Perché stai frugando nel mio laptop?

**Diario di Chiara**

*Milano, 23 Ottobre*

«Che diavolo ci facevi nel mio portatile?» Sandro si è avvicinato, il volto contratto dalla rabbia. Non l’avevo mai visto così.

Era tornata da scuola e già nell’ingresso avevo sentito l’odore pesante di alcool. Dalla stanza arrivavano russamenti forti. Tutto chiaro, papà era di nuovo ubriaco. Sono passata direttamente in cucina.

Mamma era vicino al lavandino, pelava le patate. Ha sentito i miei passi e si è girata. Con un solo sguardo ho notato la guancia rossa e gonfia.

«Mamma, andiamocene da lui. Quanto ancora dobbiamo sopportare? Potrebbe ucciderti un giorno», ho detto con rabbia.

«E dove andiamo? Chi ci vuole? Non abbiamo soldi per un affitto. Non preoccuparti, non mi ucciderà. È un vigliacco. Alza le mani solo con me.»

La mattina dopo mi sono svegliata per uno strano rumore. Sono entrata in cucina e l’ho visto lì, in piedi accanto al fuoco, che beveva acqua direttamente dalla brocca, la testa all’indietro. Lo guardavo ipnotizzata, il suo pomo d’Adamo che si muoveva su e giù. Sentivo l’acqua scorrere gorgogliante nella sua gola. *Che affoghi! Per favore, che affoghi!* pensavo con odio.

Ma non è affogato. Ha posato la brocca, ha sbuffato soddisfatto, mi ha lanciato un’occhiata torva con gli occhi gonfi e rossi ed è passato oltre, diretto in bagno.

Mi è venuto un brivido pensando che mamma avrebbe riempito la brocca di nuovo dal rubinetto, senza nemmeno lavarla dalla saliva e dall’odore di lui. L’ho presa e l’ho strofinata a lungo, promettendomi che non avrei mai più bevuto da quella brocca senza prima pulirla.

Durante le vacanze di Natale, la mia classe era andata a Venezia per tre giorni. Al mio ritorno, mamma era in ospedale.

«È stato lui?» ho chiesto bruscamente, vedendo la sua testa bendata.

«No, cosa dici. Sono scivolata, c’era ghiaccio per strada.»

Ma sapevo che mentiva.

Con tutti quei traumi alla testa, mamma aveva sviluppato ipertensione. Sei mesi dopo, un ictus se l’è portata via. Alle esequie, papà ha pianto lacrime da ubriaco, rimpiangendo la «sua adorata Maria», per poi dando della «buona a nulla». Diceva che ero tutta sua madre, minacciava che se avessi osato lasciarlo, mi avrebbe uccisa. Ho aspettato a stento la fine della scuola. Non sono andata al ballo di fine anno. Il giorno dopo ho ritirato il diploma in segreteria. Mentre lui era al lavoro, ho preso le mie cose e sono scappata.

Papà mi dava i soldi per la spesa, e io ne mettevo da parte un po’. A volte glieli rubavo direttamente dalle tasche mentre dormiva. Non era molto, ma bastava per sopravvivere qualche tempo. Avevo deciso: sarei partita, avrei lavorato, e studiato all’università da lavoratrice.

Non temevo che mi cercasse. Il vigile, i vicini sapevano della sua ubriachezza, non avrebbero aiutato. Sono andata a Milano, affittato un appartamento trasandato ma economico in periferia, trovato un lavoro da cameriera al “Burger House”. Mi hanno aiutato con i documenti, il libretto sanitario, i pasti gratis…

Mi sono iscritta a ragioneria, corsi serali. Quando al “Burger House” hanno scoperto che studiavo, mi hanno messo alla cassa.

I ragazzi provavano a corteggiarmi. Mamma diceva sempre: «All’inizio sono tutti dolci, poi iniziano a bere o a tradire. Non fidarti delle loro parole, piccola. Io ero bella anche io. Tuo padre non beveva quando ci siamo conosciuti. Ci amavamo. E poi? Com’è finita?»

