Luca sedeva sulla panchina alla fermata dell’autobus, osservando le macchine scivolare lentamente sulla strada bagnata. Il vento freddo di marzo si infilava sotto la giacca leggera, ma lui non sentiva il gelo. Aspettava. Cosa? Non lo sapeva nemmeno lui. Forse un segno del destino, forse una risposta alla domanda che lo dilaniava dentro: “E ora?”
La vita di Luca sembrava bloccata, come un disco rotto. Il lavoro d’ufficio lo disgustava, a casa lo accoglieva solo il silenzio di un appartamento vuoto, e i sogni, un tempo vividi come i fuochi d’artificio, erano ormai sbiaditi, come appartenessero a qualcun altro. Ogni giorno era una copia dell’altro, e ogni mattina alzarsi diventava sempre più faticoso.
Tirò fuori il telefono, scorse distrattamente i social. Su WhatsApp lampeggiava un messaggio della madre: “Come stai, tesoro? È tanto che non chiami.” Luca non rispose. Che cosa avrebbe potuto dirle? Che tutto andava a rotoli? Che non capiva nemmeno perché sprecare la vita in quella grigia monotonia?
Arrivò l’autobus, ma Luca non si mosse. Perché salire, se dentro di sé sentiva solo vuoto, come in una casa abbandonata?
“Ehi, amico, sai che ore sono?” chiese una voce roca.
Luca alzò lo sguardo. Davanti a lui c’era un ragazzo sui venticinque anni, con una giacca logora e uno zaino pesante sulle spalle. Il viso era stanco, ma negli occhi brillava una scintilla di vita.
“Mancano dieci alle undici,” borbottò Luca, dando un’occhiata all’orologio.
“Grazie. Io sono Marco,” disse il ragazzo, tendendo la mano.
Luca gliela strinse di malavoglia, senza presentarsi.
“Che ci fai qui da solo?” chiese Marco, sedendosi accanto a lui.
“Penso.”
“A cosa?”
Luca sorrise amaramente:
“A come uscire da questa dannata routine.”
Marco posò lo zaino a terra e lo fissò con interesse.
“Capisco. Anch’io ero nella tua stessa situazione. E sai cosa ho capito?”
“Cosa?”
“Se non trovi un senso, devi creartelo. Ho mollato tutto: lasciato il lavoro, preso lo zaino e sono partito. Oggi qui, domani chissà dove. Vivo come voglio.”
“E ha funzionato?”
Marco annuì, e nei suoi occhi si accese una convinzione sincera:
“Ora è la mia vita, non solo giorni da sopportare.”
Luca rimase in silenzio. Dentro di sé qualcosa si strinse dolorosamente, come se il cuore si ricordasse di battere.
Parlarono a lungo, fino a mezzanotte, seduti sulla panchina fredda. Marco raccontò di come avesse deciso di lasciare l’ufficio, di come la paura lo avesse paralizzato, ma che l’idea di una vita piena di rimpianti era ancora più spaventosa.
“Non voglio morire chiedendomi: ‘E se avessi provato?'” disse. “Anche tu puoi farlo. Basta fare il primo passo.”
Luca lo guardò, e nel petto, per la prima volta da anni, si accese una speranza fragile ma viva.
“Forse…” sussurrò.
Quando si separarono, Luca si trascinò a casa, ma i pensieri ribollivano come un fiume dopo lo scioglimento dei ghiacci. Capì: se non avesse cambiato vita ora, sarebbe rimasto bloccato in quel vuoto per sempre.
A casa, si lasciò cadere sulla sedia, accese il laptop e aprì un sito di biglietti ferroviari. Ovunque. Purché fosse fuggire. Il dito gli tremmava sopra il pulsante “Acquista”. Il cuore batteva così forte che sembrava voler uscire dal petto.
“Dai,” si disse con voce roca.
E cliccò.
Il giorno dopo, Luca era seduto in treno, guardando dalle finestre le luci che sfrecciavano. Aveva scelto una piccola cittadina di mare—non troppo lontana, ma abbastanza estranea per respirare aria nuova. In tasca aveva un po’ di soldi messi da parte negli ultimi mesi. Sapeva che senza lavoro non sarebbe durato a lungo.
Il primo giorno affittò un letto in un ostello. Girovagò per stradine strette, entrò in caffè e negozi, chiedendo se avevano bisogno di aiuto. Alla sera, stanco ma non sconfitto, trovò un annuncio: “Cercasi assistente in falegnameria per riparazione barche. Esperienza non necessaria.”
“Avete bisogno di qualcuno?” chiese al proprietario, un uomo barbuto.
“Certo,” quello lo scrutò. “Sai fare qualcosa?”
“Non ho mai provato, ma imparo in fretta.”
Il giorno dopo Luca iniziò a lavorare. All’inizio fu difficile: le mani non obbedivano, gli attrezzi sembravano estranei. Ma giorno dopo giorno, sentiva di tornare in vita. Per la prima volta da anni, si svegliava con la certezza che quel giorno non era solo un altro giorno, ma qualcosa di reale.
La sua vita non era cambiata in un istante. Ma aveva fatto la cosa più importante: si era gettato nell’ignoto. E bastò perché il mondo cominciasse a guardarlo con occhi diversi.
A volte, il coraggio di cambiare è l’unica cosa che ci separa da una vita senza luce.