Per anni, sono stata un’ombra silenziosa tra gli scaffali della grande biblioteca comunale. Nessuno mi vedeva veramente, e così andava bene… o almeno credevo. Mi chiamo Sofia, e avevo 32 anni quando ho iniziato a lavorare come addetta alle pulizie lì. Mio marito era morto improvvisamente, lasciandomi sola con nostra figlia di otto anni, Giulia. Il dolore era ancora un nodo alla gola, ma non c’era tempo per piangere; dovevamo mangiare, e l’affitto non si pagava da solo.

Per anni, sono stata unombra silenziosa tra gli scaffali della grande biblioteca comunale. Nessuno mi vedeva davvero, e per me andava bene o almeno, così credevo. Mi chiamo Giulia, e avevo 32 anni quando ho iniziato a lavorare come addetta alle pulizie lì dentro. Mio marito era morto allimprovviso, lasciandomi sola con nostra figlia di otto anni, Sofia. Il dolore era ancora un nodo in gola, ma non cera tempo per piangere; dovevamo mangiare, e laffitto non si pagava da solo.

Il capo bibliotecario, il signor Rossi, era un uomo dal viso severo e la voce controllata. Mi guardò da capo a piedi e disse con tono distante:
“Può iniziare domani ma niente bambini rumorosi. Che non si vedano in giro.”
Non avevo scelta. Accettai senza fare domande.

La biblioteca aveva un angolo dimenticato, vicino ai vecchi archivi, con una piccola stanza dove cera un letto impolverato e una lampadina fulminata. Lì dormivamo io e Sofia. Tutte le notti, mentre il mondo dormiva, io spolveravo gli scaffali infiniti, lucidavo i lunghi tavoli e svuotavo i cestini pieni di carte e involucri. Nessuno mi guardava negli occhi; ero solo “la donna delle pulizie”.

Ma Sofia lei guardava. Osservava con la curiosità di chi scopre un universo nuovo. Ogni giorno mi sussurrava:
“Mamma, un giorno scriverò storie che tutti vorranno leggere.”
E io sorridevo, anche se dentro mi faceva male sapere che il suo mondo era limitato a quegli angoli bui. Le insegnai a leggere usando vecchi libri per bambini che trovavamo negli scaffali degli scarti. Si sedeva per terra, abbracciata a un libro sgualcito, perdendosi in mondi lontani mentre la luce fioca le cadeva sulle spalle.

Quando compì dodici anni, trovai il coraggio di chiedere al signor Rossi qualcosa che per me era enorme:
“Per favore, signore, lasci che mia figlia usi la sala lettura principale. Ama i libri. Lavorerò più ore, le pagherò con i miei risparmi.”
La sua risposta fu una risatina secca.
“La sala lettura è per gli utenti, non per i figli del personale.”

Così continuammo come prima. Lei leggeva in silenzio tra gli archivi, senza lamentarsi mai.

A sedici anni, Sofia scriveva già racconti e poesie che cominciavano a vincere premi locali. Un professore universitario notò il suo talento e mi disse:
“Questa ragazza ha un dono. Potrebbe essere la voce di tanti.”
Ci aiutò a ottenere delle borse di studio, e così Sofia fu accettata in un programma di scrittura in Francia.

Quando diedi la notizia al signor Rossi, vidi la sua espressione cambiare.
“Aspetta la ragazzina che stava sempre negli archivi è tua figlia?”
Annii.
“Sì. La stessa che è cresciuta mentre io pulivo la sua biblioteca.”

Sofia partì, e io continuai a pulire. Invisibile. Finché un giorno, il destino girò la ruota.

La biblioteca entrò in crisi. Il comune tagliò i fondi, la gente smise di frequentarla e si parlò di chiuderla per sempre. “Sembra che a nessuno importi più”, dissero le autorità.

Poi arrivò un messaggio dalla Francia:
“Mi chiamo Dott.ssa Sofia Bianchi. Sono autrice e accademica. Posso aiutare. E conosco bene la biblioteca comunale.”

Quando apparve, alta e sicura di sé, nessuno la riconobbe. Camminò fino al signor Rossi e gli disse:
“Una volta mi dicesti che la sala lettura non era per i figli del personale. Oggi, il futuro di questa biblioteca è nelle mani di una di loro.”

Luomo si spezzò, con le lacrime che gli scendevano sulle guance.
“Mi dispiace non lo sapevo.”
“Ma io sì,” rispose lei dolcemente. “E ti perdono, perché mia madre mi ha insegnato che le parole possono cambiare il mondo, anche quando nessuno le ascolta.”

In pochi mesi, Sofia trasformò la biblioteca: portò nuovi libri, organizzò laboratori di scrittura per i giovani, creò programmi culturali e non accettò un centesimo in cambio. Lasciò solo un biglietto sulla mia scrivania:
“Questa biblioteca una volta mi vedeva come unombra. Oggi cammino a testa alta, non per orgoglio, ma per tutte le madri che puliscono perché i loro figli possano scrivere la loro storia.”

Con il tempo, mi costruì una casa luminosa con una piccola biblioteca personale. Mi portò a viaggiare, a vedere il mare, a sentire il vento in posti che prima vedevo solo nei vecchi libri che leggeva da bambina.

Oggi mi siedo nella sala lettura rinnovata, guardando i bambini leggere ad alta voce sotto le finestre che lei fece restaurare. E ogni volta che sento alla notizia il nome “Dott.ssa Sofia Bianchi” o lo vedo stampato su una copertina, sorrido. Perché prima, ero solo la donna che puliva.

Adesso, sono la madre di quella che ha riportato le storie alla nostra città.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

4 × 2 =

Per anni, sono stata un’ombra silenziosa tra gli scaffali della grande biblioteca comunale. Nessuno mi vedeva veramente, e così andava bene… o almeno credevo. Mi chiamo Sofia, e avevo 32 anni quando ho iniziato a lavorare come addetta alle pulizie lì. Mio marito era morto improvvisamente, lasciandomi sola con nostra figlia di otto anni, Giulia. Il dolore era ancora un nodo alla gola, ma non c’era tempo per piangere; dovevamo mangiare, e l’affitto non si pagava da solo.