Quando il destino bussa alla porta

Quando il destino bussa alla porta

Il direttore del reparto marketing, Luca, single e sicuro di sé, non poté resistere alla vista della nuova impiegata: una vivace e sfacciata Beatrice. Era appena arrivata in ufficio, e lui le si avvicinò subito, senza nascondere il proprio interesse.

—Buongiorno, collega— disse lui, con un sorriso caldo, quasi bruciante, che fece trattenere lo sguardo a Beatrice un attimo in più del necessario.

—Buongiorno— rispose lei con dolcezza, ma con una scintilla negli occhi, mentre gli angoli delle sue labbra si sollevavano in un sorriso complice.

—Bene, mettiti al lavoro. Olga ti spiegherà tutto, è la nostra mentore— annuì Luca verso una collega più esperta. —Leggi le istruzioni. In bocca al lupo, spero che andremo d’accordo.

Le colleghe, perlopiù donne, lo guardarono andare via con occhi curiosi. Appena Luca uscì, Olga sussurrò a Chiara, seduta accanto a lei:

—Da quando il nostro Luca fa così tante moine con le nuove arrivate?— Si scambiarono un’occhiata e risero sottovoce.

Beatrice all’inizio era diffidente. Un nuovo ambiente, volti sconosciuti. Non era certo timida: a ventitré anni aveva già avuto alle spalle alcune storie turbolente. Al liceo aveva avuto una relazione con un professore vent’anni più grande, che però aveva troncato quando i pettegolezzi erano arrivati alla sua famiglia. Lei si era scrollata di dosso la cosa ed era andata avanti, lasciandosi dietro una scia di cuori spezzati.

Dopo un paio di settimane, Luca le propose di fermarsi dopo il lavoro per un caffè in un bar sul lungomare.

—Perché no? Sei il mio capo, e coi capi bisogna andare d’accordo— rispose lei con un sorriso furbo, quasi una sfida.

Il suo tono era così innocente che per un attimo Luca pensò che stesse scherzando. Ma il cuore gli balzò di gioia. A trentadue anni, non aveva mai avuto una relazione seria: tutto si interrompeva a metà strada. Con Beatrice invece tutto accadde rapidamente: appuntamenti, passione, innamoramento. Presto tutto l’ufficio parlava della notizia: Luca e Beatrice avevano invitato i colleghi al loro matrimonio.

**Una famiglia sull’orlo**

Luca si era lasciato assorbire completamente da Beatrice, accontentandola in ogni suo capriccio. Lei aveva posto una condizione:

—Niente bambini, Luca. Voglio vivere per me stessa. Quando sarò pronta, te lo dirò io. Per ora, niente passeggini e notti insonni.

Luca sperava che il tempo avrebbe cambiato le cose. Credeva che Beatrice avrebbe cambiato idea, che avrebbe capito che una famiglia senza figli era solo metà della felicità. Ma i mesi passavano, e lei continuava a scuotere la testa:

—Luca, te l’ho detto subito. Non insistere. Non sono pronta.

Un giorno la trovò in bagno, pallida, con un test di gravidanza tra le mani tremanti.

—Beatrice, sei… incinta?— sussurrò lui, quasi non osando crederci.

Lei annuì in silenzio, e gli occhi le si riempirono di lacrime. Luca, fuori di sé dalla felicità, la sollevò tra le braccia, ma lei scoppiò in lacrime:

—Non voglio avere questo bambino! Non voglio diventare grossa, non voglio questa vita! Fai qualcosa!

Lui la strinse a sé, baciandole le guance bagnate.

—Non piangere, è un miracolo. Ti amo così tanto, Bea. Avremo un bambino!

Ma Beatrice era irremovibile. Prenotò un appuntamento dal medico, decisa a interrompere la gravidanza. Luca, quando lo scoprì, irruppe nella clinica e riuscì a fermarla all’ultimo momento. La trascinò fuori tra le proteste.

