Perde la moglie a seguito del parto.

A Emanuele Proietti morì la moglie. Non si era mai ripresa dall’ultimo parto. Avrebbe dovuto piangere, ma c’erano cinque bambini da sfamare. Il più grande, Niccolò, nove anni. Luca, sette. I gemelli Sandro e Alessandro, quattro. E la più piccola, solo tre mesi, Alessandra, la figlia tanto attesa… Non c’era tempo per il lutto quando i bambini chiedevano da mangiare. Dopo averli messi a letto, passava le notti in cucina a fumare…

All’inizio Emanuele si occupava di tutto come poteva. Sua cognata veniva a dare una mano. Non c’erano molti parenti. Aveva proposto di prendere con sé Sandro e Alessandro, per alleggerirgli il carico. Poi arrivarono due assistenti sociali, proponendo di mettere i bambini in orfanotrofio. Nessuna intenzione aveva Emanuele di dar via i suoi figli. Come si fa a dare via i propri bambini? È difficile, ma che si può fare? Cresceranno pian piano…

Come poteva, faceva il bucato, puliva, cucinava e lavorava nell’orto. Con i più grandi riusciva persino a controllare i compiti. Alessandra richiedeva più attenzioni, ma anche Niccolò e Luca aiutavano quando potevano. E Nina, l’infermiera del consultorio, spesso passava a prendersi cura di loro.

Un giorno promise a Emanuele di mandargli una tata. Dopotutto, era difficile per un uomo con un bambino piccolo. Così arrivò da loro Patrizia, una giovane robusta e silenziosa, con trecce lunghe e fuori moda. Non parlava più del necessario. Ma in casa Proietti tutto cambiò. La casa brilluccicava – aveva pulito tutto minuziosamente. Rammendò e ripulì i vestiti dei bambini e di Emanuele. Si prese cura anche di Alessandra, cucinando e preparando tutto per loro.

A scuola e all’asilo notarono subito i cambiamenti. I bambini erano puliti e ordinati, i bottoni non più cuciti con filo nero su stoffa bianca, i gomiti non strappati. Una volta Alessandra si ammalò, aveva la febbre. La dottoressa disse che si sarebbe ripresa, l’importante era la cura. Patrizia passò le notti sveglia accanto a lei, senza mai stendersi. E pian piano si stabilì a casa di Emanuele…

I più piccoli cominciarono a chiamarla mamma, bisognosi d’affetto materno. E Patrizia di affetto non era avara. Li lodava, li accarezzava, li abbracciava. Perché, in fondo, erano bambini…

I più grandi, Niccolò e Luca, inizialmente si ritraevano, non chiamandola in alcun modo. Poi semplicemente iniziarono a chiamarla Patrizia. Non tata, non mamma, semplicemente Patrizia. In modo da ricordare che una volta avevano avuto una loro madre… E poi, per età, a malapena poteva essere loro madre.

I familiari di Patrizia erano contrari: “Perché ti carichi di una tale tribù? Non ci sono ragazzi nel villaggio?”
“I ragazzi ci sono, – rispondeva, – ma ho pietà per Emanuele… E i bambini, ormai si sono abituati, che senso ha cercare ora…”. Così vivevano. Quindici anni passarono in un lampo… I bambini studiavano, crescevano. Beh, non tutto era perfetto – a volte ne combinavano qualcuna. Emanuele si arrabbiava, prendeva la cinghia. Ma Patrizia lo fermava, dicendo di aspettare, bisognava prima capire… Li sgridava, li confortava, ogni tanto. Sì, nessuno al villaggio la chiamava più Patrizia. La rispettavano come Signora Anna.

Niccolò, ormai quest’anno era sposato, aspettavano il primo figlio. Vivevano per conto loro, Niccolò lavorava in una cooperativa agricola. E non era un semplice operaio, ogni anno riceveva diplomi e premi. Luca studiava ingegneria in città, un motivo di orgoglio per Patrizia. Sandro e Alessandro erano appena tornati dall’esercito, stavano decidendo a quale scuola tecnica iscriversi. Facevano tutto insieme – sia nelle marachelle da bambini, sia nel sostenersi a vicenda da grandi. Alessandra era passata al terzo anno del liceo, anche lei motivo di orgoglio per Patrizia. Era una maestra di canto e ballo, nessuna festa si svolgeva senza di lei.

Emanuele pensava spesso quanto fosse stata giusta la scelta di moglie fatta da Nina… Quell’estate Patrizia iniziò a sentirsi strana, qualcosa non andava nel suo corpo. Non si era mai ammalata prima, ma ora le girava la testa e si sentiva nauseata… Cominciò a mandare Emanuele a fumare fuori casa, non sopportava l’odore. All’inizio pensava che sarebbe passato, ma non fu così. Dovette andare dal dottore.

Tornò a casa silenziosa e pensierosa. Alle domande di Emanuele respinse dicendo che era una sciocchezza, tutto a posto. Ma quella sera, quando tutti dormivano, chiamò Emanuele fuori.

– Siediti, dobbiamo parlare… Sai cosa mi ha detto il medico? Aspetto un bambino… È troppo tardi per fare qualcosa, dovrò partorirlo…

Disse e si coprì il volto con le mani. – Che vergogna…

Emanuele era sbalordito da quella notizia. Dopo tanti anni senza figli, ed ecco qua!

– Ma quale vergogna, cara, – addirittura scartò la sigaretta, senza nemmeno accenderla. – I grandi stanno quasi tutti facendo la loro vita, resteremmo altrimenti solo noi due? Niente affatto, la natura fa sempre il suo corso! Allora, ci prepariamo!

