Quando i propri figli diventano estranei: la storia di una madre
Durante la mia giovinezza, piena di energia e speranze, io, Maria Bianchi, mi sono dedicata anima e corpo ai miei figli. Le persone intorno a me mi avvertivano: “Non annullarti completamente in loro, lascia qualcosa anche per te”. Ma non li ascoltavo. Ora, a 69 anni, mi ritrovo sola, senza nessuno che mi porga un bicchiere d’acqua. Le parole di quelle persone risuonano ora nella mia testa come un’eco, e amaramente rimpiango il mio comportamento passato.
Mio marito, Antonio, ci ha lasciati quando nostro figlio aveva solo quattro anni e la figlia sei. Restare sola con due bambini piccoli è stata una prova. Lavoravo in due posti per garantire loro tutto il necessario. Mia madre mi aiutava, ma spesso ricordava: “I bambini hanno bisogno di una madre, non solo del pane quotidiano”. Ma chi ci avrebbe sostenuto se fossi rimasta a casa?
Cercavo di compensare l’assenza del padre circondando i figli di cure e viziandoli. Pensavo che così avrei potuto colmare il vuoto lasciato dalla morte di Antonio. I bambini sono cresciuti e ognuno ha creato la propria famiglia. Cercavo di essere la nonna perfetta per i nipoti, continuando a dedicare tutta me stessa alla famiglia.
Una mattina mi sono svegliata senza sentire le gambe. A fatica sono arrivata al telefono e ho chiamato mio figlio. Ha risposto: “Mamma, ho molte cose da fare adesso, non posso venire”. Mia figlia non rispondeva. Ho chiamato il pronto soccorso, che è arrivato senza ulteriori domande.
In ospedale mi hanno diagnosticato una trombosi alle gambe. I medici hanno detto che i trombi avrebbero potuto staccarsi in qualsiasi momento, portandomi alla morte. Mi aspettava una lunga cura e un rigoroso riposo a letto. Supplicavo i miei figli di venirmi a trovare. Quando finalmente sono venuti, mi hanno detto direttamente in reparto: “Abbiamo le nostre preoccupazioni, non possiamo prenderci cura di te”.
Mia figlia spiegò che il figlio minore stava entrando all’università e che la moglie del figlio aveva l’influenza. Hanno ritenuto che sarei stata meglio da sola in ospedale. Motivazioni così “serie” per lasciare la madre in uno stato di necessità.
Dopo le dimissioni sono tornata in un appartamento vuoto. Non avevo neanche la forza di prepararmi da mangiare. La vicina, Anna Rossi, si è offerta di aiutarmi per una piccola cifra. Siamo diventate amiche, supportandoci a vicenda con le nostre piccole pensioni.
Ora, guardando indietro, capisco: l’eccessiva protezione e viziare i figli non sostituiscono il vero amore e il rispetto. Non ho insegnato ai miei figli a rispettare e a prendersi cura degli altri. Da giovane seminavo permissivismo, e da anziana raccolgo solitudine.
Voglio rivolgermi a tutti i genitori: non annullatevi completamente nei vostri figli, non dimenticate voi stessi. Insegnate loro l’amore e il rispetto, non solo a esaudire i loro capricci. Ciò che seminerete nei loro cuori da giovani determinerà ciò che raccoglierete da anziani.