—Beatrice, ti prego, non farlo. Lascia che nostro figlio viva. Sarò al tuo fianco, mi occuperò di tutto— la sua voce tremava.

Lei accettò, ma a una condizione: pannolini, biberon, notti insonni non sarebbero stati affari suoi. Per tutta la gravidanza, Luca le stette accanto, anticipando ogni suo desiderio. Quando arrivò il momento, la portò in ospedale. Solo vedendo la figlia sana e salva, riuscì a tirare un sospiro di sollievo.

**Una figlia abbandonata**

Felice, tornò a casa per riposarsi. Ma il giorno dopo, in ospedale, lo aspettava un colpo terribile:

—Sua moglie non c’è più. Se ne è andata, ha lasciato la bambina— gli disse l’infermiera, porgendogli un foglietto. —Ecco un messaggio.

—Non può essere!— Luca rifiutò di crederci. —Forse è uscita? Cercatela!

Ma Beatrice era sparita. Non rispondeva alle chiamate, aveva cambiato numero. Dopo un mese e mezzo, finalmente lo chiamò:

—Fai i bagagli con le mie cose. Verrà Marco a prenderle. Chiedi tu il divorzio, io non torno.

Della figlia, nemmeno una parola. Non le serviva, così come non le serviva più Luca. E così lui divenne per la piccola Sofia sia padre che madre. Sua madre, che viveva nel quartiere vicino, si prese cura della nipotina.

**Ombre del passato**

Giulia, sentendo squillare il telefono, lo afferrò in fretta. Era la maestra di suo figlio Matteo, la signora Marta. Il bambino frequentava la seconda elementare.

—Giulia, venga subito a scuola! Suo figlio ha combinato un guaio serio!— esclamò l’insegnante prima di riattaccare.

Giulia, chiesto un permesso al lavoro, corse a scuola con il cuore in gola.

“Cosa avrà fatto Matteo? È sempre stato tranquillo, educato. Non ha mai dato problemi”— pensava, accelerando il passo.

Matteo era nato contro ogni previsione. Suo marito, Marco, prima del matrimonio le aveva confessato onestamente: era sterile, aveva un certificato medico. Per lui era il terzo matrimonio.

—Forse i medici si sbagliano? A volte capita— aveva detto Giulia. Amava Marco e sarebbe stata pronta ad accettare tutto, anche l’adozione, ma per ora taceva.

Il primo matrimonio di Marco era finito dopo un anno: sua moglie lo tradiva. La seconda era scappata quando aveva scoperto la sua sterilità, sognando dei figli. Con Giulia era stato sincero. Ma, con suo stupore, lei era rimasta incinta. Raggiante, gli mostrò il referto: otto settimane.

—Marco, guarda, avremo un bambino! Te l’avevo detto, i medici sbagliano!— esultò.

Ma anziché gioire, lui le diede uno schiaffo.

—Felicità? Tu hai messo le corna a tuo marito!— urlò, alzando di nuovo la mano.

Giulia piangeva, proteggendosi il viso. La sera lui si calmò:

—Va bene, tenga pure il bambino. Anche se non è mio.

Lei tacque, senza cercare di convincerlo. Nacque Matteo, identico a Marco. All’inizio il marito lo osservava con diffidenza, ma poi cominciò a giocarci. Presto però tornarono le furie.

—Troia! Di sicuro l’hai già detto al tuo amante! Perché l’hai messo a nome mio? Che sia lui a pagare il mantenimento!— gridava.

Matteo, crescendo, sentiva quelle urla e piangeva. Marco gli diceva:

—Vai dal tuo vero padre, che ti mantenga!

Giulia fece un test del DNA, provando che Marco era il padreMa la vita, spesso crudele, sa anche regalare giorni luminosi, e mentre Luca stringeva la mano a Giulia, sentì che forse il destino aveva finalmente smesso di bussare per entrare davvero.

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