Perché ho accolto mio figlio e mia nuora a vivere con me? Ancora non lo so.

Perché ho accettato che mio figlio e mia nuora venissero a vivere con me? Ancora non lo so.

Mi chiamo Vera Rossi, abito in un bilocale in una zona residenziale di Bologna. Ho sessantatré anni, sono vedova. La mia pensione è modesta, ma mi basta per vivere. Quando mio figlio Matteo si è sposato due anni fa, ero felice, come qualsiasi madre. Lui è giovaneha trentuno anni, e mia nuora Elena è un po più piccola. Si sono sposati, uniti in matrimonio, ma non avevano una casa. Mi hanno detto: “Mamma, vivremo con te per un po. A presto metteremo da parte i soldi per lanticipo di un mutuo e poi ce ne andremo.”

Io, come una sciocca, ero entusiasta: pensavo che avrei badato ai nipotini. E li ho fatti restare. Ma ora non so come uscirne. Perché quel “per un po” è diventato due anni, e viviamo tutti male.

Allinizio cercavo di non intromettermi. Sono giovani, si devono abituare alla vita di coppia. Non li disturbavo, cucinavo per loro, lavavo i panni, facevo tutto come si deve. Poi Elena è rimasta incinta. Era presto, ho pensatose Dio ha voluto così, un motivo ci sarà. È nato il mio nipotino, Luca. Un tesoro di bambino. Peccato che, con la sua nascita, tutti i risparmi siano spariti. Tutti sanno quanto costa un figlio: pannolini, latte, omogeneizzatitutto caro, e Elena vuole solo marche costose, sempre fresche, solo prodotti dimportazione.

Io sono disposta ad aiutare. Ma non sono una domestica. Eppure, sono diventata tata, cuoca e donna delle pulizie in uno. La giovane madre è “stanca morta”. Pare che Luca non la faccia dormire. Così sta a letto fino a mezzogiorno, attaccata al telefono. Il bimbo nel box. Lei sul divano. La TV accesa, il pranzo pronto, il pavimento lavato, il nipotino già vestito. E Elena si lamenta di essere “esausta”.

E mio figlio? Matteo va a lavoro e torna giù di morale, non apre bocca. Se provo a parlargli, si sottrae. Dice: “Mamma, non immischiarti.” E Elena si comporta come se la casa fosse sua. Io dico una parola, lei ne risponde con tre. E sempre a voce alta. Poi Matteo dice che “opprimo” sua moglie. Opprimo! Io, che li aiuto così tanto!

Non so più cosa fare. Dico a Matteo: “Figlio, cercatevi un affitto. Sono stanca.” E lui: “Non abbiamo soldi, mamma.” Ho proposto di cambiare casa: io mi sarei presa un monolocale e loro avrebbero risparmiato per lanticipo, vivendo da adulti. Responsabili delle loro vite. Avrei aiutato un po il nipotino, se possibile. Ma niente, Matteo annuisce, ma nulla cambia.

Capisco che sono giovani, è difficile. Ma non sono di ferro. Ho problemi di pressione, dolori alle articolazioni, insonnia. E se hanno bisogno di me, corro subito, allospedale, alle iniezioni, e sto giorni col nipotino. Se dico che sono stanca, mi guardano come se fossi una traditrice.

Laltro giorno è scoppiata una lite. Mi sono alzata, ho sistemato la cucina, preparato la pappa per Luca, come sempre. Elena si è svegliata e ha detto: “Perché hai fatto questa pappa di nuovo? Ti ho detto che voglio quella in barattolo!” Non ho retto. Le ho detto che sono la nonna, non un robot da cucina. Che dovrebbero badare a se stessi. Ha pianto, Matteo ha preso le sue parti, hanno sbattuto la porta e sono usciti. Unora dopo sono tornati come se niente fosse. Nemmeno scuse.

Ora mi sveglio ogni giorno e penso: perché li ho fatti restare? Perché non ho insistito allinizio? Forse perché sono una madre. Perché amo mio figlio. E sempre più spesso mi chiedolo amo, ma sono stremata. E quando mi siedo a prendere le pastiglie per la pressione, pensoforse è davvero ora di mandarli via? Mi farà male, ma almeno non impazzisco.

E ditemisono lunica così ingenua? O ci sono altri della mia età caduti in questa trappola?

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