Eccomi, ti racconto una storia che ti farà aprire gli occhi…
Beatrice era seduta al tavolo della cucina, chiedendosi cosa fare. «Non posso perdonare. Non è possibile perdonare un tradimento così. Eppure, ho vissuto bene tutti questi anni. Un appartamento nel centro di Milano, una vita agiata. Non ho di che lamentarmi. Ma allora perché…»
***
A scuola, Beatrice era sempre stata la prima della classe. I suoi genitori le avevano insegnato a fare tutto con impegno.
Marco, invece, prendeva voti bassi in quasi tutte le materie, tranne in matematica. Lì era un genio, vinceva ogni competizione. Andava sempre in giro scarmigliato, con la pessima abitudine di arruffarsi i capelli quando qualcosa non gli riusciva. Portava occhiali spessi con la montatura di corno, che gli davano un’aria da secchione. Le ragazze non lo interessavano, pensava solo a teoremi e formule.
Un giorno, durante l’intervallo, qualcuno lo urtò per sbaglio e gli occhiali caddero rompendosi. In classe, strizzava gli occhi per vedere la lavagna. Beatrice notò improvvisamente il suo profilo: aveva il mento pronunciato, il naso dritto, labbra ben disegnate e ciglia folte. Era un volto da antico condottiero greco.
Una gomitata la fece sobbalzare.
«Sai, senza occhiali è proprio bellino», le sussurrò all’orecchio l’amica Sofia.
Beatrice distolse lo sguardo, imbarazzata, ma dopo qualche minuto lo fissò di nuovo. A fine lezione, gli si avvicinò. «Senza occhiali stai molto meglio. Hai mai provato le lenti?»
Il giorno dopo, Marco arrivò a scuola senza occhiali e senza strizzare gli occhi. Beatrice capì che i suoi genitori gli avevano comprato le lenti.
«Allora? È meglio così?» le chiese durante la pausa.
«Moltissimo», rispose lei con un sorriso.
Da quel momento, iniziarono a uscire insieme. Lui le parlava con entusiasmo di teoremi, lei lo ascoltava rapita. Lo aiutava in italiano e letteratura.
Grazie alle sue vittorie nelle olimpiadi di matematica, Marco aveva le porte aperte in tutte le università. Per lui, Beatrice cambiò idea: invece di iscriversi a lettere nella loro città, seguì lui a Milano per restargli vicino.
Alla fine degli studi, i genitori di Beatrice insistevano perché tornasse a casa. Aveva perso ogni speranza di restare con Marco. Ma poco prima della partenza, lui le fece la proposta, inginocchiandosi goffamente e porgendole un anello in una scatolina, come nei vecchi film romantic.
Marco entrò in dottorato e iniziò a insegnare all’università. Gli diedero una stanza nel dormitorio per docenti, con una piccola cucina e un bagno.
Beatrice non era una studentessa eccezionale: come lavoro, poteva solo fare la maestra. Dopo un anno e mezzo, nacque la loro bambina e non tornò più a insegnare. Marco ottenne il dottorato, vinse un premio prestigioso per aver dimostrato un teorema complesso. Lei rimase a casa a crescere la figlia.
I suoi articoli venivano pubblicati su riviste internazionali. Lo invitavano persino a tenere lezioni ad Harvard. La nomina a professore ordinario segnò un nuovo traguardo. Beatrice era felice dei suoi successi: in fondo, anche lei aveva contribuito. Dal dormitorio si trasferirono in un appartamento nel centro di Milano.
Per tutti erano la coppia perfetta, un modello da seguire. La vita di Beatrice girava intorno a Marco e a loro figlia, Viola, cresciuta bellissima e sposata presto con un giovane artista promettente.
Ma tutto crollò in un giorno. Beatrice stava per preparare il pranzo quando squillò il telefono. Rispose con cordialità.
