Posso pulire la tua casa in cambio di un piatto di pasta?” — Quello che il milionario ha visto lo ha lasciato senza parole

La pioggia batteva forte sul tetto di vetro dellenorme villa di Giuliano Mancini, alle porte di Milano. Dentro, il milionario era accanto al camino acceso, con una tazza di caffè nero in mano, lo sguardo perso tra le fiamme danzanti. La ricchezza aveva riempito la sua vita di lussi ma non di pace.

Un colpo secco ruppe il silenzio.

Giuliano aggrottò le sopracciglia. Non aspettava nessuno. La servitù aveva il giorno libero e le visite erano rare. Posò la tazza e si avviò verso la porta dingresso, aprendola.

Davanti a lui cera una donna, fradicia, che stringeva una bambina di non più di due anni. I vestiti erano sottili e consumati, gli occhi vuoti e stanchi. La piccola si aggrappava al suo maglione, osservando in silenzio.

“Scusi se la disturbo, signore,” disse la donna con voce tremante. “Non mangio da due giorni. Se mi lascia pulire casa sua, mi basta un piatto di cibo per me e per mia figlia.”

Giuliano rimase immobile.

Non per pietà, ma per stupore.

“Beatrice?” sussurrò.

Lei sollevò lo sguardo, con incredulità dipinta sul volto. “Giuliano?”

Il tempo sembrò piegarsi su se stesso.

Sette anni prima, era scomparsasenza avviso, senza addio, semplicemente se nera andata.

Lui fece un passo indietro, il cuore in gola. Lultima immagine che aveva di Beatrice Rossi era lei con un vestito rosso destate, scalza nel suo giardino, ridendo come se nulla potesse ferirla.

E ora era lì, con vestiti logori, fragile e stanca.

“Dove sei stata?” chiese, con la voce tesa.

“Non sono qui per un ricongiungimento,” rispose lei, la voce rotta. “Ho solo bisogno di cibo. Poi me ne andrò.”

Il suo sguardo cadde sulla bambina. Riccioli biondi, occhi azzurri luminosigli stessi occhi di sua madre.

“È mia?” domandò a bassa voce.

Beatrice distolse lo sguardo, in silenzio.

Giuliano si fece da parte. “Entra.”

Dentro, il calore le avvolse. Beatrice rimase impacciata sul pavimento di marmo, grondando acqua piovana, mentre Giuliano ordinava allo chef di preparare da mangiare.

“Hai ancora la servitù?” mormorò.

“Certo,” rispose lui, con un tono tagliente. “Ho tutto tranne risposte.”

La bambina si avvicinò a una ciotola di fragole e sussurrò timidamente: “Grazie.”

Giuliano sorrise appena. “Come ti chiami?”

“Ginevra,” sussurrò Beatrice.

Il nome lo colpì con forza.

Ginevra: il nome che un giorno avevano sognato per una figlia, quando il loro mondo era ancora intero.

Giuliano si lasciò cadere su una sedia. “Inizia a parlare. Perché te ne sei andata?”

Beatrice esitò, poi si sedette di fronte a lui, con le braccia protettive intorno a Ginevra.

“Ho scoperto di essere incinta la stessa settimana in cui la tua società è stata quotata in borsa,” disse. “Lavoravi senza sosta. Non volevo essere un peso.”

“Era una mia scelta,” replicò lui, secco.

“Lo so,” sussurrò lei, con le lacrime che luccicavano. “Poi ho scoperto di avere un tumore.”

Il suo cuore sprofondò.

“Era al secondo stadio. Non sapevano se sarei sopravvissuta. Non volevo che dovessi scegliere tra la tua azienda e una fidanzata morente. Così me ne sono andata. Ho partorito da sola. Ho affrontato la chemio da sola. E sono sopravvissuta.”

Lui rimase senza parolecon rabbia e dolore che si mescolavano.

“Non ti fidavi abbastanza di me da lasciarmi aiutarti?” chiese alla fine.

Gli occhi di Beatrice si riempirono di lacrime. “Non mi fidavo nemmeno di me stessa per sopravvivere.”

Ginevra tirò la manica della madre. “Mamma, ho sonno.”

Giuliano si chinò. “Vuoi riposare in un letto caldo?”

La bambina annuì.

Lui guardò Beatrice. “Non te ne andrai stanotte. La stanza degli ospiti è pronta.”

“Non posso rimanere,” disse in fretta.

“Puoi,” rispose lui, fermamente. “Non sei una qualunque sei la madre di mia figlia.”

Lei si irrigidì. “Quindi credi che sia tua?”

“Non ho bisogno di un test. Lo vedo in lei.”

Quella notte, dopo che Ginevra si fu addormentata, Giuliano era sul balcone, a guardare il cielo tempestoso. Beatrice lo raggiunse, avvolta in una vestaglia della servitù.

“Non volevo distruggere la tua vita,” disse.

“Non lhai fatto,” rispose lui, a bassa voce. “Ti sei solo cancellata da essa.”

Il silenzio si protrasse.

“Non chiedo nulla,” disse Beatrice. “Ero disperata.”

Giuliano si voltò verso di lei. “Sei lunica donna che ho amato. Te ne sei andata senza lasciarmi lottare per te.”

Le lacrime le rigarono le guance.

“Ti amo ancora,” sussurrò. “Anche se mi odi.”

Lui non rispose. Invece, guardò verso la finestra dove Ginevra dormiva al sicuro e al caldo.

Alla fine disse: “Resta. Almeno finché non scopriremo cosa verrà dopo.”

La luce del mattino filtrava dolcemente tra le nuvole, illuminando la villa con un bagliore dorato. Per la prima volta in anni, non sembrava vuota.

Al piano di sotto, Giuliano preparava uova strapazzateuna raritàin una cucina impregnata dal profumo di burro e toast. Sentì passi leggeri alle sue spalle.

Beatrice era sulla soglia, con la mano di Ginevra nella sua. La bambina indossava un pigiama pulito, i capelli ricci ben sistemati.

“Adesso cucini?” sorrise debolmente Beatrice.

“Ci provo,” rispose Giuliano, porgendo un piatto a Ginevra. “Per lei.”

Ginevra si accomodò su una sedia, mangiando come se non avesse visto un pasto decente da tempo.

“Le piaci,” disse Beatrice a bassa voce.

Giuliano alzò lo sguardo. “È facile volerle bene.”

Nei giorni seguenti, si stabilì un ritmo scomodo. Beatrice manteneva le distanze, incerta se fosse tutto reale o temporaneo. Giuliano osservava ogni sguardo, ogni piccolo gesto, come se cercasse di recuperare anni perduti.

Ma non tutti le accolsero bene.

Un pomeriggio, Giuliano tornò da una riunione e trovò la sua assistente, Carlotta, ad aspettarlo.

“Ora hai una donna e una bambina che vivono qui?” chiese, a braccia conserte.

“Sì,” rispose lui. “Quella è Beatrice e sua figlia.”

“Tua figlia?”

Lui annuì.

Carlotta aggrottò la fronte. “Il consiglio sta già facendo domande.”

“Che le facciano,” rispose Giuliano con freddezza. “La famiglia non ha bisogno della loro approvazione.”

La parola gli suonò strana in bocca ma era quella giusta.

Quel pomeriggio, Beatrice era in giardino, a guardare Ginevra inseguire farfalle.

Giuliano portò due tazze di tè. “Ti è sempre piaciuto il tramonto.”

“Era lunico momento in cui il mondo era in silenzio.”

Lui bevve un sorso. “Perché non sei torn

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