Quando il destino bussa alla porta

Quando il destino bussa alla porta

Il responsabile del marketing, Matteo Forte, single e sicuro di sé, non riuscì a resistere alla vista della nuova collega: la vivace e audace Viola. Era appena arrivata in ufficio, e lui già le si avvicinava, senza nascondere il suo interesse.

“Buongiorno, collega,” disse, con un sorriso così caldo da sembrare quasi scottante, tanto che Viola non poté fare a meno di soffermarsi su di lui.

“Buongiorno,” rispose lei, dolcemente ma con una scintilla negli occhi, mentre gli angoli delle sue labbra si sollevavano in un sorriso complice.

“Bene, mettiti al lavoro,” continuò Matteo, indicando una collega più anziana. “Giulia ti spiegherà tutto quel che c’è da sapere—lei è la regina dei tutoraggi qui. Leggi le istruzioni e buona fortuna. Spero che ci troveremo bene.”

Le colleghe, soprattutto donne, lo guardarono uscire con occhi curiosi. Appena Matteo se ne fu andato, Giulia sussurrò a Ginevra, seduta accanto a lei:

“Da quando il nostro Matteo fa tante cerimonie con le nuove arrivate?” Si scambiarono un’occhiata e scoppiarono a ridere a bassa voce.

Viola, all’inizio, era guardinga. Un nuovo ambiente, facce sconosciute. Non era certo una timida: a ventitré anni aveva già avuto alle spalle alcune storie turbolente. Al liceo aveva iniziato una relazione con un insegnante vent’anni più vecchio di lei, che poi l’aveva lasciata quando i pettegolezzi erano arrivati alla sua famiglia. Lei aveva scrollato le spalle e proseguito per la sua strada, lasciandosi dietro una scia di cuori spezzati.

Due settimane dopo, Matteo le propose di fermarsi dopo il lavoro per un caffè in un bar affacciato sul fiume.

“Perché no? Sei il mio capo, e con i capi bisogna andarci piano,” rispose lei con un sorriso furbo, quasi una sfida.

Il suo tono era così innocente che per un attimo Matteo pensò stesse scherzando. Ma il suo cuore sobbalzò di gioia. Lui aveva trentadue anni e nessuna relazione seria—tutto finiva a metà strada. Con Viola, invece, tutto accadde in un lampo: uscite, passione, innamoramento. E ben presto l’ufficio brulicò della notizia: Matteo e Viola invitavano tutti al loro matrimonio.

**Una famiglia sul filo**

Matteo si annullava per Viola, accontentando ogni suo capriccio. Lei aveva posto una condizione:

“Niente bambini, Matteo. Voglio vivere per me. Quando sarò pronta, te lo dirò io. Ma per ora niente passeggini e notti in bianco.”

Lui sperava che il tempo cambiasse le cose. Aspettava che Viola cambiasse idea, che capisse che una famiglia senza figli era solo metà della felicità. Ma i mesi passavano, e lei continuava a respingerlo:

“Matteo, te l’ho detto subito. Non farmi pressioni. Non sono pronta.”

Un giorno la trovò in bagno, pallida, con un test di gravidanza tra le mani tremanti.

“Viola… sei incinta?” sussurrò lui, quasi non osando crederci.

Lei annuì in silenzio, gli occhi pieni di lacrime. Matteo, fuori di sé dalla gioia, la sollevò tra le braccia, ma lei scoppiò in un pianto disperato:

“Non voglio avere un figlio! Non voglio essere grassa, non voglio questa vita! Fai qualcosa!”

Lui la strinse a sé, baciandole le guance bagnate.

“Non piangere, è un miracolo. Ti amo così tanto, Violina. Avremo un bambino!”

Ma Viola era irremovibile. Prenotò una visita medica, decisa a interrompere la gravidanza. Quando Matteo lo scoprì, irruppe nella clinica all’ultimo momento e, tra urla e proteste, la trascinò fuori.

