Quando la felicità bussò alla porta un giorno

Era una sera come tante altre quando la felicità bussò alla sua porta.

Ludovica era rimasta sola. Del tutto sola. Un anno fa era scomparsa sua madre — la sua unica ancora, la sua anima, la sua famiglia. Poco tempo dopo se n’era andato anche Titiro, il vecchio gatto rosso che l’aveva accompagnata per quindici anni, fedele compagno di tante giornate. L’ultima creatura vivente che le riscaldava il cuore. Da allora, la vita di Ludovica sembrava essersi fermata: casa, lavoro, negozio, di nuovo casa. Giorno dopo giorno. Nella più totale solitudine.

Quella sera tornò dal lavoro più tardi del solito — una riunione improvvisa l’aveva trattenuta. Aveva il cuore pesante e i pensieri confusi. Camminava lungo il marciapiede, stringendosi il cappotto, e si chiedeva: «Perché continuare? Cosa mi aspetta, se il mio cuore è vuoto?» Entrò nel palazzo, raggiunse la porta di casa e, all’improvviso, si fermò trattenendo il fiato.

Sul tappeto davanti all’uscio c’era un minuscolo gattino grigio. Era ben curato, striato, e la fissava con occhi curiosi. Vedendola, si alzò barcollando appena ed emise un debole miagolio. Con mani tremanti, Ludovica lo sollevò e lo strinse al petto.

«Da dove vieni, piccolino? Chi ti ha lasciato qui?» sussurrò, quasi in lacrime.

In casa c’era ancora un sacchetto di cibo per gatti — quello che era rimasto da quando Titiro se n’era andato. E anche la ciotola, la copertina, perfino il suo fiocco giocattolo preferito. Il gattino mangiò con gusto, poi si raggomitolò sulla poltrona facendo le fusa. Ludovica lo osservava, come temendo che la magia potesse svanire.

Ma poi, tra le dita, sentì un minuscolo collare con un campanellino. Non suonava — forse si era rotto. Non c’era alcun nome. Qualcuno lo stava cercando. Sospirò. Il cuore le doleva: aveva appena accolto un po’ di gioia, e già doveva lasciarlo andare.

Scrisse alcuni avvisi e li affisse per il quartiere. Mentre usciva dal palazzo, sbatté quasi contro un uomo che stava appendendo un volantino: “Gattino scomparso.” Si era appena trasferito nell’edificio accanto. Si chiamava Alessandro. Per distrazione aveva lasciato la finestra aperta, e il piccolo era scappato.

«Venga, è da me» disse Ludovica.

Il gattino si agitò felice tra le braccia di Alessandro, riconoscendolo subito.

«Non so come ringraziarla» disse l’uomo, emozionato. «Se le va, venga a trovarci. Minù sarà felice.»

Due giorni dopo si rividero. Ludovica andò a trovarlo. Sorseggiarono del tè e parlarono di vita, condividendo ricordi. Alessandro le confidò di essersi appena separato, di non aver avuto figli, e che ora il gatto era tutto per lui. Ludovica raccontò di sua madre, di Titiro. Parlarono a lungo, serenamente, con una confidenza che sembrava antica.

Minù si acciambellò sulle sue ginocchia, soddisfatto. Alessandro la guardava con dolcezza. E lei, per la prima volta da tanto tempo, non si sentì più sola, ma importante.

Così cominciò la loro storia. Ben presto diventò qualcosa di più. Passeggiate, film, chiacchierate… La vita riacquistò un senso. E chi l’avrebbe mai detto? Tutto era iniziato con un batuffolo di pelo sul tappeto davanti alla porta.

La cosa più importante è credere che la felicità possa arrivare. E arriva. A volte piano, quasi in punta di piedi. Altre volte miagolando e stringendosi al cuore.

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