Povero Gattino

E allora, partiamo. Andammo a trovare la suocera. Sì, proprio lei.
Viveva in un paesino minuscolo, in una casetta tutta sua, proprio in fondo alla strada. E oltre?
Oltre c’erano boschi, un fiume, un laghetto e la pesca. Aria fresca, uccellini che cinguettavano, passeggiate a raccogliere funghi e frutti di bosco. Un paradiso per le mie due pastore tedesche. Che, tra l’altro, mia moglie aveva preso nonostante tutte le mie proteste e spiegazioni logiche. Eh già, perché tenere due bestioni del genere in un trilocale al quinto piano? Missione impossibile.

Insomma, alla fine mi hanno messo davanti al fatto compiuto, promettendomi una cosa fondamentale:
“Le porteremo fuori io e la bambina!”
Ah, davvero?
Avete creduto a questa bugia?
Io no, e avevo ragione. Alla fine toccava sempre a me portarle a spasso e occuparmi di loro.
Ecco com’è andata.

Quindi, questa gita in campagna—anzi, questo viaggio alla casa della suocera—lo vedevo come una vacanza. Che, naturalmente, si trasformò in un tour de force di lavori domestici, piccoli (e grandi) riparazioni, e manutenzione del giardino. Alla fine, stravolto dalla fatica, mi ero già scordato di pesca, funghi e frutti di bosco.
Gli unici felici, in tutto quel casino, erano le pastore tedesche. Libertà totale! Correre dove volevano, fare quello che gli pareva.
E io? Io li guardavo e rosicavo dall’invidia.

Ma il secondo giorno successe l’irreparabile.
Le due portarono in casa… un gatto.
Vecchiotto, mezzo spelacchiato, nero e bianco, sporco e pieno di pulci.
Le pastore, ferme nel corridoio, guaivano come anime in pena, supplicanti. Il gatto, seduto davanti a loro, faceva finta di essere un santarellino pentito.
La suocera, mia moglie e la bambina—che, ovviamente, non si erano fatte troppo problemi con i lavori in giardino (ci pensavo io, no?)—scoppiarono in lacrime, sospiri e ammirati commenti sulla nobiltà d’animo delle nostre cagnolacce.

Il gatto fu accolto a braccia aperte: lavato, asciugato, imbottito di croccantini, coccolato e coperto con i baci. Poi si acciambellò sulla mia poltrona.
A me? A me lasciarono uno sgabello.
Lo battezzarono *Gattino Poverino*.
Ma io, da buon osservatore, capii subito che dietro quello sguardo innocente si nascondeva un vero *Brigante con la coda*.

Per due settimane, mentre io facevo il bracciante agricolo per la suocera, questa creatura si comportò da angioletto del cielo.
Giocava con le donne e i cani, conquistandosi così la loro eterna devozione.
Io speravo con tutto il cuore di lasciarlo lì, ma dopo una battaglia (vinta dalla bambina), la suocera imbustò degli snack per il suo “tesoruccio”, lo baciò sul naso e… lo caricammo in macchina per portarlo a casa nostra.

E fu qui che il *Gattino Poverino* mostrò la sua vera natura.
Prima cosa? Dimostrò a quei due levrieri impagliati chi fosse il vero padrone di casa. Dopo un breve (ma intenso) scontro, i cani ne uscirono con qualche graffio sul muso e la profonda comprensione di aver commesso un errore fatale.

Mia moglie e la bambina lo adoravano. I gatti sanno come farsi amare dalle donne, a differenza mia.
Ora, durante le passeggiate, io portavo a spasso i cani al guinzaglio, mentre il gatto se ne andava libero. L’unica consolazione? Le pastore tedesche camminavano in perfetto ordine, una di fianco all’altra, senza osare nemmeno lanciare un’occhiata al *Gattino Poverino*, che avanzava fiero con la coda dritta.

I vicini si stupivano:
“Ma come avete fatto a addestrarle così bene? Che meraviglia, sembrano dei soldatini!”
Io, cupo, mi limitavo a sorridere. *Gattino Poverino* avrebbe potuto addestrare anche un rinoceronte.
Di solito si sdraiava al centro del prato, mentre noi giravamo attorno a lui con i cani. Lui ci osservava con l’aria di un capo severo, i cani mi guardavano con occhi supplichevoli.

Poi un giorno arrivò una nuova minaccia.
Due pitbull, senza museruola e senza guinzaglio. Il loro padrone, appena trasferitosi nel quartiere, sembrava intenzionato a dimostrare chi comandasse.
Prima fecero piazza pulita dei gatti randagi, poi mandarono al veterinario un paio di cani troppo curiosi.
Quando uscimmo noi, il cortile era deserto.
I pitbull ci videro e, presumibilmente, pensarono di avvicinarsi furtivi per attaccare. Il loro padrone, invece di fermarli, iniziò a filmare tutto col telefonino, convinto di assistere a uno spettacolo divertente.

I cani si lanciarono prima sulle mie pastore tedesche, pensando che, legate, non potessero scappare.
A me e al gatto avevano riservato il ruolo di “dessert”.
Male fecero.

Appena le pastore videro i pitbull scattare, tirarono i guinzagli con tale forza che mi fecero cadere a terra. Io, già immaginando il peggio, mi preparavo al ruolo dell’eroe: urlare, agitare le braccia, mostrarmi coraggioso.
Ma non ebbi nemmeno il tempo di alzarmi.

Perché *Gattino Poverino* si trasformò in una furia.
Il suono che emise saltando sulla faccia del primo pitbull era così potente che avrebbe messo in imbarazzo una sirena dei pompieri.
In due secondi, il muso del pitbull era un disastro, mentre il secondo, vedendo la furia del gatto, si accucciò, scodinzolò e scappò dal padrone, ululando come un cucciolo.

Il tizio col telefonino continuava a filmare, ma adesso con un’espressione decisamente meno entusiasta.
E sì, era in diretta.

Ora i pitbull escono al guinzaglio e col museruola. Ma solo quando *noi* non siamo in giro.
Perché se ci incontrano, scappano con la coda tra le gambe e si nascondono dietro al padrone.
Le pastore tedesche, da allora, leccano il loro salvatore con devozione. E anche io, lo ammetto, ho cambiato atteggiamento.

Quando moglie e figlia non ci sono, prendo due birrette e due acciughe salate.
La birra la bevo io, le acciughe le divido col mio protettore.
I cani guardano in silenzio. Non protestano. Perché i cani, si sa, sono intelligenti.

A volte il gatto viene da me e lo accarezzo. Ma nei suoi occhi si intravede qualcosa che non c’entra nulla con l’etichetta di *Gattino Poverino*. È come se dentro di lui ci fosse l’animE forse, un giorno, scoprirò il vero nome di quel gatto, ma per ora mi basta sapere che, se la vita mi manda in cantina, lui sarà lì a graffiare chiunque osi venirmi a cercare.

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