**Quando i sogni si avverano**
«Giovane, hai toccato la mia macchina!» – sul marciapiede c’era una donna elegante, avvolta in un cappotto bianco.
«Dovrebbe parcheggiare meglio,» borbottò Enrico. «Con la patente comprata chissà dove, poi si creano situazioni pericolose. Alle donne non le darei proprio la patente!»
«Ma vede che ci sono cumuli di neve dappertutto? Dove avrei dovuto parcheggiare, secondo lei? Su quel mucchio là?» – la donna indicò con delicate dita un grande cumulo di neve. «Chiamo la polizia!»
L’ardore di Enrico si spense all’istante. Aveva già una multa per eccesso di velocità quel mese. E ora anche questa.
«Anche io sono finito con la ruota nel ghiaccio. Mi capisca, non l’ho fatto apposta.»
«E che mi propone?» chiese la donna con freddezza.
«Propongo di risolvere la cosa qui.»
«No. È una questione di principio. Sono contro la misoginia.»
«Contro cosa?»
«Contro l’odio verso le donne!»
«Va bene, ammetto di aver sbagliato,» disse Enrico tra i denti. «Le pago il danno… quel graffietto. E ci aggiungo qualcosa per il disagio. Quanto vuole?»
Dopo lunghe insistenze, la donna cedette. A Enrico sembrò quasi che la sconosciuta stesse prendendo tempo per spillargli più soldi possibile. Alla fine pagò una bella somma pur di evitare guai.
Enrico sospirò pesantemente. Di nuovo in rosso. E poi c’era il compleanno di Alessia, e non aveva ancora comprato il regalo.
Aprì l’app della banca per controllare: gli restavano solo trecento euro. Allo stipendio mancava una settimana. Non c’era scelta: doveva chiedere un prestito. Chiamò il suo migliore amico.
«Amico, sono a secco anch’io,» rispose Carlo. «E poi, perché le hai dato così tanto? Si vede che quella donna è ricca. Con gente così bisogna chiamare i vigili. O risolvere con il modulo blu, sarebbe stato rapido e l’assicurazione avrebbe fatto tutto. Non sei scappato dal posto.»
«Cavolo, ho deciso di vendere l’auto. Se i vigili segnalano il graffio nel sistema, poi chi ci crede che non è stato un incidente? Non conosci nessuno che potrebbe prestarmi qualcosa? Per una settimana. È il compleanno di Alessia. Non posso presentarmi senza regalo.»
«È vero, con una come Alessia non si può arrivare con un biglietto,» rise Carlo. «Ma non conosco nessuno che possa aiutarti. Scusa, fratello.»
Enrico ripose il telefono nel supporto magnetico, abbassò leggermente il finestrino e si mise a pensare. Era passata un’ora da quando la donna nel cappotto bianco era svanita dietro l’angolo, e lui era ancora lì, fermo in quel maledetto parcheggio. Aveva davvero cercato di fare attenzione, ma la ruota aveva scivolato sul ghiaccio e l’auto aveva urtato quella accanto.
Poi gli venne un’idea: aveva da qualche parte una carta di credito. Come aveva fatto a dimenticarsene? La soluzione arrivò all’improvviso, e si sentì sollevato. Corse subito da un gioielliere a comprare quegli orecchini che aveva visto per Alessia.
La sera, Enrico era davanti alla porta dell’appartamento, ma non riusciva a suonare. Ripensò al loro primo incontro, stringendo un piccolo mazzo di rose selvatiche. Nella tasca della giacca c’era la scatolina del gioielliere.
Un anno prima, Enrico aveva avvicinato Alessia per la prima volta, senza aspettarsi che lei gli avrebbe corrisposto. Era una ragazza di un altro mondo: suo padre era uno dei fondatori di un grande centro commerciale, sua madre gestiva tre saloni di bellezza. I genitori le avevano comprato un appartamento, davanti al cui uscio Enrico ora esitava.
«Buon compleanno, amore mio!» Enrico le porse subito i regali.
«Ciao! Grazie, tesoro,» Alessia gli baciò la guancia. «Oddio, sono proprio quelli?»
«Sì…» arrossì Enrico.
«Sei pazzo! Costano un patrimonio,» sussurrò Alessia, tirando fuori gli orecchini. «Ma sono bellissimi… Grazie!»
Era sempre così. Anche se veniva da una famiglia benestante, Alessia teneva sempre d’occhio le spese. Preferiva fare la spesa al supermercato e cucinare a casa piuttosto che andare al ristorante. E si occupava delle faccende domestiche da sola, tranne una volta che aveva chiamato le pulizie, quando si era rotta una gamba.
Ma Enrico sentiva comunque che venivano da mondi diversi. Lui era di una famiglia semplice, dove si apprezzava il brodo di gallina e per il compleanno si preparava una torta salata al fegato.
«Spero non ti dispiaccia… Ho ospiti,» sorrise Alessia.
«Pensavo ci fosse già una folla,» rise Enrico.
«Lo sai che non mi piace festeggiare il compleanno. Vieni, ho già preparato la tavola,» lo prese per mano e lo condusse in cucina. «Mamma, papà, vi presento il mio Enrico.»
Enrico rimase impietrito, ma non mostrò confusione. Salutò i genitori di Alessia.
«Perché non me l’hai detto?» sussurrò all’orecchio di Alessia. «Mi sarei preparato…»
«Non preoccuparti. Credevo fossero già partiti per le vacanze, invece hanno voluto farmi una sorpresa. Sono arrivati due ore fa, figurati. Sarà tutto ok, sono fantastici.»
«Uhm,» borbottò Enrico tra sé.
I genitori di Alessia lo scrutavano come se volessero scannerizzarlo. Enrico si sentiva a disagio.
«Raccontaci di te? Sembriamo estranei,» disse il padre con un sorriso forzato.
«Sì, sarebbe interessante,» aggiunse la madre.
«Di me? Io… lavoro come impiegato in banca. Ho studiato economia e ora mi sono iscritto all’università. Ma da lavoratore…»
«Ci sono prospettive in banca oggi?» la madre si girò verso il padre, ignorando Enrico.
«Credo di sì, ma molto limitate,» rispose il padre, guardando la moglie e ignorando ugualmente il ragazzo.
«Non sono d’accordo,» interruppe Enrico. I genitori si voltarono di colpo, così come Alessia. «Tra un anno diventerò capoufficio, e tra tre avrò una sede regionale…»
«E queste sarebbero prospettive?» rise la madre.
«Voi avete subito comprato tre saloni di bellezza?» chiese serio Enrico.
I sorrisi educati svanirono dai volti dei genitori.
«Li ho guadagnati,» rispose gelida la madre. «Ho iniziato con un piccolo salone di quartiere.»
«Allora, mi spieghi cosa c’è di male a iniziare come impiegato in banca?»
«Sono uscita per cinque minuti e voi avete già iniziato a discutere!» Alessia era sulla soglia, a braccia incrociate.
Ai suoi orecchi brillavano i nuovi orecchini.
Quando Alessia servì il piatto caldo, tutti a tavola rimasero in silenzio. Fu la madre a romperlo.
«Enrico, cosa pensi della misoginia?» chiese con un sorriso beffardo. Tutti la fissarono perplessi.
«La detesto,» rispose tranquillo Enrico.
«Sorprendente che tu conosca questa parola,» lo punzecchiò.
«Non ci«Non ci crederà, ma l’ho sentita stamattina per caso, da una signora incontrata per strada.»