– Ti dispiace se indosso il tuo vestito da sposa? Tanto a te non serve più, – rise maliziosamente l’amica.
– Secondo me è perfetto. Il migliore che tu abbia provato, – disse Gianna, scrutandola con occhio critico.
– La tua amica ha ragione. Ti sta benissimo. Basta solo accorciare un po’ l’orlo e stringere alla vita, – disse la commessa dell’atelier nuziale. – Vuoi provare anche il velo?
– Io pensavo di non metterlo, – rispose Daria, incerta.
– Portalo, ma non troppo lungo, – insisté Gianna, mentre l’amica si girava davanti allo specchio.
L’ampia gonna a campana ondeggiava intorno alle sue gambe. Daria immaginava già gli occhi pieni di ammirazione di Antonio quando l’avrebbe vista in quel vestito.
La commessa tornò con un velo leggero, quasi etereo, e con un gesto rapido lo fissò tra i capelli di Daria.
– Sembri pronta per il municipio, – sorrise la commessa al suo riflesso. – Allora, lo prendi?
– Che ne pensi? – chiese Daria a Gianna.
– Sei tu che ti sposi, decidi tu, – rispose l’amica, senza riuscire a nascondere una scintilla d’invidia nello sguardo.
– Sì, lo prendiamo, – annuì Daria, sollevando la gonna per scendere dal pedana, ma la commessa la fermò.
– Aspetti, chiamo la sarta per gli ultimi ritocchi.
Daria sospirò, ma dentro di sé era felice di poterlo indossare ancora un po’.
Sulla via del casa, le due amiche attraversarono un giardino pubblico.
Si conoscevano da quando andavano a scuola insieme. Gianna era alta, spigolosa, con lineamenti duri e un naso lungo e dritto. Le aveva sempre invidiato il viso dolce, il nasino all’insù e le fossette sulle guance paffute. Ma soprattutto, le invidiava la famiglia normale, senza litigi e senza alcol. Il padre di Gianna era morto due anni prima per aver bevuto grappa adulterata. Credeva che, senza di lui, la vita con sua madre sarebbe stata più tranquilla, ma invece era diventata ancora più nervosa e instabile.
Daria si era laureata in traduzione e lavorava per un’importante azienda. Gianna, invece, aveva fatto Biologia per corrispondenza e ora lavorava in un laboratorio ambientale, odiando ogni minuto. Un altro motivo per invidiare l’amica.
E adesso pure questa stupida storia del matrimonio. Antonio non le interessava, ma il fatto in sé la faceva infuriare. Lei aveva avuto delle storie, ma nessuna seria. Sognava un abito bianco sontuoso, e soprattutto, di scappare da sua madre. Perché Daria doveva avere tutto, e lei niente?
– Non mi stai neanche ascoltando, – Daria le diede un colpetto sul braccio.
– Eh? Cosa hai detto? – Gianna si riscosse dai suoi pensieri.
– Dicevo che al matrimonio ti lancerò il bouquet, e presto sarai tu a sposarti. Vedi quella donna che vende gioielli? Ieri l’avevo già notata, ma non ho fatto in tempo a fermarmi. Andiamo a vedere. – Tirò Gianna verso una panchina.
– Che te ne fai di quella robaccia? – borbottò Gianna, osservando con scetticismo l’anziana donna seduta vicino a un vassoio di bigiotteria economica. I piccoli oggetti luccicavano al sole, attirando sguardi distratti dei passanti.
– Guarda che anello carino, – disse Daria, esaminando un anellino con una pietra bianca. – Posso provarlo?
– La prova è gratis, ma non te lo venderò, – rispose improvvisamente la donna.
– Perché? – chiese Daria, senza mollare l’anello.
– Presto indosserai una fede nuziale. E mescolare metalli diversi è di cattivo gusto, – disse la donna con tono deciso. – Guarda piuttosto questo. – Le porse un ciondolo di metallo lucidato a specchio, attaccato a una catenina sottile. Oscillando, rifletteva la luce in modo affascinante.
– Daria, ma che te ne fai? – fece una smorfia Gianna.
– Quanto costa? – chiese Daria, ignorandola.
– Quanto vuoi. Prendilo, ti porterà fortuna.
– Fortunata lo è già, – intervenne Gianna.
– Mentre tu la invidi, – replicò la donna, dandole un’occhiata severa.
Daria frugò nella borsetta e le diede qualche euro.
– Non ho altro con me, – si scusò.
– Va bene così. Portalo con gioia. – La donna le sorrise.
Appena si allontanarono, Daria infilò la catenina al collo.
– Che ne pensi? – chiese a Gianna.
– Originale, – rispose l’amica, asciutta.
Ma anche a lei piaceva.
Passò una settimana. Durante la pausa pranzo, Daria tornò in atelier per ritirare l’abito rifinito. Lo provò, era perfetto. Mentre si cambiava, la commessa lo mise in una scatola enorme.
– È troppo ingombrante, non posso portarla in ufficio, – si preoccupò Daria.
– Prendi un taxi o lasciala qui fino a stasera.
Daria decise di lasciarla e tornò al lavoro. Da lì, chiamò Antonio più volte, ma lui non rispose. Era programmatore e lavorava spesso da casa, ma non spegneva mai il telefono. I clienti lo chiamavano spesso.
Preoccupata, uscì prima e andò a casa sua. Bussò impaziente, ma ad aprirle fu Gianna, che indossava la camicia di Antonio. Sul suo petto luccicava il ciondolo di metallo.
– Che ci fai qui? Dov’è Antonio? – chiese Daria, sconvolta.
– Stanco, dorme, – rispose Gianna con un sorriso sprezzante.
Daria la spinse via ed entrò di forza. Antonio era sul divano, addormentato. Il torso nudo si alzava e abbassava con regolarità.
– Antonio! – gridò, ma lui non si svegliò.
– ContentCon il cuore spezzato, Daria fuggì via mentre Gianna sorrideva, sapendo di aver finalmente ottenuto ciò che voleva.