Quando il silenzio nasconde segreti

C’era qualcosa da nascondere

Marco arrivò con la macchina davanti a un vecchio palazzo di cinque piani e parcheggiò in modo che la targa non fosse troppo visibile. Guardò con sguardo cupo i balconi scrostati, senza vetri, e le finestre cieche. I doppi vetri moderni sembravano toppe messe a caso. Insomma, quel palazzo era come un vagabondo: indossava tutto quello che trovava nella spazzatura.

Perso tra alberi malaticci e altri edifici, sopravvissuto a più cambi di governo e di epoca, il palazzo sembrava diradare i suoi giorni proprio come i suoi inquilini.

A Marco, quel posto evocava una noia e una malinconia che gli facevano venire il mal di denti. Era in un posto del genere che aveva passato l’infanzia, e aveva lottato con tutte le forze per scapparne. A dire il vero, non solo l’aveva sognato, ma aveva anche lavorato duramente: bravo a scuola, si era iscritto all’università giusta, alla facoltà giusta, e poi aveva studiato economia. Senza quelle conoscenze, costruire un business di successo sarebbe stato impossibile.

Quando finalmente raggiunse i suoi obiettivi, trasferì i genitori in un quartiere migliore. Comprou loro una casetta piccola ma moderna, con un giardino dove, davanti alla facciata, crescevano siepi ben tagliate e fiori vivaci, mentre dietro casa sua madre aveva coltivato un orto. Come poteva farne a meno? Non riusciva proprio a starsene senza fare niente.

Le donne non amavano Marco solo per i suoi soldi. Era bello, generoso, sapeva come conquistarle. Un paio di volte aveva quasi sposato delle bellezze rifatte dal chirurgo plastico. Ma poi immaginava di presentare quelle fanciulle slanciate a sua madre, semplice e umile, e come lei si sarebbe sentita sminuita accanto a quelle bellezze di silicone. E così aveva cambiato idea.

Ginevra lo conquistò con una bellezza naturale, discreta, e un sorriso dolce. Naturalmente, si innamorò. Dopo un mese, la presentò ai genitori. Sua madre la osservò e sorrise approvando, annuendo appena al figlio.

E chi avrebbe resistito a quella bellezza semplice e al carattere pacato? Abituata a vivere con poco, Ginevra era modesta e senza pretese. Suo padre era morto, e poco dopo anche sua madre, stroncata da un cancro improvviso. Marco la circondò di affetto e tenerezza. Anche un anno dopo il matrimonio, le batteva ancora il cuore come un ragazzino quando la vedeva.

Un giorno, il suo vice e amico di affari gli disse di aver visto Ginevra proprio in quel quartiere malfamato, vicino a quel palazzo scrostato. Cosa ci faceva lì? Non aveva alcun motivo per andarci.

«E tu cosa ci facevi lì?» ribatté Marco.

«Sono capitato lì per caso. Stavo evitando il traffico, mi sono perso e ho finito davanti a quel palazzo.»

«Mi tradisce? Ginevra? Impossibile!» pensò Marco, ma un brivido freddo gli corse lungo la schiena, e le mani gli si strinsero a pugno senza volerlo.

«Forse mi sbagliavo» si rimangiò tutto l’amico, vedendo la sua reazione. «È bella, ma non è l’unica al mondo. Scusa.»

A casa, Ginevra gli sorrideva dolcemente, si comportava con naturalezza, gli si avvicinava carezzevole. Secondo lui, un’adultera avrebbe evitato il contatto dopo essersi divertita con l’amante. Invece, lei non lo respingeva. Anzi, si stringeva di più, docile, fiduciosa, abbandonandosi completamente a lui.

No, qualcosa non tornava. O era un’ottima attrice, o l’amico si era sbagliato. O forse voleva metterlo contro Ginevra? Ma perché? Oppure non si trattava di un tradimento, ma di qualcos’altro?

Il segreto di sua moglie non gli dava pace, così decise di seguirla. All’ora di pranzo, proprio quando l’amico l’aveva vista, Marco si piazzò vicino al palazzo e aspettò. Per passare il tempo, accese la musica.

Stava per rinunciare quando, all’improvviso, apparve Ginevra. Si avvicinò di fretta a uno degli ingressi, aprì con una chiave la porta con la serratura a combinazione, i vetri ricoperti di adesivi e scritte, si guardò intorno e sparì dentro.

«Ha una chiave. Interessante.» Il cuore di Marco batteva forte, come un cane che fiuta una preda. Stava per seguirla, ma si fermò: lui non aveva la chiave. Se avesse suonato a caso, sperando che qualcuno gli aprisse, Ginevra sarebbe già sparita in uno degli appartamenti. Non poteva certo bussare a tutte le porte.

Così rimase ad aspettare, tamburellando sul volante a ritmo della canzone degli Il Volo che usciva dallo stereo. Dopo quaranta minuti, un taxi giallo si fermò davanti al palazzo, e poco dopo Ginevra uscì, salì e se ne andò.

Marco non la seguì. Tornò in ufficio, ma lavorare era impossibile. Non riusciva a togliersi dalla testa Ginevra e quel palazzo decadente. Lasciò il vice a gestire tutto e tornò a casa prima del solito.

Lì, si versò un bel bicchiere di grappa. Di solito non beveva a quell’ora, potevano chiamarlo per lavoro. Ma quel giorno cedette, il cervello aveva bisogno di staccare. «Ah, Ginevra, Ginevra… Perché? Cosa ti manca? Sembravi così affidabile, modesta, e invece sei come tutte le altre…» Girovagò per la grande casa come un orso in gabbia.

La porta d’ingresso sbatte, le chiavi tintinnarono sul mobile. Marco si versò un altro bicchiere e lo bevve d’un fiato. Sapeva che sua moglie sarebbe entrata da un momento all’altro, eppure, quando lo chiamò, sobbalzò.

«Perché sei al buio?» gli chiese Ginevra alle spalle. Marco si voltò. «Stai bevendo? Che succede? Problemi al lavoro?» domandò, vedendo il bicchiere in mano al marito.

Lui notò i suoi occhi che si dilatavano. C’era… paura?

«Io sto bene. E tu non hai niente da dirmi?» chiese con voce roca.

«Non capisco. Di cosa?»

«Che recitazione perfetta. Bravo, ragazza.» Marco sorrise tra sé.

«Dove sei stata a pranzo?» guardò la bottiglia, indeciso se versarsene un altro.

«Sei passato al lavoro? Non me l’hanno detto» rispose lei, esitante.

Marco non la staccava dagli occhi. A un tratto, Ginevra sembrò afflosserà vene secca, come se tutto il colore le fosse svanito dal viso.

«Ecco, ti blocchi? Su, dimmi. Sono curioso di sapere chi vai a trovare. Almeno fosse un amante presentabile, ma in quei palazzi vivono solo poveracci senza speranza.»

«Non mentirmi» disse ad alta voce.

«Volevo dirtelo da tempo…» Ginevra raggiunse il divano e vi cadé sopra.

Marco osservò la sua schiena curva. «Ah, continui a recitare? Vuoi farmi pena? Non funzionerà.»

«Perché non me l’hai detto prima?» chiese freddo, afferrando la bottiglia. «Da quanto mi inganni?»

«Io… Volevo dirtelo subito, ma non ce l’ho fatta. E poi…»

«Su, continua, non fermarti.» Marco riempì di nuovo il bicchiere.

«Non bere.Ginevra gli prese la mano e, con voce tremante, sussurrò: “È mio padre, vivo e malato, e non ho avuto il coraggio di confessartelo per la vergogna.”

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