Prima che sia troppo tardi

Prima che fosse troppo tardi

Luca era seduto sulla panchina alla fermata dell’autobus, osservando le macchine scivolare lentamente sull’asfalto bagnato. Il vento freddo di marzo si infilava sotto la sua giacca leggera, ma lui non badava al gelo. Aspettava. Cosa? Non lo sapeva nemmeno lui. Forse un segno del destino, forse una risposta alla domanda che lo divorava dentro: «E adesso?»

La vita di Luca si era cristallizzata, come un disco rotto. Il lavoro in ufficio gli provocava nausea, a casa lo accoglieva solo il silenzio di un appartamento vuoto, e i sogni, un tempo vividi come fuochi d’artificio, erano sbiaditi, come se non fossero mai stati suoi. Ogni giorno era una copia del precedente, e ogni mattina alzarsi diventava sempre più difficile.

Tirò fuori il telefono e scorse distrattamente i social. Su WhatsApp lampeggiava un messaggio di sua madre: «Come stai, tesoro? Non ci sentiamo da un po’». Luca non rispose. Che poteva dirle? Che tutto andava a rotoli? Che non capiva nemmeno lui perché sprecasti la sua vita in questa grigia monotonia?

Arrivò l’autobus, ma Luca non si mosse. Che senso aveva salire, se dentro di sé sentiva solo un vuoto, come in una casa abbandonata?

«Ehi, amico, sai che ore sono?» Una voce raschiata lo fece sobbalzare.

Luca alzò lo sguardo. Davanti a lui c’era un ragazzo sui venticinque anni, con una giacca consumata e uno zaino pesante sulle spalle. Il viso era stanco, ma negli occhi brillava una scintilla di vita.

«Mancano dieci alle undici», borbottò Luca, controllando l’orologio.

«Grazie. Io sono Nico», disse il ragazzo, tendendo la mano.

Luca gliela strinse svogliatamente, senza presentarsi.

«Che ci fai qui da solo?» chiese Nico, sedendosi accanto a lui.

«Penso.»

«A cosa?»

Luca sorrise amaramente:

«A come uscire da questa dannata routine.»

Nico posò lo zaino a terra e lo fissò con interesse.

«Capisco. Ci sono passato anch’io. E sai cosa ho capito?»

«Cosa?»

«Se non trovi un senso, inventatelo. Io ho mollato tutto: lavoro, affitti, obblighi. Ho preso lo zaino e sono partito. Oggi qui, domani chissà dove. Vivo come mi pare.»

«E ha funzionato?»

Nico annuì, e nei suoi occhi comparve una luce sincera:

«Ora è la mia vita, non solo giorni da sopportare.»

Luca tacque. Dentro di sé qualcosa si strinse, come se il cuore avesse ricordato come battere.

Parlarono a lungo, fino a mezzanotte, seduti sulla panchina gelida. Nico gli raccontò di quando aveva lasciato l’ufficio, di come la paura lo paralizzasse, ma l’idea di una vita piena di rimpianti era stata ancora più spaventosa.

«Non voglio morire chiedendomi “e se?”», disse. «Puoi farlo anche tu. Basta fare un passo.»

Luca lo guardò, e nel petto, per la prima volta dopo anni, si accese una speranza—fragile, ma viva.

«Forse…», sussurrò.

Quando si separarono, Luca si incamminò verso casa, ma i pensieri ormai ribollivano come un fiume in piena. Aveva capito: se non avesse cambiato vita ora, sarebbe rimasto intrappolato in quel vuoto per sempre.

A casa, si lasciò cadere sulla sedia, accese il laptop e aprì un sito di biglietti ferroviari. Per dove? Non importava. Bastava scappare. Il dito gli tremava sul pulsante «Acquista». Il cuore batteva forte, come se volesse uscire dal petto.

«Dai», si disse con voce roca.

E cliccò.

Il giorno dopo, Luca era seduto in treno, fissando le luci che sfrecciavano fuori dal finestrino. Aveva scelto un paesino di mare—non troppo lontano, ma abbastanza sconosciuto da respirare aria nuova. In tasca aveva pochi euro, risparmiati in un anno. Sapeva che senza lavoro non sarebbe durato a lungo.

Il primo giorno affittò un letto in un ostello. Vagò per stradine strette, entrò in bar e negozi, chiedendo se cercassero personale. La sera, stanco ma non sconfitto, trovò un annuncio: «Cercasi aiuto in officina per riparazioni barche. Esperienza non necessaria».

«Cerca qualcuno?» chiese al proprietario, un uomo con la barba.

«Sì», rispose l’uomo, studiandolo. «Sai fare qualcosa?»

«Non ho mai provato, ma imparo in fretta.»

Il giorno dopo, Luca iniziò a lavorare. All’inizio fu difficile: le mani non obbedivano, gli strumenti sembravano ostili. Ma giorno dopo giorno, sentiva di tornare in vita. Per la prima volta dopo anni, si svegliava pensando che davanti a sé non c’era solo un altro giorno, ma qualcosa di vero.

La sua vita non era cambiata in un attimo. Ma aveva fatto la cosa più importante: si era gettato nell’ignoto. E bastava, perché il mondo cominciasse a guardarlo con occhi nuovi.

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