Quando i sogni diventano realtà

**Quando i sogni si avverano**

«Giovanotto, ha urtato la mia macchina!» Una donna snella, avvolta in un cappotto bianco, stava sul marciapiede con lo sguardo severo.

«Dovrebbe parcheggiare come si deve», borbottò Eugenio. «Con la patente comprata, si creano solo situazioni pericolose. Alle donne non dovrebbero nemmeno dare la patente!»

«Non vede che ci sono cumuli di neve dappertutto? Dove avrei dovuto parcheggiare, secondo lei? Su quel mucchio là?» Con un gesto elegante, indicò un grosso cumulo. «Chiamo i vigili!»

L’ardore di Eugenio si spense all’istante. Aveva già una multa per eccesso di velocità quel mese. E ora anche questa.

«Anch’io ho finito contro la neve con una ruota. Capisca, non l’ho fatto apposta.»

«E cosa propone?» chiese la donna con freddezza.

«Propongo di risolvere tra noi.»

«No. È una questione di principio. Sono contraria alla misoginia.»

«Alla cosa?»

«All’avversione verso le donne!»

«Va bene, ammetto di aver sbagliato», disse Eugenio, stringendo i denti. «Pagherò il danno… quel graffietto. E qualcosa in più per il disagio. Quanto vuole?»

Dopo lunghe trattative, la donna cedette. A Eugenio parve quasi che indugiasse apposta per spillargli più soldi possibile. Alla fine, pagò una cifra tonda pur di chiudere la faccenda.

Eugenio sospirò pesantemente. Era di nuovo in rosso. Inoltre, era il compleanno di Elisa e non aveva ancora comprato un regalo.

Controllò l’app della banca: gli restavano solo trecento euro. La busta paga sarebbe arrivata tra una settimana. Non c’era scelta: doveva chiedere un prestito. Chiamò il suo migliore amico.

«Amico, sono al verde anch’io», disse Claudio. «E poi, perché le hai dato così tanto? Si vede che quella donna è ricca. Con certa gente, meglio chiamare i vigili. O risolvere con il modulo blu, veloce, e l’assicurazione avrebbe stabilito l’importo. Non sei scappato, no?»

«Cavolo, ho deciso di vendere l’auto. Se i vigili registrano quel graffio nel database, poi come faccio a spiegare che non è mai stata in un incidente? Ma loro lo registrano comunque come tale. Non hai nessuno che possa prestarmi qualcosa? Solo per una settimana. È il compleanno di Elisa. Non posso presentarmi a mani vuote.»

«Eh già, con una come Elisa non puoi arrivare con un biglietto», rise Claudio. «Ma proprio non conosco nessuno, fratello. Mi dispiace.»

Eugenio ripose il telefono nel supporto magnetico, abbassò leggermente il finestrino e si mise a pensare. Era passata un’ora da quando la donna col cappotto bianco era scomparsa dietro l’angolo, e lui era ancora lì, fermo in quel maledetto parcheggio. Aveva davvero cercato di fare attenzione, ma la ruota aveva scivolato su un blocco di ghiaccio e l’auto aveva urtato quella accanto.

Poi, un’illuminazione: aveva una carta di credito da qualche parte. Come aveva potuto dimenticarsene? Fu un’idea improvvisa, e si rianimò. Andò subito in gioielleria a comprare quegli orecchini che aveva visto per Elisa.

Quella sera, Eugenio era davanti alla porta di casa di Elisa, ma esitava a suonare. Ripensò al giorno in cui aveva conosciuto la ragazza più bella e saggia che avesse mai incontrato, stringendo un mazzolino di rose selvatiche. Nella tasca della giacca, la scatolina del gioielliere.

