Perdono in un mondo lontano…

Elena, perdonami…

Stefano socchiuse un occhio e subito lo richiuse. Il basso sole di marzo lo colpiva in pieno volto attraverso la finestra con un raggio implacabile. Si agitò sul letto disfatto, cercando di sfuggire alla luce.

“Svegliato, Erode?” risuonò la voce della moglie. “Apri quei tuoi occhi svergognati, voglio guardarci dentro. Tutti gli uomini regalano fiori alle mogli per la festa. E tu ieri ti sei ubriacato fino a non capire più niente. Ti ricordi almeno che oggi è festa?”

Stefano si ritrasse verso il muro e riuscì ad aprire gli occhi. Tra le fessure delle palpebre, strette come feritoie, vide Elena. Stava lì, con le mani sui fianchi, minacciosa.

“Q-quale?” si stupì sinceramente.

“L’8 marzo, guardate un po’. La Festa della Donna. Io dovrei festeggiare, e invece sei tu che ti sei scolato tutto. Non mi vergognerei! Pensavo che stasera avremmo bevuto qualcosa insieme. Mia figlia mi ha portato del vino buono, l’avevo messo da parte per l’occasione. E tu, parassita, l’hai trovato e te lo hai bevuto da solo. Non ti bastava la grappa?”

Stefano non fece in tempo a ripararsi che una ciabatta, lanciata con precisione dalla moglie, lo colpì sulla fronte.

“Prendi questo…”
Dalla seconda ciabatta si nasconde sotto le coperte. Per fortuna erano solo due. Affiorò dal nascondiglio col naso.

“Elena, perdonami. Giuro, sistemerò tutto,” singhiozzò Stefano, cercando di alzarsi ma impigliandosi nel lenzuolo.

La moglie lo ignorò e sparì in cucina. Da lì si sentì il tintinnio dei piatti. Quando iniziava a sbattere così, significava che era furiosa e la litigazione sarebbe durata a lungo.

Stefano decise di non sfidare la sorte e di scappare di casa. Scivolò lungo il corridoio verso il bagno. Si schizzò d’acqua in faccia, liberò un bicchiere dagli spazzolini, lo riempì e lo tracannò. Con le dita bagnate si sistemò i radi capelli. Elena continuava a sbattere le stoviglie.

Tornò zitto in camera, si vestì e uscì nell’ingresso. Mentre si infilava le scarpe, perse l’equilibrio e quasi cadde. Al rumore, Elena uscì dalla cucina.

“Dove pensi di andare, alcolizzato?”

“Elena, ora torno… Faccio in fretta…” Stefano afferrò la giacca dall’attaccapanni e indietreggiò verso la porta.

“Fermo!” ordinò Elena, avanzando con il suo petto prosperoso, ma lui era già sgusciato fuori, chiudendole la porta in faccia.

“Se hai il coraggio di tornare, ti faccio…” risuonò da dietro la porta.
Stefano non volle ascoltare minacce e scese le scale di corsa.

Fuori splendeva il sole. Le gocce tamburellavano sui cornicioni, qua e là l’asfalto logoro emergeva dal ghiaccio sciolto. Incontrava uomini con rametti gialli di mimosa o tulipani colorati.

“Signore, mi sa dire che ore sono?” chiese a un passante con la mimosa in mano.

“È ora di smaltire la sbornia,” rispose l’uomo, voltandosi.

“Non sarebbe male,” borbottò Stefano, continuando a camminare.
In realtà voleva sapere dove avesse preso i fiori, ma per qualche motivo aveva chiesto l’ora.

“Ragazzo, dove hai comprato i fiori?” domandò a un giovane.

“Lì.” Il ragazzo indicò dietro di sé.

“Ah,” fece Stefano, dirigendosi verso quella direzione.
Poco dopo vide una donna a un semaforo, con una scatola ai piedi da cui spuntavano rametti di mimosa.