“Viola, ti prego, non farlo. Lascia che nostro figlio viva. Sarò al tuo fianco, mi prenderò cura di tutto,” disse con la voce rotta.

Lei acconsentì, ma a una condizione: pannolini, passeggini, sveglie notturne—niente di tutto ciò sarebbe stato suo problema. Per tutta la gravidanza Matteo le fu accanto, anticipando ogni suo desiderio. Quando arrivò il momento, la portò in ospedale. Solo dopo aver visto la loro bambina perfettamente sana, riuscì finalmente a respirare.

**Una figlia abbandonata**

Felice, tornò a casa per riposare. Ma il giorno dopo, in ospedale, lo aspettava un colpo:

“Sua moglie non c’è. Se n’è andata, ha lasciato la bambina,” gli disse l’infermiera, porgendogli un foglietto piegato. “Ecco un messaggio.”

“Non può essere!” Matteo rifiutò di crederci. “Forse è uscita? Cercatela!”

Ma Viola era scomparsa. Non rispondeva alle chiamate, aveva cambiato numero. Dopo un mese e mezzo, finalmente lo chiamò:

“Raccogli le mie cose. Verrà Federico a prenderle. Per il divorzio, pensaci tu—io non torno.”

Nessuna parola sulla bambina. Non le serviva, così come non le serviva più Matteo. Da quel giorno, lui divenne per la piccola Beatrice sia padre che madre. Sua madre, che viveva nel quartiere vicino, si occupò della nipotina.

**Ombre del passato**

Alessia afferrò il telefono al primo squillo. Era la maestra di suo figlio Lorenzo, la signora Lucia. Il bambino frequentava la seconda elementare.

“Alessia, venga subito a scuola! Suo figlio ha combinato un bel guaio!” La maestra riattaccò senza aggiungere altro.

Alessia, presa una rapida licenza dal lavoro, corse a scuola col cuore in gola.

*Cosa avrà mai fatto Lorenzo? È sempre stato così tranquillo, ubbidiente. Mai un problema,* pensava, accelerando il passo.

Lorenzo era nato contro ogni previsione. Suo marito, Riccardo, prima del matrimonio le aveva confessato con onestà: era sterile, c’era un referto medico a provarlo. Per lui sarebbe stato il terzo matrimonio.

“Forse i medici si sbagliano? Può succedere,” aveva detto Alessia. Amava Riccardo ed era pronta ad accettare tutto, persino l’adozione, ma per il momento taceva.

Il primo matrimonio di Riccardo era finito in un anno—la moglie lo tradiva. La seconda era scappata appena scoperto il suo problema, sognando una famiglia numerosa. Con Alessia era stato sincero. Ma, con suo enorme stupore, lei rimase incinta. Raggiante, gli mostrò il referto: otto settimane.

“Riccardo, guarda, avremo un bambino! Te l’avevo detto che i medici sbagliano!” esultò.

Ma invece di gioire, lui le diede uno schiaffo.

“Felice? Hai messo le corna a tuo marito!” urlò, alzando di nuovo la mano.

Alessia pianse, proteggendosi il viso. La sera lui si calmò:

“Va bene, tieniti sto bambino. Anche se non è mio.”

Lei tacque, senza cercare di convincerlo. Nacque Lorenzo, identico a Riccardo. All’inizio il marito lo osservava con sospetto, ma poi iniziò a giocarci. Poi, però, tornarono gli scatti d’ira.

“Troia! Di sicuro l’hai già detto al tuo amante che hai un figlio! Perché l’hai registrato a nome mio? Che mantenga lui sto bastardo!”

Lorenzo, crescendo, sentiva quelle urla e piangeva. Riccardo gli gridava:

“Vattene dal tuo vero padre, che ti mantenga luiAlessia lo portò via di corsa, ma quando tornarono a casa quella sera, trovarono un biglietto sul tavolo: “Non cercarmi.”

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