Presagio: Un’Anticipazione delle Meraviglie Nascoste

27 aprile 2025

Oggi mi ritrovo a scrivere su questo taccuino, perché la vita qui al terzo piano di un palazzone di mattoni a Bologna sembra aver cambiato colore. Le pareti del nostro edificio sono talmente sottili che ogni starnuto del vicino di sopra risuona nei termosifoni come un eco. Da tempo non mi spaventa più il cigolio della porta quando gli inquilini sbattono, né le liti per lo spostamento dei mobili, né il televisore che l’anziana del piano di sotto accende a volume massimo.

Quello che però mi fa perdere la pazienza è l’operato del mio vicino di sopra, Alessandro. Ogni sabato, senza ritegno, sfodera una trapano o un martello pneumatico, a volte alle nove del mattino, a volte alle undici, ma sempre durante il fine settimana, proprio quando avrei dovuto concedermi qualche ora di sonno. Allinizio, cercando di essere filosofico, mi limitavo a pensare: Forse stanno facendo dei lavori, capirò. Mi giravo nel letto, coprivo la testa con il cuscino e speravo.

Le settimane sono passate, e il rombo del trapano continuava a svegliarmi di sabato, alternandosi in brevi raffiche o lunghi lamenti. Talvolta il rumore arrivava anche nei giorni feriali, verso le sette di sera, quando rientravo dal lavoro sognando il silenzio della mia casa. Ogni volta mi veniva voglia di alzarmi e dire ad Alessandro tutto quello che pensavo, ma la stanchezza, la pigrizia o il timore di creare un conflitto mi freniavano.

Una mattina, mentre la punta della trapano urlava sopra di me, non ce lho più fatta. Ho corso su per le scale, ho suonato il campanello, ho bussato con decisione, ma lunico suono che ho sentito è stato il rombo inesorabile del trapano che vibrava fino al cranio. Un giorno! ho sputato, senza però finire la frase.

Nella mia mente correvano scenari: dal denunciarlo al gestore delledificio, al chiamare la polizia, fino a ipotizzare di bloccare le prese daria con la schiuma. A volte immaginavo Alessandro che, pentito, bussasse alla porta per chiedere scusa, oppure che decidesse di trasferirsi. Qualsiasi cosa che fermasse quel rumore incessante.

Il rumore era diventato per me simbolo di ingiustizia. Pensavo: Se solo qualcuno al condominio si alzasse in piedi e chiedesse che questo incubo finisca!. Ma tutti rimanevano immobili.

E poi è accaduto qualcosa che non avrei mai previsto

Sabato, mi svegliai non al frastuono, ma al silenzio. Rimasi a lungo sdraiato, ad ascoltare, chiedendomi quando sarebbe tornato quel fastidioso rumore. Ma il silenzio era denso, quasi tangibile. È finita! È andato via?, mi chiesi, e un sorriso timido affiorò sul mio volto. Il giorno trascorse con una strana sensazione di libertà: laspirapolvere era più silenzioso, il bollitore cantava una melodia gentile e la televisione non vibra più con il soffitto.

Anche domenica e i giorni seguenti regnò lo stesso silenzio. Era come se il rumore fosse stato cancellato dalla mia vita. Dopo una settimana di quiete, però, la calma mi sembrava troppo perfetta, quasi innaturale, come se qualcosa si fosse rotto.

Mi trovai davanti alla porta di Alessandro, il cuore in gola, chiedendomi perché volessi bussare: per confermare che fosse tutto a posto? Oppure per vedere se ero io il problema? Premetti il campanello. La porta si aprì quasi subito e dentro mi apparve una donna incinta, il volto pallido, gli occhi gonfi. Lavevo vista un paio di volte nel corridoio, ma ora sembrava invecchiata di anni.

Lei è la moglie di Alessandro? chiesi con delicatezza. Lei annuì. È successo qualcosa? Non lo sento più Le parole si strozzarono in gola; sembrava assurdo parlare di silenzio con un gesto tanto umano.

La donna fece un passo indietro, mi lasciò entrare e, con voce bassa, sussurrò: Lesaur non cè più. Ci vollero alcuni secondi perché capissi: Quando è successo?. Sabato scorso, al mattino presto, rispose, asciugandosi una lacrima. Il lavoro lo teneva sveglio, voleva finire una culla per il bambino. Era di corsa, aveva paura di non riuscire in tempo è caduto.

Un brivido mi percorse la schiena. Davanti alla finestra, accanto al muro, giaceva una culla smontata, metà assemblata, con istruzioni, scatole di viti, una chiave a brugola e numerosi pezzi sparsi ordinatamente sul pavimento.

È solo è caduto, bisbigliò, il cuore ancora in tumulto. Le parole le si facevano lente, pesanti, come se dovessero penetrare nella mia anima.

Quel rumore, che tanto mi aveva irritato, ora era leco di una tragedia. Il mio sguardo cadde su una scatola di viti e bulloni, disposti con cura, quasi un ultimo omaggio di chi voleva comunque fare qualcosa di importante.

Posso aiutarla? provai a dire, ma lei scosse la testa: Grazie, non serve.

Uscì di casa quasi a passo duomo, come chi si allontana da un dolore appena nato. Scendendo le scale, il peso della colpa mi stringeva il petto, un senso di colpa senza forma ma ardente.

Tornai al mio appartamento e guardai il soffitto. Il silenzio era denso, quasi a rimproverare. Forse odiavo Alessandro perché mi impediva di dormire, perché era diventato per me solo un rumore fastidioso, non una persona.

Ora non cè più. Al suo posto cè una donna che piange la perdita di un padre e che aspetta la nascita di un figlio senza genitore. Cè una culla che egli desiderava tanto assemblare, ma che non ha potuto completare.

Devo andare da sua moglie, aiutarla, pensai. Forse lei non potrà farlo da sola.

Quella sera, il silenzio continuava a riempire la stanza. Mi sedei in cucina, quasi al buio, e capii che non avrei potuto addormentarmi senza fare qualcosa. Salii di nuovo, suonai e la porta si aprì; la donna alzò le sopracciglia, sorpresa. Un po imbarazzato, le dissi: So che ci conosciamo appena, ma se vuole posso montare la culla. Era importante per lui. Dopo un lungo sguardo, finalmente annuì: Entro.

Entrai, passo dopo passo tra le scatole di viti, e lavorai in silenzio. Lei sedeva sul divano, accarezzando il pancione, a volte singhiozzando piano per non disturbare. Quando infilai lultima vite e sistemai la rete della culla, laria nella stanza cambiò, come se un peso si fosse sollevato.

Grazie, sussurrò, le lacrime ancora sul volto. Non ha idea di quanto questo significhi. Rimasi lì, senza parole, e annuii.

Uscendo, provai per la prima volta da molto tempo la sensazione di aver fatto qualcosa di giusto. Ho capito che il rumore della vita può nascondere tragedie; che a volte il silenzio non è solo assenza di suono, ma il segnale che qualcosa di importante sta per cambiare.

**Lezione personale:** ho imparato che non basta reagire al fastidio; è necessario ascoltare dietro al rumore, perché dietro ogni fastidio può celarsi una storia umana da cui tutti noi possiamo imparare a dare una mano.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

5 × one =

Presagio: Un’Anticipazione delle Meraviglie Nascoste