*Una sera qualunque, quando alla porta bussò la felicità*
Erika era sola. Completamente sola. Un anno fa era morta sua madre — la sua unica rotta, la sua anima, la sua famiglia. E poco tempo dopo se n’era andato anche Ginger, il suo vecchio gatto rosso, compagno fedele per quindici anni. L’ultima creatura vivente che le scaldava le giornate. Da allora, la sua vita sembrava essersi fermata: casa, lavoro, spesa, di nuovo casa. Giorno dopo giorno. Nella più totale solitudine.
Quella sera tornò dal lavoro più tardi del solito — c’era stata una riunione improvvisa. Aveva il cuore pesante, i pensieri confusi. Camminava sul marciapiede, stretta nel cappotto, e si chiedeva: «Perché continuare? Che cosa posso aspettarmi, se il mio cuore è vuoto?» Entrò nel palazzo, si avvicinò alla porta di casa — e all’improvviso si fermò, trattenendo il fiato.
Sul tappetino, accovacciato davanti alla porta, c’era un minuscolo gattino grigio. Era curato, con le strisce sottili e due occhioni pieni di meraviglia. Quando vide la donna, si alzò barcollando un po’ ed emise un debole miagolio. Erika lo sollevò con mani tremanti e lo strinse al petto.
«Da dove vieni, piccolo? Chi ti ha lasciato qui?» sussurrò, quasi trattenendo le lacrime.
In casa c’era ancora del cibo per gatti — rimasto da quando Ginger era ancora con lei. Anche una ciotola, una copertina e persino un fiocco di stoffa che amava tanto. Il micio mangiò con appetito, poi si acciambellò sulla poltrona e iniziò a fare le fusa. Erika lo osservava, come se avesse paura di spaventare quel miracolo.
Ma all’improvviso, sotto le dita, sentì un minuscolo collare con un campanellino. Non suonava — forse rotto. Non c’era scritto niente. Qualcuno lo stava cercando. Sospirò. Il cuore le doleva: aveva appena assaggiato un po’ di gioia, e ora doveva lasciarlo andare.
Scrisse dei volantini e li affisse in giro per il quartiere. E mentre usciva, quasi inciampò in un uomo che ne stava attaccando uno anche lui: «Smarrito gattino». Si era appena trasferito nel palazzo accanto. Si chiamava Massimo. Per distrazione aveva lasciato la finestra aperta, e il gattino era scappato.
«Venga, ce l’ho io» disse Erika.
Il micio si agitò felice tra le braccia di Massimo, riconoscendo il suo padrone.
«Non so come ringraziarla» disse lui, commosso. «Se vuole, passi a trovarci qualche volta. Birillo sarà contento.»
Due giorni dopo si rividero. Erika andò a trovarlo. Bevvero un tè e parlarono della vita, scambiandosi storie. Massimo le confessò che si era divorziato da poco, non avevano figli, e ora il gatto era tutto per lui. Erika parlò di sua madre e di Ginger. Chiacchierarono a lungo, con calma e fiducia, come se si conoscessero da sempre.
Birillo si sdraiò sornione sulle sue ginocchia. Massimo la guardava con dolcezza. E lei, per la prima volta dopo tanto tempo, non si sentiva più sola. Si sentiva apprezzata.
Così iniziò tutto. Ben presto, la loro amicizia divenne qualcosa di più. Passeggiate, film, chiacchiere… La vita aveva ripreso ad avere un senso. E chi l’avrebbe mai detto… tutto era cominciato con un batuffolo di pelo sul tappetino di casa.
La vera lezione? Bisogna credere che la felicità possa bussare alla porta. E lo fa. A volte piano, quasi invisibile. Altre volte miagolando e scaldandoti il cuore.