– Come dirlo ai bambini? Diranno, la vecchia e ancora…

– Ma quale vecchia? Trentanove, non sono mica anni?

– Oh, non so proprio cosa fare, che fare… Che vergogna…

– Va bene. Lo dirò io. Domani glielo dirò, visto che tutti saranno qui.

E così fece. Non appena si trovarono a tavola, disse: – Ragazzi, la vostra mamma presto avrà un altro fratellino o sorellina. Così.

Patrizia chinò la testa, guardando nel piatto, arrossendo fino alle lacrime… Niccolò, che era lì con la giovane moglie per il weekend, scoppiò a ridere.

– Che bello, mamma! Bene! Partorite insieme alla mia! Ai bambini converrà crescere insieme!

Sandro era felice pure lui: – Forza mamma! Ancora un fratellino!

Ma Alessandro protestò: – No… Una sorella. Abbiamo già troppi maschi, un’altra femmina ci vuole. La nostra principessa è troppo viziata…

Alessandra diede un’occhiataccia ad Alessandro.

– Viziata… Sei tu che l’hai viziata? Certo, una sorella, mamma! Le legherò i fiocchi, le prenderemo vestiti carini! – esclamò entusiasta.

– Vestiti… Come una bambola? – intervenne Luca. – Un bambino va anche educato, disse in tono didattico.

– Lo educheremo. Non vi abbiamo educati male, no? – disse Emanuele con enfasi. – Ecco…

E Patrizia si vergognava ancora, coprendo il pancione crescente, ora con uno scialle, ora mettendo una giacca leggera quando faceva caldo.

I mesi passarono in fretta. Avevano già festeggiato la nascita del primo figlio di Niccolò. Un maschietto! Luca era tornato in città per finire l’università, finite le vacanze. Anche Sandro e Alessandro erano partiti dopo essersi iscritti alla scuola agraria.

E per Alessandra l’anno scolastico era iniziato. La casa ora sembrava silenziosa e vuota. Alessandra a scuola e poi dalle amiche. Già un ragazzo iniziava a scortarla ai balli domenicali.

Patrizia non dormiva, aspettando Alessandra. Poi, d’improvviso, il dolore… Così acuto da scurirle la vista.

– Emanuele, – chiamò debolmente, – Emanuele, sembra… che sia iniziato…

Lui impallidì, cercando di infilarsi le scarpe alla svelta.

– Aspetta, cara, io corro subito, chiama un’ambulanza! – ordinò ad Alessandra appena entrata. Lei capì subito e uscì in fretta.

Dopo due minuti tornò indietro.

– Mamma, ora Arturo ti porterà, ha chiesto la macchina a suo padre, aspetta!

“Arturo, eh…”, pensò Patrizia, e un altro dolore acuto la colpì al basso ventre…

– Oh mamma mia! Ma che succede!

Dopo altri cinque minuti, entrò un ragazzo, quello che stava con Alessandra.

– Suo padre la porterà, – disse ad Alessandra. – Vieni anche tu?

– Io vengo, – Emanuele prese in fretta il cappotto. – Non temere, Patrizia, io verrò con te…

Emanuele rimase tutta la notte seduto fuori dalla maternità, fumando una sigaretta dopo l’altra. All’alba le porte si aprirono e un’infermiera di mezza età uscì.

– Sei ancora qui, papà? A fumare? Ora dovrai farlo meno frequentemente… È il primo tuo?

– Ne ho cinque, – disse Emanuele a bassa voce.

– Oh! Allora sei ricco! Ma non cinque, bensì sette! La tua bella ha avuto due gemelli!

– G… gemelli? – balbettò Emanuele per la sorpresa.

– Un maschietto e una femminuccia! Il maschio è rumoroso, – l’infermiera rise. – E la femminuccia è una bellezza!

– Torna a casa, papà. Vieni domani. Lei resterà qui un po’. I bambini hanno bisogno di prendere peso. E porta quello che serve. Chiunque può dirti, capito?

– Sì, – annuì Emanuele, ancora intontito.

Il giorno delle dimissioni, tutta la famiglia si riunì. I tre studenti si erano presi una pausa dagli studi, per l’occasione. La tata portò fuori due pacchi, uno decorato con un nastro blu, l’altro rosa. Dietro di lei, Patrizia, che appariva leggermente imbarazzata.

Emanuele prese uno dei pacchi, ma non sapeva come prendere l’altro.

– A tenerne due insieme… – si imbarazzò anche lui.

Niccolò accettò il secondo pacco: – Dai, papà… Non è la prima volta per me!

– Oh, com’è carina! – guardò nel fagotto Alessandra. – La mia sorellina, la mia bella!

Dopo aver regalato fiori e una torta alla tata (come vuole la tradizione), chiacchierando tutti insieme, si trasferirono verso l’autobus della cooperativa – dato dal direttore per l’occasione.

– Bene, mamma, hai accontentato tutti! – sorrise Niccolò.

E Patrizia teneva uno dei piccoli fagotti e sorrideva silenziosa ai suoi pensieri. I bambini cresceranno bene, con il volere di Dio… Guardò verso Emanuele, che teneva il secondo fagotto. “Li cresceremo insieme, – si corresse, – certo, insieme…”

– Ragazzi, – si rivolse ai bambini, – come li chiameremo?…

E subito tutti iniziarono a proporre nomi a loro cari, che piacevano o che avevano un qualche legame emotivo…

E l’autista del bus, un amico di Emanuele, sentendo le risate dietro di sé, pensò che, anche se non era davvero la loro madre, per quei cinque… In fondo, chi potrebbe mai dire il contrario…

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

11 + five =

Perde la moglie a seguito del parto.