Ho imparato la lezione, ignoravo i corteggiamenti. Avevo già visto come andava la vita.

Mamma, il giorno dello stipendio, comprava scorte: pasta, zucchero, riso, scatolame. Papà spendeva tutto in alcol, ma a casa c’era sempre da mangiare, anche se sempre lo stesso. Ora facevo come lei.

Tornavo a casa con le borse pesanti. Un ragazzo mi è venuto incontro, distratto dal telefono. Speravo mi vedesse, mi scansasse. Invece mi ha urtato.

«Scusa», ha detto, alzando gli occhi dallo schermo.

Volevo rispondergli male, ma ho visto il suo sguardo curioso e sono rimasta senza parole.

«Tranquillo, colpa mia», ho sorriso.

Mi ha offerto aiuto. Ho esitato, poi gli ho dato le borse. Non poteva essere male, con quel sorriso sincero. Ci siamo presentati. Sandro mi ha accompagnato fino a casa, ma non gli ho permesso di salire.

Il giorno dopo è venuto al “Burger House”. Diceva di essere lì per caso, ma sapevo che non era vero. Abbiamo iniziato a uscire.

Sandro mi ha confessato che era divorziato, che aveva una figlia piccola che adorava. Aveva lasciato l’appartamento alla ex, viveva da un amico. «Ci siamo sposati per sbaglio. Non avevamo nulla in comune.»

Parlava tanto di sua figlia, e io pensavo: un uomo così, che ama i bambini, è degno di fiducia. Dopo un mese, mi ha chiesto di vivere insieme.

«Prendiamo un bilocale più centrale. In due è più facile.»

Ho detto di sì. Ero felice. Finalmente una famiglia normale. Ci siamo trasferiti, abbiamo festeggiato in privato. Non pensavo al matrimonio, ma lui sognava due figli: un maschio e una femmina. E io ci credevo.

Ha pagato due mesi d’affitto in anticipo. Al terzo mese, però, mi ha chiesto di pagare io.

«È il compleanno di mia figlia. Ho speso troppo per il regalo, poi c’è l’assegno…»

Non ho dubitato. Ho pagato. Poi sono arrivate le bolle, le malattie, i genitori da aiutare… E l’affitto lo pagavo sempre io. Eravamo una famiglia, no?

Quando ho scoperto di essere incinta, gliel’ho detto subito. Non mi ha preso in braccio, non ha urlato di gioia come nei film. Ha annuito.

«Pensavo saresti felice», ho detto, offesa.

«È stato inaspettato. No, sono contento.» Mi ha abbracciata, baciata.

Mi sono calmata. Cantavo per casa. Ma i mesi passavano, e lui non mi chiedeva di sposarlo. E poi è arrivata la nausea. Non potevo neanche guardare il cibo. Sandro ha dovuto cucinare.

«La mia ex non ha mai avuto nausea. Forse c’è qualcosa che non va?»

Le parole «mia ex» mi hanno trafitto. Io chi ero, allora?

«Ogni gravidanza è diversa. Passerà», ho detto, nascondendo il dolore.

La nausea è passata, è arrivata una fame insaziabile. Mangiavo di tutto, ingrassavo.

I miei vestiti non mi entravano più. Un giorno Sandro ha visto un vestito nuovo.

«Non abbiamo soldi, e tu compri vestiti?»

«Devo pur vestirmi. Hai comprato un altro regalo costoso a tua figlia?»

«È mia figlia! Sì, le comprerò tutto ciò che voglio. Lo sapevi quando sei venuta con me. Lei viene prima di tutto.»

«E io? E nostro figlio? Non lo vuoi?»

«Non credevo fossi così. Pensavo ci capissimo.»

«Tu hai parlato, io ho annuitoMi sono ritrovata a correre via quella sera stessa, con il cuore spezzato ma la determinazione di ricominciare lontano da lui, perché mio figlio meritava una vita migliore.

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