Accelerò. Desiderava comprare fiori per placare Elena, e, se fortunato, ottenere il celebrativo bicchierino. Ma nella scatola trovò solo un esile rametto.

“Prendilo, signore, te lo sconto,” disse la donna, con uno sguardo comprensivo.

“Vorrei un mazzo. Per mia moglie. Non ne avete altri?”

“No,” lo imitò lei. “Se vuoi aspetta, chiamo per averne altri.”

Stefano pensò che un rametto così avrebbe solo offeso Elena. Il flusso di uomini coi fiori non cessava, quindi da qualche parte si trovavano. E proseguì. Gli venne in mente di controllare le tasche: non ricordava se avesse soldi. Elena poteva averglieli sequestrati per evitare che bevesse ancora.

Si fermò e frugò, trovando un biglietto da dieci euro stropicciato. Non aveva idea dei prezzi dei fiori. Più avanti una macchina era circondata da gente. Scoprì il costo di un mazzo di tulipani e si rattristò.

“Ne vuoi uno?” chiese un venditore barbuto con accento meridionale.

“Ho solo questo.” Stefano mostrò il biglietto.

“Eh, con questi soldi posso dartene uno solo. Ti va?”

Stefano rifletté che un tulipano, come il rametto di mimosa, non avrebbe rimediato, e si allontanò.

Sforzò la memoria per ricordare chi potesse prestargli soldi. “Alessio mi deve cinquanta euro! Che me li renda,” decise, e si avviò a casa sua. Avevano bevuto assieme, ma coi soldi di Stefano, quindi il debito restava.

“Chi è?” chiese dal citofugo Zita, moglie di Alessio. Era insopportabile e teneva il marito sotto torchio. Quando riusciva a scappare, si sfogava. Alessio la chiamava “l’Ulcera”.

Stefano si presentò alla serratura.

“Cosa vuoi?” chiese Zita.

“Chiama Alessio. Mi deve cinquanta euro. Mi servono subito.”

Appoggiò l’orecchio alla serratura, ma Zita taceva, elaborando l’informazione.

“Ora ti do qualcosa che non potrai portare via!” urlò infine.

Stefano balzò indietro. La serratura scattò, e dall’apertura spuntò una mano con le dita a forcella.

“Eccoti!” gridò Zita.

Stefano non perse tempo e strattonò la porta verso di sé. Zita sbucò fuori. La mòcca mancò il suo naso di un centimetro. Dietro di lei si intravedeva Alessio, mingherlino, con una maglietta “Alcolisti Anonimi” e mutande a fiori.

“Alessio, fai l’uomo…” riuscì a gridare Stefano prima che Zita sbattesse la porta.

“Ahi…” imprecò.
“Dove trovare soldi? Avrei dovuto frugare nel cappotto di Elena. Lì tiene sempre spiccioli,” ricordò tardi il cacciatore di fiori fallito. “Se fosse estate, li coglierei dalle aiuole. Chi ha inventato una festa a marzo, quando ancora c’è la neve?”

Ma non poteva tornare a mani vuote. Trascinò i piedi, evitando di guardare gli uomini con i mazzi ambiti. Perso nei pensieri, scivolò sul ghiaccio e quasi cadde. Le gambe tremavano. Si sedette su una panchina per calmarsi.

Aveva sete e fame. Non mangiava dal giorno prima. Nessuno sapeva quando Elena l’avrebbe sfamato, se non avesse rimediato coi fiori. Tornò a chiedersi dove trovare soldi. Con dieci euro poteva comprare due birre, ma nient’altro.

Poi ricordò quando aveva conosciuto Elena, come l’amava, davvero la portava in braccio. Allora non tornava mai senza fiori,Mentre rientrava a casa stringendo quel mazzo imprevisto, capì che a volte i gesti più semplici, anche quelli rubati al destino, potevano ridare luce a un amore che il tempo e la negligenza avevano offuscato.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

eleven + 19 =

Perdono in un mondo lontano…