“Che ci fai nel mio laptop?” Un mistero davanti a uno sguardo sconosciuto.
“Ma che diavolo stai cercando nel mio laptop?” sbottò Alessandro, alzandosi minaccioso su Eleonora. Lei non laveva mai visto così
Eleonora era appena tornata da scuola e aveva già sentito nellingresso il pesante odore di alcol. Dalla camera si sentiva un russare forte. Suo padre era di nuovo ubriaco. Senza fermarsi, la ragazza andò dritta in cucina.
La madre era al lavandino, a sbucciare le patate. Sentendo i passi, si girò. Eleonora, con gli occhi penetranti, notò subito la guancia rossa e gonfia.
“Mamma, andiamocene via da lui. Quanto ancora possiamo sopportare? Un giorno ti ucciderà,” disse Eleonora con rabbia.
“Dove vorresti andare? Chi ha bisogno di noi? Non abbiamo soldi per un affitto. Non preoccuparti, non mi ucciderà. È un vigliacco. Con me sfoga solo la sua rabbia.”
La mattina dopo, Eleonora si svegliò per dei rumori strani. Si alzò e sbirciò in cucina. Il padre era davanti ai fornelli, con la testa allindietro, a bere direttamente dalla teiera. Eleonora lo fissò ipnotizzata dal pomo dAdamo che si muoveva su e giù. Sentiva lacqua scendergli in gola con un suono disgustoso. “Che affoghi! Ti prego, Dio, fallo affogare!” pensò con odio.
Ma il padre non affogò. Posò la teiera, sospirò soddisfatto, la guardò con gli occhi arrossati e passò oltre, dirigendosi verso il bagno.
Eleonora fece una smorfia di disgusto al pensiero che la madre avrebbe riempito di nuovo quella teiera senza lavarla dalla saliva e dallodore di lui. Prese la teiera e la strofinò a lungo con lo spazzolino, facendosi la promessa di non bere mai più da lì senza prima pulirla.
Durante le vacanze invernali, Eleonora partì con la classe per tre giorni a Bologna. Al suo ritorno, la madre era in ospedale.
“Lui ti ha picchiato?” chiese duramente, vedendo la testa fasciata.
“No, sciocchina. Sono scivolata sul ghiaccio.”
Ma Eleonora sapeva che mentiva.
A causa dei colpi frequenti alla testa, la madre aveva sviluppato ipertensione. Sei mesi dopo, ebbe un ictus e morì. Il padre piangeva ai funerali con lacrime di alcol, a volte rimpiangendo la perdita della sua “amatissima Maria”, altre maledicendola per lo stesso motivo.
Diceva che Eleonora era uguale alla madre, la minacciava: se avesse provato a lasciarlo, lavrebbe uccisa. Eleonora aspettò con ansia di finire il liceo. Non andò al ballo di maturità. Il giorno dopo, ritirò il diploma in segreto dalla segreteria. Mentre il padre era al lavoro, raccolse le sue cose e scappò di casa.
Il padre le dava soldi per la spesa, ed Eleonora ne metteva da parte un po. A volte glieli rubava addirittura dalle tasche mentre dormiva. Non erano tanti, ma bastavano per un po. Aveva deciso da tempo di andarsene, di lavorare, e gli studi poteva continuarli da privatista.
Non aveva paura che il padre lavrebbe cercata. Tutti nel quartiere lo conoscevano per le sue abitudini, nessuno lavrebbe aiutato a trovarla. Partì per una grande città, affittò un bilocale economico in periferia e trovò lavoro in un fast food. Le diedero dei vantaggi: laiutarono con il libretto sanitario, i pasti erano gratis
Iscritta a una scuola professionale per diventare contabile, quando scoprirono che studiava, la misero alla cassa.
I ragazzi cercavano di corteggiarla. “Allinizio sono tutti dolci e gentili, poi iniziano a bere o a tradire. Non so cosa sia peggio. Non farti ingannare dalle loro parole, figlia mia. Stai attenta. Anche io ero bella, una volta. Tuo padre non beveva quando ci siamo conosciuti. Ci amavamo. Dovè finito tutto? Cosa gli è preso?” diceva spesso la madre.
Eleonora ricordò quelle parole e ignorò le avansate. Aveva visto comera andata la vita dei suoi genitori.
La madre, il giorno dello stipendio, andava al supermercato e comprava il necessario: pasta, zucchero, cereali, scatolame, per far durare tutto a lungo. Il padre spendeva i soldi in alcol, ma in casa cera sempre da mangiare, anche se semplice e ripetitivo. Ora Eleonora faceva lo stesso.
Camminava verso casa con una borsa pesante che le tirava le braccia. Davanti a lei cera un ragazzo con gli occhi sul telefono. Eleonora sperò che la vedesse e la scansasse, ma lui le andò addosso.
“Scusa,” disse lui, alzando lo sguardo.
Eleonora voleva rispondere con rabbia, ma vide i suoi occhi sinceri e si sentì in imbarazzo.
“Tutto a posto, anchio non stavo attenta,” rispose, sorridendo.
Il ragazzo si offrì di aiutarla. Eleonora esitò, ma gli diede la borsa. Non poteva essere cattivo qualcuno con un sorriso così aperto. Si presentarono. Alessandro laiutò a portare la borsa fino a casa, ma Eleonora non gli permise di accompagnarla fino alla porta.
Il giorno dopo, il ragazzo arrivò al fast food. Disse che era entrato per caso, ma Eleonora sapeva che non era vero. Iniziarono a uscire insieme.
Alessandro ammise con sincerità di essere divorziato, di avere una bambina che adorava. Aveva lasciato lappartamento alla ex moglie e viveva da un amico. Disse che si era sposato per stupidaggine.
“Semplicemente non andavamo daccordo. Non avevamo nulla in comune. A volte passavamo giorni interi senza parlare.”
Parlava tanto della sua bambina, e Eleonora pensò che forse poteva fidarsi di un uomo che amava i bambini. Dopo un mese, Alessandro propose di andare a vivere insieme.
“Prendiamo un appartamento migliore, più vicino al centro. In due è più facile.”
Eleonora accettò. Era al settimo cielo. Avrebbe avuto una famiglia normale. Si trasferirono in un appartamento spazioso, festeggiando semplicemente linizio della loro vita insieme. Sul futuro, sul matrimonio, Eleonora non fantasticava. Alessandro parlava di figli, che ne avrebbero avuti due: un maschio e una femmina. Ed Eleonora credeva che sarebbe andata così.
Alessandro pagò laffitto per due mesi in anticipo. Al terzo mese, con tono imbarazzato…
Eleonora guardò per lultima volta lappartamento in cui aveva creduto di trovare la felicità, poi chiuse la porta con determinazione, sussurrando una promessa al suo bambino che aspettava nellincubatrice: “Staremo bene, tesoro, staremo lontani da tutto questo.”






