**”Non hai un uomo tuo, allora ti butti sul mio? Questa sì che è un’amica! Che i tuoi piedi non mettano più piede in casa mia,”** sbatté furiosa Lucia.
Scendere dall’autobus era l’ultima cosa che voleva fare. Fiamma abitava in un quartiere di nuove costruzioni, dove i mezzi pubblici ancora non arrivavano. Dalla fermata a casa c’era una lunga camminata, e con quel tempo… Pazienza, almeno avrebbe fatto tappa al supermercato. Avevano promesso che avrebbero aperto un negozio nel palazzo accanto, ma chissà quando. Doveva pagare per la pigrizia del giorno prima: il frigo era quasi vuoto.
Fiamma scese e non fece in tempo a fare due passi che una raffica di vento le strappò il cappuccio dalla testa, scagliandole una ciocca di capelli e una manciata di neve tagliente in faccia. Pareva che il vento soffiasse in tutte le direzioni insieme, cercando di accecarla.
Rimise giù il cappuccio, tenendolo stretto sotto il mento, curva come una vecchietta. Davanti al supermercato, quasi corse, ansimando per ripararsi dal gelo.
Finalmente la porta si chiuse alle sue spalle, e Fiamma si ritrovò nel silenzio ovattato del reparto alimentare. Scosse i capelli scomposti, prese un cestino e si mise a percorrere i corridoi. Prese solo l’essenziale, quel che poteva starle in una borsa sola. Il resto poteva aspettare domani. Doveva ancora camminare fino a casa, e una mano doveva restare libera per tenersi il cappuccio.
Vide davanti a sé una giovane donna con un passeggino, a cui si aggrappava un bambino di circa sei anni, gonfio in una tuta imbottita che lo faceva sembrare un astronauta. Con una mano spingeva il passeggino, con l’altra reggeva il cestino. Camminavano lenti, impossibile superarli. Fiamma svoltò in un altro corridoio, prese una bottiglia di latte e si diresse verso il reparto pane.
Eccola di nuovo davanti a sé, la donna col passeggino. Stava per girare ancora quando dal passeggino cadde un peluche. Fiamma lo raccolse.
“Aspetti, le è caduto!” gridò.
La donna si fermò e si voltò.
“Ecco…” Fiamma le tese il peluche e, solo allora, riconobbe in lei una sua vecchia compagna di scuola. “Lucia!” esclamò, sorpresa e felice.
“Fiammina!” rispose Lucia, illuminandosi.
“Pensavo: che donna coraggiosa, uscire con due bambini con questo tempo,” disse Fiamma.
“Abito nello stesso palazzo. Sono venuta per il latte, ma anche la semola è finita. Volevo fare un salto veloce, ma Alessia si è messa a piangere, e Lorenzo non ce la fa a starle dietro. Eccoci qui.”
Fiamma trattenne la domanda sul marito. Sarebbe stato sgarbato chiederlo subito. Forse era ancora al lavoro.
Abbassò lo sguardo sul bambino. Lui fissava svogliato i pacchi di biscotti.
“Il mio aiutante,” disse Lucia con orgoglio.
“Quanti anni ha?”
“Sei. A settembre va in prima elementare.”
“Andiamo a casa, voglio finire i cartoni,” borbottò Lorenzo, dando alla madre un’occhiata petulante.
“Un po’ di pazienza,” rispose Lucia seccata. “Scusa, Fiamma, vedi come non sono padrona di me stessa? SentFiamma annuì con un sorriso malinconico, guardando Lucia allontanarsi tra la neve e chiedendosi se quel senso di vuoto nella sua vita sarebbe mai svanito, mentre il vento portava via le loro risate come foglie d’autunno.