«Sei la moglie di Marco Bianchi? Ti chiamo per avvertirti. Tuo marito ti tradisce. Non riattaccare», la voce dall’altra parte la implorò, anche se Beatrice non ne aveva intenzione. «Ha avuto una relazione con mia figlia. L’ha lasciata e lei è caduta in depressione. Ora frequenta una giovane ricercatrice. Vanno insieme ai convegni… Pronto? Mi ascolti? Voglio solo aprirti gli occhi…»
Dall’altra parte c’era già il segnale di linea occupata, ma Beatrice continuava a tenere il telefono in mano. Non era il tipo da credere alle chiacchiere, così decise di verificare di persona. Andò all’università, trovò l’aula dove Marco teneva lezione e aspettò.
Quando la porta si aprì e gli studenti uscirono, lui passò accanto a lei senza vederla. Non guardava mai in giro. Entrò nel suo studio e, dopo qualche minuto, Beatrice spinse la porta. Lo trovò a baciarsi con una giovane donna bellissima…
***
«E adesso cosa faccio?», si chiedeva seduta in cucina, fissando la carta da parati a fiori.
Sussultò quando sentì girare la chiave nella serratura.
«Non ho avuto tempo di preparare il pranzo», pensò, poi si calmò. «Perché dovrei? Che lo prepari l’altra». Prese una valigia dalla dispensa e iniziò a fare i bagagli.
«Hai deciso di portare tutti i tuoi vestiti in tintoria?», chiese Marco entrando in camera. Nel tono c’era più sarcasmo che sorpresa.
Beatrice lo fissò dritto negli occhi.
«Sono le tue cose. Sei tu che te ne vai.»
«Perché? Dove?» Finalmente era sorpreso.
«Lo chiedi a me? Oggi sono venuta all’università, ti ho visto con lei… È carina. Avresti potuto dirmelo tu, invece di farmelo scoprire da altri.»
«Dirti cosa? Quali altri?» Ora era agitato.
«Gente gentile che mi ha raccontato delle tue avventure con studentesse e colleghe giovani. Ammettilo, sii un uomo.»
«Non capisco…» distolse lo sguardo.
Beatrice si sedette sul letto accanto alla valigia, si coprì il volto con le mani e scoppiò in lacrime.
«Beatrice…» Marco le toccò una spalla.
Lei scattò, scrollandosi di dosso la sua mano.
«Ho dedicato la mia vita a te, ti ho liberato da ogni preoccupazione perché tu potessi concentrarti sui tuoi teoremi, apparire perfetto. E tu… Eri sicuro che non me ne sarei mai andata. Io non ho niente. Tutto questo è tuo…» indicò la stanza. «Comprato con i tuoi soldi. So solo badare alla casa, non sono capace di altro. Hai smesso di vedermi, come fossi un mobile.»
«Io non ho dove andare, tu sì. Credi che la tua amante ti lascerà dividere l’appartamento?» Chiuse la valigia e gliela mise davanti. «Basta. Va’ da lei.»
«Qui ti sbagli. Io non me ne vado. Se vuoi, vai tu.»
Beatrice sentì come un pugno nello stomaco. Lo guardò, incapace di respirare.
«La porterai qui, nel nostro appartamento? Ti sdraierai con lei sul nostro letto? Dio, non ti riconosco più.»
Per un attimo si scrutarono. Poi Beatrice uscì nel corridoio. Sperò che la fermasse, ma Marco tacque. Come in trance, uscì di casa. Si sedette su una panchina davanti al palazzo, le gambe le cedevano. Lo shock delle ultime ore si faceva sentire.
«Beatrice, stai bene?» Una vicina si fermò accanto a lei.
Scosse la testa. Prese il telefono dalla borsa (mai usciva senza) e chiamò un taxi. Meglio non dare spettacolo.
«Mamma?Dopo un lungo silenzio, Beatrice sorrise tra le lacrime, si rialzò e si avviò decisa verso la nuova vita che l’aspettava.