Elena mescolava disperatamente il latte nella pappa per il piccolo mentre Luca cercava di costruire con i cubetti «l’ascensore più alto del mondo». A tavola tossicchiava la suocera, Giovanna Bianchi — occhi grigi, lingua affilata, avvolta in una vestaglia con stampati dei galli.
«Guarda un po’, ha di nuovo quelle sopracciglia come se se le fosse strappate», borbottò osservando il nipote. «Neppure un tratto nostro! Almeno le orecchie del padre le avesse ereditate.»
«Mamma, ma guardami, neanch’io sono una copia di Marco», sorrise Elena, spostando la ciotola. «I geni sono proprio una cosa strana.»
«Strani o no, sono incomprensibili», sbuffò la suocera, scomparendo in cucina per il secondo bollitore.
Elena inspirò profondamente: «Resistiamo. Mancano quattro giorni a sabato». Sabato sarebbe stato il sessantesimo compleanno di Giovanna. Elena aveva organizzato una festa-riappacificazione: ristorante «La Perla», orchestra jazz retrò, torta con fontane e, soprattutto, un soggiorno di tre settimane al centro termale «Pineta del Lago». «Dopo un po’ di riposo smetterà di ossessionarsi con le somiglianze», sperava la nuora.
Quella sera, mentre controllava il preventivo, Marco affacciò la testa nello studio:
«Ho ordinato l’album con le vecchie foto per mamma, arriverà entro sabato.»
«Perfetto! Ma tienilo segreto, voglio vederla commuoversi.»
«Ascolta, non prendere a male le sue parole», le chiese. «È buona, ha solo la lingua tagliente.»
«Lo so. Ma se dice ancora una volta che Luca non le somiglia, esplodo.»
Marco baciò Elena sulla testa e andò a controllare i compiti del figlio.
Giovedì mattina arrivò un corriere. Una ragazza con giubbotto giallo consegnò a Elena una scatola senza etichette.
«È per lei. Firma qui.»
Elena prese il pacco e lo depose in salotto tra gli altri regali: la scatola con una preziosa sciarpa di seta, il barattolo di miele di castagno, la busta con il voucher per la spa. Avrebbe incartato tutto venerdì — la sorpresa doveva essere perfetta.
A mezzogiorno di sabato, il sole di marzo riscaldava l’aria. Nell’atrio de «La Perla» si sentiva profumo di peonie e caramello. Giovanna entrò, aggrappandosi civettuola al braccio del figlio:
«Che sfarzo! Non ho lavorato quarant’anni per niente, allora.»
«Tutto per voi», sorrise Elena, strizzando l’occhio al cameriere per lo spumante.
Gli ospiti si sistemarono, il sassofono cominciò a suonare. Le lanterne alle pareti brillavano di luce calda, cancellando gli ultimi segni di scetticismo dal volto della suocera. Elena coglieva ogni suo sospiro: «sembra contenta…».
A metà serata, portarono in tavola una torta a più piani, una fontana di scintille sibilava come un razzo, gli invitati applaudirono. Elena, con mani tremanti, lesse dal bigliettino:
«Ed ora il regalo più bello!» e porse a Giovanna la busta con il soggiorno. «Tre settimane di relax, massaggi e grotte di sale!»
La suocera sussultò:
«Ma cosa mi combinate! Non sono mica malata.»
«Non ci vanno solo i malati», ribatté Marco, abbracciandola.
Luca, in piedi accanto ai fiori, tirò fuori un piccolo plico argentato con la scritta «GENETIX | riservato».
«Mamma, è un altro regalo?» lo porse a Elena.
«Non è nostro», sussurrò lei, riconoscendo il logo. «Mettilo via.»
Ma Giovanna lo afferrò con un balzo:
«Oh! Questo sì che è mio. Grazie, piccolino.» Aprì la busta, estrasse due fogli e si bloccò, fissando i numeri. Le guance le si arrossarono.
«Mamma, cosa c’è?» Marco cercò di sbirciare.
«Niente…» riuscì a dire con voce roca, accartocciando i fogli.
Elena sentì un brivido: «Possibile che abbia fatto il test del DNA?»
Dietro di loro, uno schianto: un cameriere aveva fatto cadere un vassoio. Gli ospiti si animarono, qualcuno avviò la registrazione di «Tanti auguri a te» — la musica coprì l’imbarazzo, ma non per Elena: lo sguardo della suocera la bruciava attraverso i tavoli.
Quella notte, quando Luca si addormentò, i due coniugi si ritrovarono in salotto. Marco stringeva la busta spiegazzata.
«Mamma è andata via in lacrime. Sai cos’è questo?» Le porse il foglio. In alto, grassetto: «Relazione nonna/nipote — 0% di probabilità di parentela.»
«Non sono stata io!» sussurrò Elena. «L’ha ordinato lei. Volevo farle una festa, e invece… questa porcheria!»
«Aspetta, ma i numeri…» Marco si passò una mano sul viso. «Com’è possibile?»
«Sarà un test fasullo. O l’ha fatto apposta.»
«Mia madre? Perché?»
«Per dimostrare che Luca non le somiglia. Per farmi impazzire.»
Marco sospirò:
«Domani vado da lei, vediamo di chiarire.»
La suocera accolse il figlio in vestaglia con una pila di cartelle.
«Siediti. Ti spiego tutto.» Tirò fuori un braccialetto dell’ospedale: «Rossi M.» e il numero della stanza. «L’ho conservato come ricordo. Prima del compleanno, cercavo nell’album e… ne ho trovato un altro! Vedi?» Ne estrasse un secondo, con un numero diverso. «Capii che qualcosa non quadrava, e feci il test per cominciare dal piccolo.»
«Mamma, dimmelo chiaro: pensi che Luca non sia mio figlio?»
«Sembra di no. O meglio, credevo. Ma il test dice che neppure tu sei mio.» Un tremito le attraversò le labbra. «Mentre voi festeggiavate, sono corsa a fare l’esame del sangue, versione rapida, ho pagato con la carta — puoi verificare.»
Marco lesse il foglio: «Relazione madre/figlio — 0%».
«Mamma, ma tu mi hai partorito!»
«Ho partorito un maschio, sì. La mattina mi mostrarono te. Ma quell’anno in ospedale c’era il caos, spostavano i bambini continuamente. Tutti pensavano fossero leggende. E invece… io non ho mai avuto figli miei.» Giovanna non piangeva, ma stringeva le mani come per tenere insieme i pezzi di sé.
«Aspetta. È un errore. Faremo un’analisi ufficiale in tre: io, te, Luca. Punto.»
Lunedì la famiglia si recò al centro genetico. Luca, felice per l’«avventura», mangiò caramelle dal distributore. Quattro giorni dopo arrivarono i risultati.
In cucina, seduti come a un interrogatorio, Elena tremava, Giovanna teneva la schiena dritta, Marco aprì la busta.
«“Relazione padre/figlio — 99,98%”.» Marco esalò, mostrando il foglio a Elena. «Vedi? Luca è mio figlio, questo è certo.»
Elena gli strinse la mano.
«Continuo. “Relazione nonna/nipote — 0%”.» Alzò gli occhi sulla madre. «E “Relazione madre/figlio — 0%”.»
Il silenzio si spezzò come ghiaccio sotto i pattini.
Elena si avvicinò a Giovanna e le prese la mano, mentre Luca, ignaro, chiese: “Bisnonna, possiamo giocare a carte come l’altra volta?”, e in quel momento, tra lacrime e sorrisi, capirono che la famiglia non era fatta di sangue, ma di tutti gli istanti rubati al tempo e custoditi nel cuore.