Un anno prima, Eugenio si era avvicinato a Elisa per la prima volta, ma non si aspettava che lei lo avrebbe ricambiato. Era una ragazza fuori dalla sua portata: suo padre era socio fondatore di un grande centro commerciale in città, sua madre aveva tre saloni di bellezza. Elisa veniva da una famiglia benestante. I suoi genitori le avevano comprato l’appartamento davanti al quale Eugenio ora tremava.

«Buon compleanno, amore mio!» Eugenio le porse subito i regali.

«Ciao! Grazie, tesoro», Elisa gli baciò la guancia. «Oddio, sono proprio quelli?»

«Sì…» si vergognò Eugenio.

«Sei pazzo! Costano un occhio», sussurrò Elisa, tirando fuori gli orecchini. «Ma sono bellissimi… Grazie!»

Era sempre così. Anche se benestante, Elisa badava alle spese. Preferiva fare la spesa al supermercato e cucinare piuttosto che andare al ristorante. Teneva la casa impeccabile da sola, chiamando le pulizie solo una volta, quando si era rotta una gamba.

Ma Eugenio sentiva comunque che erano mondi diversi. Lui veniva da una famiglia semplice, dove si apprezzava il brodo di gallina e per il compleanno si faceva la torta al fegato invece di una normale.

«Spero non ti dispiaccia… Ho ospiti», sorrise Elisa.

«Pensavo ci fosse già una folla», rise Eugenio.

«Sai che non amo festeggiare il mio compleanno. Vieni, ho già preparato la tavola», Elisa lo prese per mano e lo condusse in cucina. «Mamma, papà, vi presento il mio Eugenio.»

Eugenio si bloccò, ma non mostrò imbarazzo. Salutò i genitori di Elisa.

«Perché non me l’hai detto?» sussurrò all’orecchio di Elisa. «Mi sarei preparato…»

«Non preoccuparti. Credevo fossero già partiti per le vacanze, ma mi hanno fatto la sorpresa. Sono comparsi due ore fa, figurati. Sarà tutto okay, sono fantastici.»

«Uhm», borbottò Eugenio tra sé.

I genitori di Elisa lo scrutavano, come se volessero scannerizzarlo. Eugenio si sentiva a disagio.

«Raccontaci di te? Sembriamo estranei», disse il padre con un sorriso forzato.

«Sì, sarebbe interessante», aggiunse la madre.

«Di me? Io… lavoro come impiegato in banca. Ho finito il liceo economico, poi mi sono iscritto all’università. Ma da lavoratore…»

«Ci sono prospettive, nelle banche?» La madre si rivolse al padre, ignorando Eugenio.

«Credo di sì, ma limitate», rispose il padre, guardando la moglie e altrettanto ignorandolo.

«Non sono d’accordo», li interruppe Eugenio. I genitori di Elisa si voltarono di colpo, così come Elisa stessa. «Tra un anno diventerò capoufficio, e tra tre potrei passare alla filiale regionale…»

«E quali sarebbero queste prospettive?» rise la madre.

«Lei è riuscita subito ad aprire tre saloni di bellezza?» chiese Eugenio con serietà.

I sorrisi cortesi svanirono all’istante.

«Me li sono guadagnati», rispose gelida la madre. «Ho iniziato con un piccolo salone sotto casa.»

«Allora mi spieghi perché sia male iniziare come semplice impiegato di banca?»

«Sono uscita cinque minuti e avete già cominciato a discutere!» Elisa era sulla soglia, a braccia incrociate. Gli orecchini luccicavano alle sue orecchie.

Quando Elisa servì il piatto caldo, tutti a tavola rimasero in silenzio. Fu la madre a romperlo per prima.

«Eugenio, cosa ne pensi della misoginia?» chiese con una smorfia. Tutti la fissarono, confusi.

«La detesto», rispose calmo Eugenio.

«Elisa sorrise tra le lacrime, afferrò la mano di Eugenio e insieme ai suoi genitori si diresse verso le colline coperte di neve, dove finalmente avrebbe realizzato il suo sogno di scivolare felice nel giorno del suo compleanno.

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