Quando ho ritrovato la mia vita, mia figlia mi ha chiamata pazza e mi ha negato di vedere mia nipote

Quando finalmente ho trovato una vita sentimentale, mia figlia mi ha chiamata pazza e mi ha proibito di vedere mia nipote.

Ho dedicato tutta la mia vita prima a mia figlia e poi a mia nipote. Ma sembra che i miei cari si siano dimenticati che anche io ho diritto a una felicità personale, non legata solo a loro. Mi sono sposata giovanissima, a ventun anni. Mio marito, Luca, era un uomo tranquillo, pacato, un lavoratore instancabile fino al midollo. Un giorno gli proposero un viaggio di lavoro di due settimane – una specie di lavoretto extra, trasporto merci in un’altra regione.

Non è mai tornato. Ancora oggi non so cosa sia successo in quel viaggio. Un giorno mi hanno chiamato per dirmi semplicemente che Luca non c’era più. Sono rimasta sola con una bambina di due anni, completamente abbandonata a me stessa. I genitori di mio marito erano morti da tempo, mentre i miei vivevano in un’altra città. Non capivo come sopravvivere e come mantenere mia figlia.

Per fortuna, dopo Luca, io e mia figlia abbiamo ereditato il suo bilocale. Senza quello, non so come avremmo fatto. Sono un’insegnante di formazione, e all’inizio provai a fare lezioni private a casa, ma studiare con gli alunni mentre una bambina piccola correva e piagnucolava era quasi impossibile.

Non potevo trovare un lavoro a tempo pieno per via della piccola Sofia. Come lasciare una bimba di due anni da sola tutto il giorno? Mia madre venne a trovarmi un giorno, vide il mio sconforto – e si portò via Sofia con sé. Per quasi due anni visse con i nonni, mentre io sgobbavo senza ferie. Lavoravo a scuola, facevo lavoretti extra, davo lezioni private.

Nei weekend andavo a trovare mia figlia. Ogni addio mi spezzava il cuore. Poi arrivò il turno per l’asilo: temevo di dover stare a casa per le malattie, ma per fortuna Sofia era robusta e quasi mai si ammalava. Col tempo restammo solo noi due. Poi la scuola, poi l’università.

Lavoravo come una matta per farle avere le migliori scarpe da ginnastica, la gonna, la camicetta. Praticamente mai un solo lavoro: sempre due, a volte tre. Ma quando Sofia si laureò e trovò un impiego, per la prima volta tirai un sospiro di sollievo. E nello stesso tempo ebbi uno choc: perché ora non servivo più a nessuno.

Non dovevo più affannarmi per ogni lavoretto. Il mio corpo cominciava già a cedere, e degli amici mi restava solo il gatto. Mia figlia veniva qualche weekend, ma intrattenere la madre sola tutto il giorno non rientrava nei suoi piani. Mi sentivo abbandonata. Tutto cambiò con la nascita di mia nipote, Aurora.

Pochi mesi prima che nascesse, mi trasferii da mia figlia e suo marito, Matteo. Spesa, pulizie, riunioni per il parto: tutto dipendeva da me. Poi, quando Sofia tornò al lavoro, mi occupai completamente della piccola. Ma non mi lamentavo: al contrario, mi sentivo di nuovo utile.

Quest’anno Aurora ha iniziato la scuola. Dopo le lezioni la prendevo con me: pranzo, compiti, passeggiate al parco o corsi extrascolastici. Lì, al parco, conobbi Enzo. Anche lui portava in giro la nipotina. Iniziammo a chiacchierare. Enzo era rimasto vedovo presto, come me, e ora aiutava sua figlia con la bambina.

Quando conobbi Enzo, non mi aspettavo nulla. Mai, in tutta la mia vita dopo la morte di Luca, ero stata a cena o a un appuntamento con un uomo. Prima la bambina piccola, poi il lavoro. Dopo la nascita di Aurora, dicevo con orgoglio di essere una nonna. Ma le nonne hanno mai degli spasimanti? A quanto pare, sì. Enzo mi ricordò che ero ancora una donna.

Il primo messaggio da parte sua, con l’invito a sare soli, senza bambini, mi sconvolse. Con lui cominciò la mia nuova vita. Cinema, teatro, festival, mostre: riscoprii il gusto di vivere.

Ma mia figlia, sfortunatamente, prese male la cosa. Tutto partì da una semplice chiamata di sabato mattina:
“Mamma, ora veniamo con Aurora, la tieni questo weekend?”
“Scusa, tesoro, ma ho già impegni. Non siamo in città. La prossima volta avvisami prima e ci penserò volentieri.”

Sofia sbuffò e riattaccò. Lunedì io ed Enzo tornammo. Ero euforica, piena di energia. Persino Aurora notò che mi brillavano gli occhi. Tutto tranquillo fino a venerdì, quando squillò di nuovo il telefono:
“Degli amici ci invitano, posso lasciarti Aurora?”
“Avevamo detto di avvisare prima. Ho già programmato tutto.”
“Di nuovo in giro con quel tuo Enzo?! Ti ha completamente rimbambito!” urlò lei.
“Sofì, ma che dici?!” cercai di calmarla.
“Ti sei dimenticata di Aurora?! Dicevi che non ti serviva la felicità, e ora cos’è cambiato?”
“Sì, è cambiato! Sono viva di nuovo. Vorrei che mi capissi, come donna.”
“E Aurora come dovrebbe capirti?! L’hai scambiata per un vecchio?!”
“Ma cosa dici?! Sono sempre con lei quasi sempre. Scusami e facciamo finta di niente.”
“Io dovrei chiedere scusa?! Ma sei matta. Non ti lascerò più Aurora. Prima torna in te, poi ne riparliamo.” Sofia sbatté giù il telefono.

Dopo quel litigio, scoppiai a piangere. Fino a farmi male, fino a tremare. Avevo fatto di tutto per loro, tutta la mia vita era stata per loro. E quando è arrivato il mio momento, mi hanno cancellata. Così, semplicemente. Perché finalmente mi ero permessa di essere felice.

Spero che Sofia si calmi. Che mi chiami. Che capisca. Perché non riesco a immaginare la mia vita senza di lei e senza Aurora.

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