**”Prenditi pure il bambino, non mi interessa. Non voglio nemmeno vederlo. Ma in cambio dammi dei soldi,” disse Vittoria.**
Alessandra aveva un viso allungato, occhi marroni un po’ sporgenti, denti grandi e un mento pesante. Ma i capelli… oh, i capelli erano una meraviglia: folti, scuri, con ricci enormi. Se li raccoglieva in uno chignon, sembrava una diva d’altri tempi, peccato che il viso diventasse ancora più evidente. Perciò teneva sempre i capelli sciolti.
Anche il fisico non era un capolavoro, come se fosse stato modellato da un artista poco talentuoso. Ma quello si poteva nascondere con i vestiti, mentre il viso…
A volte, per strada, qualche ragazzo le gridava alle spalle:
“Ehi, bella, facciamo due chiacchiere?”
Ma quando si girava, balbettava scuse e spariva come un ladro di notte.
“Perché una brutta come lei ha quei capelli?” sussurravano invidiose le compagne di scuola.
Alessandra avrebbe scambiato volentieri i suoi magnifici ricci con qualsiasi ciuffo liscio e spento, pur di avere un viso un po’ più carino.
Amiche, zero. Ma un ragazzo le piaceva. Stava nel banco accanto e ogni tanto le chiedeva di copiare i compiti o di suggerirgli durante le verifiche. Lei, intanto, studiava come un’ossessa.
Un giorno, quel ragazzo la invitò al cinema. Alessandra volava dalla felicità. Usciti dalla sala, tornarono a casa chiacchierando. Lui, però, continuava a guardarsi alle spalle.
“Cosa cerchi? Hai paura che qualcuno ti veda con me?” gli chiamo senza giri di parole.
Lui arrossì e abbassò lo sguardo.
Davanti a casa sua, le diede un bacio goffo. E subito, da dietro l’angolo, scoppiò una risata dei suoi amici. Alessandra capì tutto. Avevano scommesso se sarebbe riuscito a baciare la “mostra”.
“Cosa ti hanno promesso in cambio?” gli urlò in faccia prima di scappare dentro.
Da quel giorno, lo ignorò, e niente più copiature.
“Non ti preoccupare, di uomini ne avrai anche tu. Anch’io mi sono sposata, e tu farai lo stesso,” la consolava la madre, altrettanto poco avvenente.
Alessandra finì il liceo con il massimo dei voti e si iscrisse a Economia. Studiare per lei era una passeggiata, e si laureò con lode. Ma invidiava le compagne più carine, che uscivano, si sposavano e addirittura facevano figli prima della laurea.
Dopo l’università, il padre – avvocato di una certa fama, con ottime conoscenze – le trovò un posto in un’importante azienda.
Mentre le colleghe correvano a casa da mariti e figli perennemente malati, lei rimaneva in ufficio fino a tardi, sistemando il lavoro di tutti. Dove doveva andare? Non aveva nessuno che l’aspettava. Le colleghe la adoravano per la sua disponibilità, i capi la stimavano. Una su cui potevano contare. Precisa, puntuale, impeccabile.
In cambio, cercavano di presentarle amici dei loro mariti: quasi sempre divorziati, con l’appartamento finito in mano all’ex moglie. Stanchi di vagare tra case in affitto e relazioni occasionali, avrebbero aggrappato volentieri a un porto sicuro. E Alessandra, in fondo, andava bene lo stesso. Ma lei non voleva così. Come tutte le ragazze, sognava l’amore. Piangeva di nascosto, maledicendo la sorte che l’aveva resa così poco attraente.
Poi morì il padre, e due anni dopo, la madre. Erano entrambi anziani – matrimonio tardivo, figlia unica. Alessandra rimase sola al mondo. Il tempo passava, e l’orologio biologico ticchettava implacabile verso il punto di non ritorno
Una collega le suggerì di andare in vacanza al Sud.
“Il nostro direttore aveva lo stesso problema,” le sussurrò. “Lui, uomo robusto e affascinante, ma poco fertile. La moglie sognava un figlio, ma divorziare? Con quella vita agiata, macchine di lusso, status sociale… I medici gli consigliarono, con un sottile suggerimento, di andare al mare e rilassarsi.”
Andarono in Turchia. Lì, lei si concesse a un bellissimo cameriere, dopo avergli chiesto il gruppo sanguigno. Sai, per sicurezza. Capisci dove voglio arrivare?”
“E tu come lo sai? Del direttore?” chiese Alessandra, anche lei a bassa voce.
“Non importa. Tutti sono felici ora. Lui ha un erede. In vacanza, tutti gli uomini sono single, matrimonio o no. Ti abbronzi, ti rilassi, e magari combini qualcosa. Basta sceglierne uno bello, per migliorare la razza.”
“Come un cucciolo di razza o un cavallo da asta?” sbottò Alessandra.
“Più o meno. E come pensi che funzioni? Puoi provare anche qui, ma sai com’è… Se lo incontri, poi magari c’è la moglie incazzata. Lì sono tutti stranieri, tutti single o divorziati.”
Non convinta, ma ormai stanca di rimuginare, prese ferie e partì. Una sera, passeggiando sul lungomare, conobbe un uomo affascinante. Perfetto: alto, spalle larghe, un bell’aspetto. Fece finta di storcere una caviglia. Lui, da gentiluomo, la sostenne, la portò in un bar, e ci restarono a cena.
Alessandra non perse tempo: gli disse chiaramente cosa voleva. Lui non scappò, non rise, la guardò intensamente. E capì.
Tornò a casa abbronzata, rilassata e felice, ignara di essere già incinta. Due settimane dopo, lo scoprì. Nove mesi dopo, nacque una bellissima bambina.
L’ostetrica che assistette al parto capiva donne come lei, e non giudicava. Nessuno venne a trovare quella madre poco avvenente, nessun biglietto di felicitazioni, nessun grido di gioia sotto la finestra.
Alla dimissione, la dottoressa le regalò due scatolette di latte artificiale, una confezione di pannolini e il suo numero di telefono personale. “Chiamami se hai bisogno.” Diventarono amiche. La bambina la chiamò Vittoria.
La viziava senza freni, riversando su di lei tutto l’amore mai espresso. Vittoria cresceva bellissima, capricciosa e viziata, senza mai un “no”. Della madre aveva ereditato solo i capelli, per il resto era la copia del padre.
I ragazzi le correvano dietro. A scuola, però, era una frana. Non aveva intenzione di continuare gli studi. Già al liceo si era innamorata di un rockettaro, e passava le serate in sella alla sua moto. Per quanto Alessandra la sgridasse, la supplicasse, quella sognava solo il matrimonio. Per fortuna, almeno il diploma lo prese.
Stanche di litigi, un giorno Alessandra tornò a casa e trovò un biglietto: Vittoria era scappata col suo ragazzo a Milano. “Non cercarmi…”
Che fare? Denunciarla? Ma ormai era maggiorenne, partita di sua spontanea volontà. Pianse, poi si buttò nel lavoro.
Passò più di un anno, quando una telefonata dell’amica ostetrica la gelò. Ultimamente si sentivano poco.
L’amica andò subito al sodo: una giovane partoriente aveva rinunciato al bambino.
“Cognome, nome, indirizzo… Non può essere un caso. È tua figlia.”
“Santo cielo,” riuscì a dire Alessandra.
“Non piangere, vAlessandra strinse al petto il nipotino, promettendo a se stessa che questa volta avrebbe fatto tutto diversamente, mentre fuori la pioggia batteva piano contro i vetri e la vita, finalmente, sembrava sorriderle.