La pioggia batteva forte sul tetto di vetro dellenorme villa di Giuliano Moretti, alle porte di Milano. Dentro, il milionario era accanto al camino acceso, una tazza di caffè nero in mano, lo sguardo perso tra le fiamme danzanti. La ricchezza aveva riempito la sua vita di lussi ma non di pace.
Un colpo secco ruppe il silenzio.
Giuliano aggrottò le sopracciglia. Non aspettava nessuno. La servitù aveva il giorno libero e le visite erano rare. Posò la tazza e si avviò verso la porta dingresso, aprendola.
Davanti a lui cera una donna, fradicia, che stringeva una bambina di non più di due anni. I suoi vestiti erano sottili e logori, gli occhi vuoti e stanchi. La piccola si aggrappava al suo maglione, osservando in silenzio.
«Mi scusi se la disturbo, signore» disse la donna con voce tremante. «Non mangio da due giorni. Se mi lascia pulire la sua casa, mi basta un piatto di cibo per me e per mia figlia.»
Giuliano rimase immobile.
Non per pietà, ma per stupore.
«Alessia?» sussurrò.
Lei alzò lo sguardo, lincredulità dipinta sul volto. «Giuliano?»
Il tempo sembrò piegarsi su se stesso.
Sette anni prima, era scomparsasenza preavviso, senza un addio, semplicemente se nera andata.
Lui fece un passo indietro, il cuore in gola. Lultima immagine che aveva di Alessia Riva era quella di lei con un vestito rosso estivo, scalza nel suo giardino, che rideva come se nulla potesse ferirla.
E ora era lì, con vestiti logori, fragile e consumata.
«Dove sei stata?» chiese, la voce tesa.
«Non sono venuta per un ricongiungimento» rispose lei, la voce spezzata. «Ho solo bisogno di cibo. Poi me ne andrò.»
Il suo sguardo cadde sulla bambina. Riccioli biondi, occhi azzurri luminosigli stessi occhi della madre.
«È mia?» domandò a bassa voce.
Alessia distolse lo sguardo, in silenzio.
Giuliano si fece da parte. «Entra.»
Dentro, il calore le avvolse. Alessia rimase impacciata sul pavimento di marmo, bagnando lacqua piovana, mentre Giuliano ordinava allo chef di preparare da mangiare.
«Hai ancora la servitù?» mormorò.
«Naturalmente» rispose lui, con un filo indelebile nella voce. «Ho di tutto tranne risposte.»
La bambina si avvicinò a una ciotola di fragole e sussurrò timidamente: «Grazie.»
Giuliano sorrise appena. «Come si chiama?»
«Bianca» sussurrò Alessia.
Il nome lo colpì con forza.
Bianca: il nome che un tempo avevano sognato per una figlia, quando il loro mondo era ancora intero.
Giuliano si lasciò cadere su una sedia. «Parla. Perché te ne sei andata?»
Alessia esitò, poi si sedette di fronte a lui, le braccia protettive intorno a Bianca.
«Scoprii di essere incinta la stessa settimana in cui la tua società fu quotata in borsa» disse. «Lavoravi senza sosta. Non volevo essere un peso.»
«Era una mia decisione» replicò lui, tagliente.
«Lo so» sussurrò lei, le lacrime che luccicavano. «Poi scoprii di avere un cancro.»
Il suo cuore sprofondò.
«Era al secondo stadio. Non sapevano se sarei sopravvissuta. Non volevo che tu dovessi scegliere tra la tua azienda e una fidanzata morente. Così me ne andai. Partorii da sola. Lottai contro la chemio da sola. E sopravvissi.»
Lui rimase senza parolela rabbia e la tristezza che si mescolavano.
«Non ti fidavi abbastanza di me per lasciarmi aiutarti?» domandò alla fine.
Gli occhi di Alessia si riempirono di lacrime. «Non mi fidavo nemmeno di me stessa per sopravvivere.»
Bianca tirò la manica della madre. «Mamma, ho sonno.»
Giuliano si chinò. «Vuoi riposare in un letto caldo?»
La bambina annuì.
Lui guardò Alessia. «Non te ne andrai stanotte. La stanza degli ospiti è pronta.»
«Non posso restare» disse in fretta.
«Sì, puoi» replicò lui, deciso. «Non sei una qualunque sei la madre di mia figlia.»
Lei rimase immobile. «Quindi pensi che sia tua?»
«Non ho bisogno di un test. Lo vedo in lei.»
Quella notte, dopo che Bianca si era addormentata di sopra, Giuliano era sul balcone, a guardare il cielo tempestoso. Alessia si unì a lui, avvolta in una vestaglia della servitù.
«Non ho mai voluto distruggere la tua vita» disse.
«Non lhai fatto» rispose lui, a bassa voce. «Ti sei solo cancellata da essa.»
Il silenzio si protrasse.
«Non chiedo niente» disse Alessia. «Ero disperata.»
Giuliano si voltò verso di lei. «Sei stata lunica donna che ho amato. Te ne sei andata senza lasciarmi lottare per te.»
Le lacrime le rigarono il viso.
«Ti amo ancora» sussurrò. «Anche se mi odi.»
Lui non rispose. Invece, guardò verso la finestra dove Bianca dormiva al sicuro e al caldo.
Alla fine disse: «Resta. Almeno finché non capiremo cosa verrà dopo.»
La luce del mattino si infilò dolcemente tra le nuvole, inondando la tenuta di un bagliore dorato. Per la prima volta in anni, non sembrava più vuota.
Giù, Giuliano preparava uova strapazzateuna raritàin una cucina pervasa dal profumo di burro e toast. Sentì passi leggeri dietro di sé.
Alessia era sulla soglia, tenendo per mano Bianca. La bambina indossava un pigiama pulito, i capelli accuratamente ricciolati.
«Adesso cucini?» sorrise debolmente Alessia.
«Ci provo» rispose Giuliano, porgendo un piatto a Bianca. «Per lei.»
Bianca si sistemò su una sedia, mangiando come se non avesse visto un pasto decente da tempo.
«Le piaci» disse Alessia sottovoce.
Giuliano alzò lo sguardo. «È facile volerle bene.»
Nei giorni seguenti, si instaurò un ritmo scomodo. Alessia manteneva le distanze, incerta se fosse tutto reale o temporaneo. Giuliano osservava ogni sguardo, ogni piccolo gesto, come se cercasse di recuperare anni perduti.
Ma non tutti le accolsero bene.
Un pomeriggio, Giuliano tornò da una riunione e trovò la sua assistente, Carlotta, ad aspettarlo.
«Hai una donna e una bambina che vivono qui ora?» chiese, a braccia conserte.
«Sì» rispose lui. «Questa è Alessia e sua figlia.»
«Tua figlia?»
Lui annuì.
Carlotta aggrottò la fronte. «Il consiglio sta già facendo domande.»
«Che facciano» rispose Giuliano con freddezza. «La famiglia non ha bisogno della loro approvazione.»
La parola gli suonò strana in bocca ma era quella giusta.
Quel pomeriggio, Alessia era in giardino, a guardare Bianca inseguire farfalle.
Giuliano portò due tazze di tè. «Ti è sempre piaciuto il