosco nessuno.” La guardò speranzoso.

Lei esitò. Sembrava sincero, piacevole.

“Mi dispiace, domani ho un esame, devo studiare.” Provò ad allontanarsi di nuovo.

“Mi dia il suo numero e me ne vado. Come posso dirle a che ora inizia il matrimonio?”

“E io le ho detto che verrei?” si stupì Ginevra.

“No, ma… È universitaria? Lasci indovinare…” Lorenzo fece finta di pensarci. “Sarà una futura dottoressa.”

“Sì. Come ha fatto a capirlo?”

“Mia madre dice che le persone più gentili sono gli insegnanti e i medici. Non me ne vado finché non mi dà il numero. La seguirò per scoprire dove abita, domani verrò sotto casa e urlerò il suo nome.”

Con riluttanza, Ginevra gli dettò il numero.

“Ti chiamo!” le gridò dietro.

La madre di Lorenzo aveva sempre voluto che studiasse dopo il liceo. Ma per entrare all’università con una borsa gli erano mancati pochi punti, e pagare non era un’opzione. Lui, come tutti i ragazzi, preferiva il calcio ai libri.

Vivevano a Montelupo, un paesino con una sola scuola dove la madre insegnava italiano e letteratura. C’era un ambulatorio, ma per problemi seri si andava a Firenze.

Lorenzo lavorava in un’officina, gestita da un amico di suo padre. Avrebbe ripreso gli studi dopo il servizio militare. Alle ragazze piaceva, ma nessuna gli aveva toccato il cuore. Suo padre era morto in un incendio. Era un muratore e aveva costruito una bella casa per la famiglia.

Una sera, tornando a casa, aveva visto il fumo uscire da una finestra. Quell’estate era rovente, gli incendi frequenti. Una donna lo implorò: era uscita un attimo, ma il figlio era ancora dentro.

Le fiamme divoravano la casa. La porta era chiusa dall’interno. Suo padre ruppe la finestra e sparì tra le fiamme. Trovò il bambino, già svenuto per il fumo. Lo passò fuori, ma non fece in tempo a salvarsi.

L’indomani Lorenzo chiamò Ginevra. Le chiese dell’esame e le ricordò del matrimonio.

Era sabato, niente studio, e Ginevra accettò. Era maggio, i petali bianchi dei ciliegi cadevano come neve. Quando la vide, Lorenzo rimase senza fiato.

Dopo il matrimonio, la accompagnò a casa. Chiacchierarono, si baciarono sotto il portone.

“Parto domani. Vieni a trovarmi. È bellissimo qui. Dalla torre della chiesa la vista è mozzafiato. Abbiamo una casa, costruita da mio padre. Un fiume divide il paese in due.”

Quando suo padre era vivo, andavano a pesca all’alba. La rugiada, la nebbia sul fiume, il silenzio rotto solo dall’acqua. “Pescavamo persici, lasche, una volta anche un luccio… così grande.” Aprì le braccia. “Be’, quasi. In caserma, sognavo questo posto…”

“Perché non hai iniziato subito l’università?” chiese Ginevra.

“Mia madre crede che serva una formazione completa. Ma penso volesse che lasciassi il paese. Qui il lavoro è scarso. Vieni dopo la sessione. Vedrai che posti magnifici.”

Non volevano separarsi. Parlarono fino a notte, ma lui notò che tremava.

La mattina, sull’autobus, le scrisse: *Mi manchi, ti aspetto.* Ginevra sorrise mentre faceva colazione.

“È quel ragazzo di ieri?” chiese la madre.

“Ci hai visti?”

“Certo. Chi è? Studente?”

“Sì, al Politecnico,” mentì Ginevra.

Sapeva che sua madre voleva il meglio per lei, e non le sarebbe piaciuto scoprire che Lorenzo era un meccanico di paese.

Da quel giorno, restavano al telefono per ore, su Skype fino a tardi. Una domenica, Lorenzo riuscì a vederla. I villeggianti affollavano il paese, l’officina era piena. Tornò all’ultimo autobus.

“Avevi promesso di venire. Ti aspetto,” le disse all’addio.

Ginevra finì gli esami e annunciò ai genitori che sarebbe andata da un’amica.

“Non avevi amiche fuori città,” osservò la madre.

“Non le avevo, ora sì. È un posto splendido, c’è il fiume, la pesca…”

“Ah, vai a pescare?” sbottò la madre. “Che novità.”

“Lasciala stare. È grande,” intervenne il padre. “Anche a me piacerebbe una giornata di pesca.”

“Devo andare, grazie mamma.” Ginevra baciò la madre sulla guancia, prima che iniziassero a litigare.

Il giorno dopo, il padre la accompagnò in stazione.

“Non vai da un’amica, vero?”

“Non dirlo a mamma. Non preoccuparti, non farò sciocchezze.”

“Spero che tu sappia cosa fai. Chiamaci.”

“Sì, papà. Grazie.” Lo baciò e salì sull’autobus.

Lorenzo la aspettava. La sua manina spariva nella sua mentre camminavano verso casa. Il paese era incantevole. Ginevra si chiedeva come l’avrebbe accolta sua madre. Non era la sua fidanzata, ma avrebbero vissuto sotto lo stesso tetto.

Si aspettava una modesta casa di campagna, ma Lorenzo la portò in una villetta a due piani. Suo padre l’aveva costruita pensando al futuro: un giorno, il figlio vi avrebbe portato una sposa.

La sistemò in una stanza accogliente. La madre le mostrò la casa: acqua calda, doccia, gas, ma anche una stufa, per precauzione. Non male per un posto di campagna. Sulla parete, una foto del padre. Ginevra notò subito che Lorenzo gli somigliava.

Gironzolarono fino a tardi, parlando senza sosta. Quella notte, Ginevra non riusciva a dormire, ripensando alla giornata, alle sue parole, al crepitio silenzioso della casa.

Lorenzo prese tre giorni liberi per starle vicino. Il capo non gli diede ferie: troppo lavoro, un meccanico siGinevra lo guardò sorridendo, mentre il sole tramontava dietro i colli toscani, e capì che insieme avrebbero costruito un amore forte come la casa che suo padre aveva lasciato loro.

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