«Perché devo occuparmene io? Che lo faccia lui, il figlio preferito»: la mia decisione di non assistere mia madre malata

Oggi ho deciso di scrivere quello che mi pesa sul cuore da anni. Nelle famiglie con più di un figlio, c’è sempre quello preferito e quello di troppo. Al primo viene concesso tutto: scuse, coccole, sostegno. Il secondo, invece, finisce per essere colpevole di ogni male. Nella mia famiglia è andata proprio così.

Mia madre adorava mio fratello minore, Enrico. Io? Ero l’errore. Una volta, durante un litigio, mi disse: «Se non fossi nata tu, non avrei divorziato da tuo padre». Quelle parole mi trafissero il cuore e, dopo tanti anni, ancora bruciano. Non capivo come si potesse dire una cosa simile a una figlia. Non avevo chiesto di nascere. Ma per lei, evidentemente, ero solo un peso.

Dopo il divorzio, mi affidò ai nonni paterni. Avevo sette anni e mi ritrovai in una casa che non era la mia, senza mia madre. I nonni mi trattarono con amore e divennero la mia vera famiglia. Lei, intanto, viveva solo per Enrico. Lo guardava come fosse oro, lo copriva sempre, anche quando, da adulto, si cacciava in guai seri. Pagava i suoi debiti, lo tirava fuori dai pasticci con la polizia, gli ripuliva la reputazione.

Vendette persino il suo grande appartamento di quattro stanze nel centro di Roma per comprargli una casa. Lo seppi dopo, da conoscenti. Non pensò mai a me. Gli diede tutto: affetto, soldi, attenzioni. Di me si dimenticò, come se non fossi mai esistita.

Vivo in un’altra città ormai da anni. Mi sono sposata, ho cresciuto mia figlia. Ora abbiamo anche un nipotino, perché mia figlia ha avuto un maschietto e vive nell’appartamento che i nonni mi lasciarono. La nostra vita è tranquilla, serena, senza debiti con nessuno. Con mia madre non ho mai avuto un vero rapporto. Perché insistere, se siamo estranei?

Poi è successo qualcosa che ha cambiato tutto.

Mia madre si è rotta il femore. In ospedale dissero che serviva un’operazione, a pagamento. E indovina chi l’ha pagata? Io. Sì, proprio io. Con i miei soldi. Perché, nonostante tutto, è mia madre. Non volevo che soffrisse.

Ma dopo l’operazione, è emerso che avrebbe avuto bisogno di lunga riabilitazione e che qualcuno doveva starle vicino: badarle, cucinarle, accompagnarla dai dottori.

Ed ecco che Enrico, all’improvviso, ha «passato la palla» a me. Ha iniziato a chiamarmi, a insistere, poi a premere: «Devi farlo! Sei sua figlia!».

Ho detto di no.

E allora è iniziato l’inferno. Lei e mio fratello hanno iniziato a colpirmi dove sapevano che faceva male. A ricordarmi torti che, a quanto pare, avevo fatto loro. Mia madre diceva: «Ti ho messa al mondo, ti ho cresciuta!», e io pensavo: cosa mi hai cresciuto, esattamente? Mi hai lasciata agli altri e ti sei dimenticata di me. Tutto l’amore, le cure, le attenzioni sono andate solo a una persona: Enrico.

Allora perché ora che sta male si è ricordata di me? Dov’ero nella sua vita prima?

Non ho trattenuto le parole e gliel’ho detto chiaro:

«Mamma, hai fatto la tua scelta. Hai puntato tutto su un figlio e dell’altro ti sei liberata. Ora è il momento di raccogliere quello che hai seminato. Ecco il tuo preferito. È un uomo forte, fatto e finito. Che sia lui ad occuparsi di te. Io non sono più la bambina a cui puoi dire “devi”. Non devo niente a nessuno».

Non l’hanno presa bene. Mi hanno insultata, chiamata senza cuore, crudele, ingrata. Ma dentro di me non ho sentito nulla.

Non provavo sensi di colpa. Solo amarezza. Amarezza per l’ingiustizia della nostra storia familiare.

Ora mia madre è in un centro di riabilitazione. Enrico la va a trovare quando può. Io? Vivo la mia vita. A volte sogno la nonna, quella che mi ha asciugato le lacrime e mi leggeva le favole. Solo lei è stata davvero una madre per me.

Dicano pure che porto rancore. È vero. Non sono un angelo. Ma non sono disposta a dare me stessa di nuovo a chi, un giorno, mi ha rinnegata.

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