Perché ho deciso di non aprire più la porta di casa ai visitatori? Nella mia recente visione onirica, ho realizzato che non è questione di risparmiare i euro, ma di unalchimia invisibile che si sprigiona tra i fornelli e le stanze di un appartamento milanese con giardino sul retro.
Il sogno mi mostrava uninedita logica: ogni volta che amici o parenti varcavano la soglia, il tempo si dilatava in una lunga cottura che mi inghiottiva. Posso sfrigolare e saltare padelle come una maga, ma non provo alcun piacere a trascorrere mezora di vita su una piastra di acciaio. Per i miei figli, Matteo e Sofia, e per Lorenzo, il marito, è facile inventare un gioco nuovo, ma per gli ospiti, per accontentare tutti, la energia si disperde come vapore. Quando i parenti arrivano, mi ritrovo costretta a danzare nel cuore della cucina, mentre loro si rilassano sul divano, ignari del mio sudore. Nessuno offre mani daiuto, perché sono lì per prendersi una pausa. E quando la comitiva se ne va, devo ancora spazzare via i loro passi, riordinare le ombre lasciate sul tappeto.
Nel sogno, la pulizia avviene mentre gli ospiti sono ancora presenti, come se il tempo fosse un circo di specchi. Non è che lascino sacchetti di carta da dolci sul pavimento o trasformino la casa in un cassonetto, ma lordine si dissolve: i mobili vengono spostati e devono ritrovare il loro posto, i bambini spargono giocattoli come confetti, le lenzuole cambiano colore sotto le dita dei piccoli. Macchie di cioccolato si imprimono sul tovagliolo, le tende si tingono di colori di avventure. Una volta, una bimba ha sbattuto una vasca di fiori sul davanzale; non solo abbiamo dovuto raccogliere il terriccio e lavare il pavimento, ma anche rinfondere vita al bocciolo caduto. A volte, le loro manine rompono serrature o impugnano le maniglie delle porte con la curiosità di un gatto.
Non posso sorvegliare tutti quei bambini e non posso punire i piccoli di altri, perché i loro genitori sono impegnati a raccontare barzellette ai loro amici. Così, oltre a cuocere, mi trovo a rimodellare lintera dimora dopo il loro passaggio.
Gli ospiti desiderano anche un assaggio della nostra vita familiare. Quando so che arriveranno, evito di mettere la biancheria sporca in vista, persino le mutande, e nascondo ogni oggetto personale negli armadi più profondi. Ma loro, curiosi come gatti, chiedono di aprire gli armadi e scrutare il loro interno, come se cercassero un segreto nascosto. Alcuni ispezionano la cucina con la meticolosità di un critico gastronomico, e questo mi strazia: è unintrusione nello spazio più intimo. La nostra piccola casa a Firenze è colma di mobili antichi, vasi di ceramica e fiori sospesi; gli invitati strappano continuamente un rametto per portarlo via come souvenir.
Talvolta mi chiedo se il problema sia io, se il mio spirito sia quello che accoglie male gli arrivi. Ma osservando il turbinio di volti e risate, ho compreso che non voglio più sprecare la mia energia a cuocere per gli altri e poi far brillare i piatti a mano. Preferisco incontrare gli amici in un bar, sorseggiare un espresso, passeggiare lungo il Tevere e tornare a casa in una dimora già ordinata, dove i sogni si rincorrono senza il peso di piatti sporchi.






