**Più forte della morte**
Gemma aprì gli occhi. L’orologio sul muro segnava le sette e mezza del mattino. Accanto a esso, c’era una foto del marito con un nastro nero nell’angolo. Così iniziava ogni sua giornata. Prima guardava l’orologio, poi gli occhi le scivolavano verso quel sorriso, o viceversa. «Ciao. Buongiorno, amore mio!» Era quello che diceva lui ogni mattina. Peccato non potesse più baciarla come faceva un tempo.
***
Dopo nove giorni, prima di partire, la figlia tolse il nastro nero dalla cornice. La mattina dopo, Gemma si svegliò, vide la foto senza il nastro e pensò che la morte del marito fosse stata solo un brutto sogno.
Scese in cucina, dove la figlia stava preparando i pancakes.
«Papà è già uscito per lavoro?» chiese.
La figlia si girò di scatto, sgranando gli occhi.
«Mamma, mi fai paura. Primo, oggi è sabato. Secondo… Ieri abbiamo seppellito papà. Non te lo ricordi?»
Gemma affondò pesantemente sulla sedia.
«Hai tolto il nastro dalla foto… Ho pensato che…»
Si mise a piangere. Il dolore le ricadde addosso come una lastra di pietra, soffocante. La figlia si avvicinò, si accovacciò davanti a lei e la guardò negli occhi.
«Mamma, scusami. Rimettiamo subito il nastro, non ci ho pensato…»
Quando Gemma rientrò in camera, il nastro era di nuovo al suo posto. Ma non servì a niente, anzi, peggiorò tutto. Meglio il sogno e l’inganno, piuttosto che la realtà atroce. Ma non lo disse ad alta voce.
«Perché non vieni da me per un po’? Ti distrarresti» propose la figlia.
«Non pensare, sto bene. Non sono impazzita. Solo… quando ho visto la foto senza nero, ho desiderato così tanto che fosse un incubo. Resterò qui. Con papà» avrebbe voluto aggiungere, ma temeva di spaventarla ancora.
«Non volevo insinuare nulla, era solo un’idea.»
«Invece sì» disse Gemma.
«Non arrabbiarti, mamma.»
La figlia partì, promettendo di chiamare ogni giorno. Si era sposata con un compagno di università e si era trasferita dai suoceri in un’altra città. Le piaceva là.
***
Passarono otto mesi, ma il dolore non si attenuò. Gemma ci fece l’abitudine. Entrò in bagno e aprì il rubinetto. Una lampadina sul soffitto tremolò e si spense. «Meglio così» pensò, sciacquandosi il viso. «Con questa luce, il mio riflesso nello specchio fa meno paura.»
Fuori, gli alberi e i cespugli erano avvolti in una nebbiolina verdastra per le gemme gonfie. In qualche punto assolato, erano già spuntate le prime foglioline. Il cielo era coperto di nuvole.
Gemma si allontanò dalla finestra, mise la tazza del caffè vuota nel lavandino e si vestì. Il weekend spesso andava al cimitero, soprattutto da quando la neve si era sciolta e la terra era asciutta. Oggi erano esattamente otto mesi dalla morte del marito. Otto mesi che per lei erano un unico, interminabile giorno di angoscia.
All’ingresso del cimitero, alcune donne vendevano fiori freschi e artificiali. Gemma scelse quelli veri. La tomba del marito ormai si confondeva tra le nuove sepolture. Tolse i fiori appassiti, sistemò quelli nuovi, aggiustò i nastri delle corone, accarezzò la foto del marito. Era sbiadita dal sole, il suo volto svaniva. La prossima volta avrebbe portato una foto nuova, da incorniciare sotto il vetro. L’estate dopo, la figlia e il genero sarebbero venuti per sistemare la lapide…
Il prete al funerale aveva detto che per Dio tutti sono vivi. Quelle parole si erano incastrate nella sua mente come una speranza. Forse per questo Gemma era attratta dal cimitero. Le sembrava di percepire più vividamente la presenza del marito. Non sotto terra, ma da qualche parte lassù. Dopotutto, dicevano che l’anima torna in cielo, nel Regno dei Cieli…
«Ciao. Hai nuova compagnia qui intorno. Anch’io sono circondata da gente, ma mi sento ugualmente sola senza di te. La figlia chiama ogni giorno. Sta bene. Ricordi come cercavi di dissuaderla dal matrimonio? Lei e Luca sono felici, si amano.»
«Figurati, ha pensato di essere incinta, ma il test era negativo. Era felice e delusa allo stesso tempo. Non vuole figli ancora. Ha promesso che se nascerà un maschio, lo chiamerà come te. Ti sta bene?»
«Mi manchi tantissimo. Ogni cosa mi cade di mano. Ho rotto un sacco di piatti. Anche la tua tazza, scusami. Volevo metterla via. Perché l’ho presa in mano? Ieri ho rovesciato il tè. Al supermercato dimentico sempre qualcosa nel carrello. L’altra volta ho lasciato i cetrioli freschi. La figlia dice che sfamo tutto il quartiere. Anche al lavoro vado male. Faccio errori, quasi mi licenziano. Le lampadine del bagno sono fulminate. Avevi comprato delle riserve? Non le trovo.»
Alcune gocce le caddero in testa.
«Inizia a piovere. Ti ho detto tutto, credo. Tornerò presto. A presto, amore mio.» Accarezzò di nuovo la foto, si asciugò le lacrime e si allontanò, evitando le tombe più recenti.
Dovette aspettare a lungo l’autobus, si bagnò e si raffreddò. Tornare a casa vuota non la allettava.
Davanti al portone, un furgone con le porte spalancate occupava tutto il marciapiede. Gli scaricatori portavano dentro scatoloni, mobili e sacchi. La vicina si lamentava che non poteva passare. Gli uomini rimanevano in silenzio, ansimando sotto il peso.
«Buongiorno. Sa per caso chi sono i nuovi inquilini?» chiese Gemma.
«Ciao, Gemma. Non so il numero, ma è al sesto piano. I Corallo hanno venduto l’appartamento quest’inverno, hanno comprato una villa. Tu stai al settimo, no? Quindi saranno sotto di te. Comunque, devo andare, la nipote è sola a casa…» Si strinsero per passare tra le scatole.
Gemma salì con l’ascensore, aprì la porta. Ad accoglierla, il solito silenzio opprimente. Si spogliò, andò in cucina e mise il piede in una pozzanghera.
«Ma certo, proprio quello che mi mancava!»
Aprì l’armadietto sotto il lavello e vide che l’acqua sgocciolava dalla valvola. Provò a stringerla, ma peggiorò la situazione. Sabato. Se avesse chiamato l’idraulico, avrebbe chiuso l’acqua a tutto il palazzo per due giorni. Mise un secchio, asciugò il pavimento e scese dai vicini. La porta era socchiusa.
«Scusate, sto allagando!» gridò verso l’interno.
Un uomo sulla quarantina si affacciò. Gemma sobbalzò.
«Buongiorno. Sono la vicina del piano di sopra. Ho una perdita in cucina, può controllare se è arrivata qui?»
«Subito, entri pure.»
Gemma lo seguì in cucina. Sul soffitto si allargava una macchia umida.
«Mi dispiace, pagherò i danni» disse colpevole.
«Non serve, tanto volevo fareMentre il sole tramontava tingendo il cielo di rosa, Gemma sorrise per la prima volta dopo tanto tempo, sentendo che la vita, nonostante tutto, aveva ancora un posto per lei.