Prendi il bambino, a me non interessa. Ma in cambio, dammi dei soldi,” disse una madre.

“Prendilo pure, se vuoi, non mi dispiace. Non lo sopporto. Ma in cambio dammi dei soldi,” disse Vicky.

Serena aveva un viso allungato, con occhi marroni leggermente sporgenti, denti grandi e un mento pesante. Ma i capelli erano folti, scuri, mossi a riccioli abbondanti. Se li raccoglieva alla nuca, formavano un’acconciatura elegante, ma così i difetti del viso si notavano di più. Perciò andava sempre a capelli sciolti.

Neanche il fisico era perfetto, come plasmato da uno scultore inesperto. Ma il corpo si poteva nascondere con i vestiti, il viso no…

A volte, per strada, qualche ragazzo le gridava alle spalle:

“Ehi, signorina, facciamo due chiacchiere?”

Ma quando si voltava, balbettava scuse, diceva di averla confusa, e spariva.

“Perché a una così brutta toccano dei capelli così belli?” sospiravano invidiose le compagne di scuola.
Persino Serena avrebbe voluto barattarli per chioma piatta e spenta, pur di avere un viso più carino, anche solo un po’.

Amiche non ne aveva. Ma c’era un ragazzo che le piaceva. Seduto nella fila accanto, a volte le chiedeva di copiare i compiti o di suggerirgli durante le verifiche. Serena studiare era bravissima.

Un giorno, quel ragazzo la invitò al cinema. Serena era al settimo cielo. Usciti dalla sala, camminavano verso casa chiacchierando. Lui però si voltava spesso.

“Cosa cerchi? Hai paura che ti vedano con me?” chiese lei senza giri di parole.
Arrossì, imbarazzato.

Davanti al portone, le diede un goffo bacio. E subito, da dietro l’angolo, scoppiò a ridere il gruppo dei suoi amici. Serena capì tutto. Avevano scommesso se sarebbe riuscito a baciare la “bruttina”.

“Cosa ti hanno promesso per questo?” gli urlò in faccia prima di scappare in casa.
Da allora non lo degnò più di uno sguardo, né gli passò compiti.

“Non ti abbattere, di uomini ne avrai eccome. Anch’io ho trovato marito, lo troverai pure tu,” cercava di consolarla la madre, che di bellezza non brillava.

Serena finì il liceo con la lode e si iscrisse a Economia. Studiare le veniva facile, si laureò con il massimo dei voti. Ma invidiava le compagne più carine, che uscivano, si sposavano e perfino facevano figli durante gli studi.

Dopo la laurea, il padre – un avvocato affermato con molte conoscenze – la fece assumere in un’azienda importante.

Le colleghe correvano a casa da mariti e figli sempre malati. Lei invece restava in ufficio a sistemare il lavoro degli altri. Dove mai doveva andare di fretta? Per questo la stimavano, i capi la apprezzavano. Su di lei potevano contare: faceva tutto perfetto, in tempo, senza errori.

In segno di gratitudine, le colleghe cercavano di presentarle qualche amico dei loro mariti. Di solito erano divorziati, con l’ex moglie rimasta nella casa di famiglia. Stanchi di affitti e avventure, cercavano un approdo sicuro. Serena sarebbe andata benissimo. Ma non era quello che voleva. Come tutte le donne, sognava l’amore. La notte piangeva, maledicendo il destino che l’aveva fatta nascere così.

Poi morì il padre, e due anni dopo la madre. Erano anziani – matrimonio tardivo, figlia unica. Serena rimase sola al mondo. Gli anni passavano, e l’età in cui un figlio sano diventa un miracolo si avvicinava.

Una collega le propose una vacanza al mare.

“Il nostro direttore aveva lo stesso problema,” bisbigliò. “Uomo forte, bello, ma poco fertile. La moglie sognava un figlio, ma divorziare? Casa piena, macchine di lusso, status… I medici gli suggerirono di fare una bella vacanza al mare, con un sottinteso chiaro.”

Andarono in vacanza in Grecia. Lì lei “peccò” con un bel cameriere, dopo aver controllato il gruppo sanguigno. Capisci dove voglio arrivare?”

“E tu come lo sai? Del direttore?” chiese Serena, anche lei sussurrando.

“Non importa. Tutti sono felici: lui ha un erede. In vacanza tutti gli uomini sono single, con o senza anello. Ti abbronzi, ti rilassi, e magari succede. Basta scegliere uno bello, per migliorare la razza.”

“Come si fa con i cuccioli di razza o i cavalli da gara?” sbottò Serena.

“Più o meno. Oppure puoi provare qui, ma che casino se poi litiga la moglie? Lì tutti sono stranieri, single o divorziati.”

Non ci credeva molto, ma Serena partì. Una sera, passeggiando sul lungomare, conobbe un uomo affascinante. Alto, robusto, bello. Fece finta di slogarsi una caviglia. Lui, da gentiluomo, la sorresse, la portò al bar più vicino, dove cenarono.

Serena fu diretta: gli disse cosa cercava. Lui non rise, non scappò. La guardò e capì.

Tornata a casa, era abbronzata, rilassata, felice. Ancora non sapeva di essere incinta. Due settimane dopo lo scoprì. Nove mesi dopo nacque una bellissima bambina.

L’ostetrica – una donna che capiva senza giudicare – assistette al parto. Nessuno venne in ospedale, nessun biglietto di auguri, nessun “grazie” urlato sotto la finestra.

Alla dimissione, la dottoressa regalò a Serena due confezioni di latte artificiale, un pacco di pannolini e il suo numero personale. “Chiamami se serve.” Diventarono amiche. La bambina la chiamò Vittoria.

La viziava senza freni, riversandole tutto l’amore mai speso. Cresceva bella, capricciosa, viziata. Della madre aveva solo i capelli, per il resto era uguale al padre.

I ragazzi le correvano dietro. A scuola andava male. Dopo il liceo non voleva studiare. A 18 anni si innamorò di un rockettaro. Passava le serate in moto con lui. Per quanto Serena la sgridasse, la supplicasse, lei sognava solo il matrimonio. Almeno il diploma lo prese.

Stanche di litigi, una sera Serena tornò a casa e trovò un biglietto: “Non cercarmi. Sono partita col mio ragazzo per Milano, mi ha chiesto di sposarlo…”

Cosa fare? Denunciare alla polizia? Ma non l’avrebbero cercata: maggiorenne, partita volontaria. Serena pianse e si immerse nel lavoro.

Passò un anno. Una telefonata dell’amica ostetrica la gelò. Ultimamente si sentivano poco.

L’amica andò subito al punto: una ragazza aveva rifiutato il neonato.

“Nome, cognome, residenza… Non può essere un caso. È tua figlia.”

“Mio Dio,” riuscì a dire Serena.

“Non piangere, vieni subito in ospedale prima che scappi. Ho bloccato le pratiche. Devi convincerla a firmare i documenti. Se rifiuta, riprenderti il nipote sarà difficile. Non dirai di no, vero? Lo so, per questo ti chiamo. Poi vedremo. Magari si ravvede. Credo che il padre l’abbia lasciata. Il bimbo è bellissimo, un angelo. Piccoli problemi di salute, ma niente di grave.”

Serena corse in ospedale. La figlia sembrava un gatto randagio. Non fu felice di vederla, ma ascoltò la richetta di ritirare il rifiuto.

“Prendilo, se vuoi. Non lo sopporto. Ma dammi dei soldiSerena abbracciò il nipotino con tutte le sue forze, mentre Vittoria voltò le spalle e uscì dalla stanza, lasciandosi alle spalle il passato per sempre.

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