Pronta a Scappare con Mio Figlio dalla Famiglia di Mio Marito in Questo Villaggio

Avevo già preparato mentalmente la borsa con l’essenziale per scappare con mio figlio da mio marito e dai suoi genitori, lontano da questo paesino. No, non ho intenzione di dedicare la mia vita alle loro capre, alle mucche e agli orti infiniti. Loro credono che, avendo sposato Davide, abbia automaticamente accettato di fare la lavoratrice gratuita nella loro fattoria. Ma io non la vedo così. Questa non è la vita che voglio, e non voglio che mio figlio cresca in questa palude, dove l’unico passatempo è discutere di quanta latte ha dato la mucca Stella.

Quando sono arrivata qui dopo il matrimonio, tutto sembrava meno male. Davide era premuroso, i suoi genitori, Maria Grazia e suo marito, sembravano gentili. Il paesino era pittoresco: campi verdi, aria fresca, silenzio. Credevo persino di poterci abituare. Ma la realtà mi ha messo tutto in chiaro presto. Una settimana dopo il trasloco, Maria Grazia mi ha consegnato un secchio e mi ha mandato a mungere le capre. “Ormai sei una di noi, Alessia, devi dare una mano!”, mi ha detto con un sorriso che ancora oggi mi fa venire i brividi. Io, una ragazza di città che non aveva mai sollevato nulla di più pesante di un portatile, avrei dovuto imparare a mungere in una sera. È stato il mio primo campanello d’allarme.

Davide, a quanto pare, non aveva alcuna intenzione di difendermi. “Mamma ha ragione, qui in campagna tutti lavorano”, ha detto quando ho provato a ribellarmi. E da allora è cominciata la mia nuova vita: sveglia alle cinque del mattino, dare da mangiare agli animali, zappare l’orto, pulire la casa, cucinare per tutta la famiglia. Mi sentivo più una domestica che una moglie. E se osavo chiedere un giorno di riposo, Maria Grazia alzava gli occhi al cielo e iniziava con le sue prediche: “Ai miei tempi le donne lavoravano dalla mattina alla sera e nessuno si lamentava!” Davide taceva, come se non lo riguardasse.

Mio figlio, che ha solo tre anni, è diventato l’unica luce nella mia vita. Lo guardo e capisco che non voglio che cresca qui, dove il suo futuro sarà o lavorare nella fattoria o trasferirsi in città, dove sarà sempre uno straniero. Voglio che vada in un buon asilo, studi, viaggi, conosca il mondo. E qui? Qui non c’è nemmeno un internet decente per scaricare i cartoni animati. Quando ho detto a Maria Grazia che volevo iscrivere mio figlio a un corso di disegno nel paese vicino, ha solo sbuffato: “A cosa gli serve? Meglio che impari a mungere le mucche, gli sarà più utile!”

Ho provato a parlare con Davide. A spiegargli che qui soffoco, che non è la vita che sognavo. Ma lui si è limitato a scrollare le spalle: “Tutti vivono così, Alessia. Che vuoi?” E poi ho scoperto che Maria Grazia sta già pensando a come ampliare la stalla e comprare un’altra mucca. E, naturalmente, tutto il lavoro ricadrà su di me. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Ho iniziato a mettere da parte dei soldi di nascosto. Non molti, ma bastano per il biglietto fino alla città. Ho un’amica nel capoluogo di provincia, mi ha promesso di aiutarmi con un alloggio e un lavoro. Immagino già io e mio figlio su un autobus, lasciandoci alle spalle questo paesino, le capre, le mucche e le critiche di Maria Grazia. Sogno un piccolo appartamento dove ci sia solo il nostro calore, dove io possa lavorare e mio figlio crescere in condizioni normali. Voglio sentirmi di nuovo una persona, non una macchina per il lavoro.

Certo, ho paura. Non so come andrà in città. Riuscirò a trovare un lavoro? BasMa una cosa è certa: non tornerò mai indietro.

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