Prima di partire e non tornare mai…

Prima di andarsene e non tornare mai più…

Luca uscì dalle porte della stazione sul marciapiede, inclinandosi leggermente sotto il peso di una grande borsa sportiva con la scritta Adidas sulla spalla. Gocce di sudore gli avevano tracciato lucide strisce bagnate sulle tempie. Guardò il marciapiede con un colpo d’occhio. Lungo il muro della stazione si allineava una fila di panchine occupate da passeggeri in attesa del loro treno e da chi era lì per accogliere qualcuno. Su una di queste sedeva un vecchio con un cappotto grigio e un cappello. Fu verso di lui che Luca si diresse.

Avvicinatosi, si tolse il peso dalla spalla e lo posò al centro della panchina, estrasse dalla tasca del giubbotto un fazzoletto spiegazzato e si asciugò il viso. Solo dopo si sedette, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo. Un treno veloce sfrecciò accanto al binario con un rombo e un fischio, senza fermarsi. Un soffio d’aria calda, che sapeva di traversine e polvere, sfiorò il volto di Luca e gli mosse i corti capelli.

Luca seguì con lo sguardo la coda del treno che si allontanava rapidamente, si appoggiò allo schienale della panchina, posando una mano sulla borsa. Sul marciapiede, le persone ripresero a parlare tutte insieme, interrompendo le conversazioni solo per il passaggio del treno.

“Il treno veloce numero… sta arrivando… La numerazione dei vagoni parte dalla testa del convoglio,” gracchiò indistintamente una voce femminile dall’altoparlante.

“Avete capito quale treno?” chiese il vecchio, voltando la testa verso Luca.

Questi scosse la testa e alzò le spalle. Il vecchio annuì e controllò l’orologio da polso.

“È la terza volta che annunciano l’arrivo, ma non si vede ancora,” si lamentò, sospirando. “Secondo voi, perché nelle stazioni gli annunci sono sempre così incomprensibili?”

Luca rimase in silenzio, evitando di lasciarsi coinvolgere nella conversazione.

“State partendo per qualche posto? A giudicare dalla borsa, avete un bel po’ di cose. È pesante,” insisté il vecchio.

“Un vero Poirot,” sbuffò Luca. “Voi invece non avete nulla, quindi deduco che siate qui per aspettare qualcuno,” rispose nello stesso tono.

“Esatto. Aspetto qualcuno,” disse il vecchio, rallegrandosi. “Mio figlio,” aggiunse con fierezza.

“Io invece sto scappando da mio figlio,” sussurrò Luca, lasciandosi sfuggire le parole senza volerlo.

“Ah, la vita,” anche il vecchio sospirò. “State fuggendo, allora. Ma da sé stessi non si può scappare. I vostri problemi li portate con voi.” Fece un cenno con la testa verso la borsa tra loro.

Luca lo squadrò con uno sguardo irritato, poi distolse gli occhi.

“Anch’io scappai così, quarant’anni fa. Mio figlio aveva undici anni. Non l’ho visto per tutti questi anni. Sono emozionato.”

La voce calma del vecchio non coincideva con l’emozione che affermava di provare.

“Dall’aspetto non direi,” borbottò Luca, sperando che il vecchio non lo sentisse.

“Sono emozionato,” ripeté il vecchio. “È solo che alla mia età bisogna dosare le emozioni. Qualsiasi sentimento, sia dolore che gioia, può ucciderti, giovane.”

“Viveva all’estero?” chiese Luca, improvvisamente felice di spostare l’attenzione dai suoi problemi al vecchio.

Non se n’era nemmeno accorto, ma una banale osservazione di sua moglie sul suo tardivo rientro a casa aveva scatenato una lite. Parola dopo parola, avevano iniziato a urlare, a lanciarsi accuse. Alla fine, Federica lo aveva accusato di tradimento, senza alcun motivo. È vero quel che si dice: la parola non è un passero, se vola via non la riprendi più.

Avrebbe dovuto tacere o prendere tutto con ironia, invece afferrò la borsa, ci buttò dentro il primo che gli capitò sotto mano, sbatté la porta e corse alla stazione. Solo ora, alle parole del vecchio su suo figlio, si ricordò di Matteo.

La voce dell’uomo lo riportò alla realtà. Lo ascoltò.

“Mia moglie era una donna pratica. Non una bellezza, ma aveva tutto in ordine. Mai avrei pensato di perdere la testa, di lasciare lei e mio figlio. E invece…”

Luca capì che il vecchio gli stava raccontando la sua storia, cercando di spiegargli qualcosa.

“Avevo un’ernia che si era aggravata. Mi dava fastidio da tempo. Ma quel giorno il dolore all’inguine era insopportabile. Elena, mia moglie, mi mandò in ospedale. Mi visitarono e mi portarono subito in sala operatoria.”

“Ero in camera, sotto l’effetto dell’anestesia, quando entra lei. Tutta vestita di bianco, gli occhi azzurri come il cielo. Un angelo, bellissima. E aveva perfino un nome angelico: Angela.”

“Si avvicinò con una siringa. Doveva farmi un’iniezione. Quando mi toccò con quelle dita delicate, cominciai a tremare. Non mi accorsi nemmeno della puntura. Mi innamorai, persi la pace. La notte prima della dimissione non dormii, pensando a come fare per restare in reparto. Arrivai perfino a pensare di rompermi una gamba.”

“Prima di uscire, le confessai il mio amore. Pensavo mi avrebbe respinto. Invece mi diede il suo numero di telefono. Non resistetti due giorni: la chiamai mentre mia moglie era al lavoro.”

“L’aspettai fuori dall’ospedale con dei fiori, la accompagnai a casa. Da giovane ero un bell’uomo. Non era amore, era un incantesimo. Avevo già deciso di lasciarla, quando lei rimase incinta.”

“Pensai: sia quel che sarà. Mio figlio era già grande, ma questo bambino doveva nascere senza padre? Tornai a casa e raccontai tutto a Elena. Pianse, certo. Feci come voi: presi le mie cose e me ne andai da Angela. Solo che la mia borsa era più piccola.”

“Divorziai da mia moglie, ma non feci in tempo a sposare Angela. Qualcosa andò storto durante il parto. Morì. I suoi genitori vennero, mi accusarono della sua morte. E anch’io pensai che, se non fosse rimasta incinta, sarebbe ancora viva. Tale è la sorte.” Il vecchio sospirò. “I genitori di Angela si presero la bambina. Non me la fecero nemmeno vedere.”

“Avete detto che non avete più visto vostro figlio. Vostra moglie non vi perdonò?” chiese Luca.

“No. Queste cose si possono perdonare? Mi sentivo colpevole di tutto. Non volevo più vivere. Criticavo gli uomini che non sapevano tenere a freno i loro istinti. E io…” Il vecchio fece un gesto con la mano. “Andai al Nord. Speravo, peccaminosamente, di congelarmi lì. Immaginavo Elena in lacrime sulla mia tomba, pentita. Ma né il gelo, né la grappa, né le tempeste mi presero. Mandavo quasi tutti i soldi a mia moglie e a mio figlio. A cosa mi servivano?” Il vecchio tacque di nuovo.

“Li rimandava indietro. Era così, la mia Elena. Una volta mise un bigliettino: si era risposata. Risparmiai al Nord, comprai un appartamento a Verona. Non cercai mio figlio. Mi vergognavo di averlo abbandonato. Fu lui a trovarmi. Mi scrisse poco tempo fa che Elena era”E poi uscirono insieme dalla stazione, lasciando che il passato insegnasse loro a non ripetere gli stessi errori.”

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