Quando avevo 7 anni, nel nostro grande condominio si trasferì una donna con la sua anziana madre. La donna si chiamava Valeria ed era muta. Non parlava affatto. Gli adulti dicevano che erano sfollati da qualche paesino che aveva subito un incendio. Loro furono assegnate a una minuscola stanza in un appartamento condiviso, dove nelle altre tre vivevano persone, diremmo oggi, socialmente svantaggiate. Continuamente in quell’appartamento si celebrava qualcosa, poi si litigava e tutto finiva in una rissa tra ubriachi. Tutti si dispiacevano per le nuove vicine, ma cosa si poteva fare?
Valeria iniziò a lavorare come spazzina nel nostro cortile. Al mattino presto usciva con un foulard annodato basso fin sugli occhi, un grande giaccone di dimensioni sbagliate, una scopa e una pala (era febbraio) e si metteva al lavoro. Prima di Valeria c’era un’altra spazzina, zia Claudia. Era chiassosa e critica, amava discutere e criticare le vite altrui di fronte a tutto il quartiere. Il bersaglio principale di Claudia era il nostro tranquillo e modesto vicino, zio Michele. Michele abitava al nostro stesso pianerottolo, in un appartamento di due stanze. In passato viveva con la sua anziana madre, ma poi lei non c’era più e lui abitava da solo. Era un uomo grande, dalle spalle larghe, e molto gentile. Lavorava come scaricatore in un negozio, probabilmente perché era forte e poteva sollevare scatole pesanti di biscotti e mele. Spesso mi regalava dolci e a volte mi portava a scuola con la sua macchina. In realtà, Michele non viveva da solo, ma con Piero, uno smunto e spelacchiato gatto tigrato che aveva accolto l’estate scorsa. Quasi ogni giorno zio Michele riparava la sua vecchia Fiat: a volte si vedevano solo le sue lunghe gambe spuntare da sotto la macchina, altre volte il suo dietro si ergeva sopra il cofano aperto. Accanto sedeva sempre Piero, guardando il cortile con indifferenza. Nonostante le operazioni quotidiane di manutenzione (o forse proprio a causa di esse?), l’auto partiva a fatica, tossendo, starnutendo e sputando ovunque nuvole di fumo e, quando finalmente usciva dal cortile, il suo borbottio si poteva sentire ancora a lungo. Gli oggetti dell’insoddisfazione di Claudia erano tutti e tre: zio Michele perché non riusciva a riparare la sua “vecchia carretta”, il gatto Piero perché “quel parassita è sporco e pieno di pulci”, e la Fiat perché “quel catorcio mi avvelena con i suoi gas di scarico, e presto mi verrà l’asma”. Ora però nel nostro cortile c’era pace, nessuno urlava. Perché Claudia era andata a occuparsi dei nipoti a casa della figlia.
Quel febbraio ci furono delle nevicate incredibili. Durante la notte, tutti i sentieri venivano sommersi di neve fino al ginocchio. Valeria ogni mattina testardamente e in silenzio liberava la neve accumulata. Solo zio Michele si mise ad aiutarla. Insieme pulivano il nostro cortile dalla neve, e Michele costruì anche una piccola pista di neve per noi.
Tutto accadde in primavera. Quando il sole tiepido di marzo cominciò a trasformare i cumuli di neve in pozze, durante la notte quelle numerose pozze nel nostro cortile si coprivano di ghiaccio. Valeria scivolò, cadde e si ruppe una gamba. Zio Michele la riportò dall’ospedale con la sua macchina e la portò in braccio fino al terzo piano. Che altro poteva fare? Per tre giorni portò pacchi di cibo nella loro casa, ma, vedendo con quali vicini vivevano Valeria e la sua vecchia madre, il quarto giorno la avvolse in una coperta e la portò nel suo appartamento. La nonnina seguiva, appoggiata alla manica di Michele.
“E loro stanno più tranquilli, e io non devo correre con le borse tra due appartamenti. E c’è una stanza separata. Che vivano lì,” spiegava zio Michele ai curiosi vicini, “quando le tolgono il gesso, se vuole, potrà tornare.” Durante il mese e mezzo in cui Valeria non poteva uscire, Michele si occupava del cortile, andava a fare la spesa e in farmacia a prendere “vitamine per Valeria”.
All’inizio di aprile fu il mio compleanno, la mamma preparò una grande torta di mele e propose di far assaggiare a Valeria e Michele. Con una bambola che mi regalarono quel giorno sotto il braccio e con il pacchetto con la torta, mi recai da zio Michele. Fui accolta calorosamente: zio Michele mi regalò una scatola di cioccolatini, la nonna lodò la mia bambola, e Valeria cucì due vestitini per la mia bambola con la sua vecchia macchina da cucire. Pur non potendo parlare, sorrideva molto dolcemente. Valeria si rivelò anche molto bella. Fino ad allora l’avevo vista solo con il foulard e la giacca, e scoprii che aveva lunghi capelli dorati intrecciati in una folta treccia e una figura snella e attraente. Zio Michele raccontò poi a mia madre che Valeria era molto brava a cucire vari capi con la sua vecchia macchina da cucire. Mia madre le portò un taglio di stoffa azzurro e Valeria, dopo aver preso le misure, in due giorni mi cucì un bellissimo vestito. In seguito, altri vicini iniziarono a portare ordini su ordini, e Valeria divenne più impegnata, ma era sempre gentile e disponibile con tutti. Tutti erano soddisfatti del suo lavoro, soprattutto perché chiedeva pochi soldi per i suoi vestiti ben fatti.
Quando a Valeria venne tolto il gesso, iniziò a uscire con un bastone. Era già inizio maggio, tutto intorno era verdeggiante. Zio Michele spazzava i sentieri del cortile e Valeria era seduta su una panchina a guardarlo.
Alla fine di maggio, stavo rientrando da scuola e, già nel cortile di casa, vidi una piccola folla di persone. Poco distante c’era una grande macchina nera lucente. Sentii uno dei vicini dire: “Beh, Michele, saluta la tua Valeria. Adesso questo riccone la porterà via.” Zio Michele sedeva su una panchina e fumava. E le sue mani, chissà perché, tremavano. Poi uscì dall’ingresso un uomo in un elegante completo, salì sulla macchina nera e se ne andò. E zio Michele pianse.
Mamma mi spiegò poi che era venuto un uomo molto ricco e innamorato di Valeria per portarla con sé. Ma lei non era partita e aveva scelto di restare con zio Michele.
In seguito, da Valeria vennero signore molto ricche e lei cucì per loro abiti eleganti, mentre zio Michele si trovò un lavoro come autista di autobus e talvolta mi portava in giro per la città senza farmi pagare. Nell’appartamento di Michele fecero i lavori di ristrutturazione e comprarono nuovi mobili. Ora, in una stanza viveva la vecchia madre di Valeria, mentre nell’altra Valeria e zio Michele. Inoltre, comprarono una nuova macchina. Piero diventò un bel gatto grasso. Forse perché ora non usciva più, ma dormiva sempre sul divano. Zio Michele diceva che era stata Valeria a chiedere di non far uscire Piero nel cortile per paura che i cani potessero morderlo. Chiesi a mamma come avesse potuto chiederglielo se non poteva parlare? E mamma mi disse che quando le persone si amano, comunicano con il cuore e non hanno bisogno di parole.
PS: ora da noi lavora come spazzino zio Nicola. È bravo. Ha creato un recinto per farci giocare e delle altalene per i bambini.