Quando la libertà arriva con la pensione: il racconto di un addio inaspettato.

25 Ottobre 2023

«Figli cresciuti, e appena andata in pensione, ecco che scappa via da me, ci credi?» si lamentava l’uomo canuto col cappello davanti all’amico con cui giocava a scacchi.

L’autunno aveva appena iniziato a cospargere d’oro il cortile del palazzo. L’aria era fresca, si respirava a pieni polmoni.

Era ormai tradizione che d’estate i pensionati passassero le giornate nel parchetto accanto casa. Si erano ritagliati un angolino con tre panchine vicine e lì si ritrovavano tutte le sere, non appena il caldo dava tregua.

Con l’arrivo del freddo, l’abitudine non era cambiata. Uscivano lo stesso, quei vecchietti argentati, per chiacchierare sulle panchine davanti al portone.

«Scappata proprio così, eh? Forse la colpa è tua, no?» rise l’avversario di scacchi. «Da un uomo per bene non si scappa.»

Roberto, che qualche anno prima si era trovato in una situazione simile, capiva benissimo da dove potesse nascere una fuga del genere.

L’uomo col cappello alzò gli occhi, dello stesso colore dei suoi capelli, e sorrise. «Scacco matto, Roberto. Quanto a mia moglie… l’ha fatto per dispetto! Sa che senza di lei non so stare, ecco perché ha combinato questa tragedia. Voleva farmela pagare.»

Prima di andarsene, gli aveva detto: «Basta, Domenico! Sono stufa di badare a te. Non sai fare niente da solo, quindi me ne vado. Vedrai cosa vuol dire.»

Non aveva nemmeno detto dove andava…

«E allora, come ti senti ora, Domenico?» chiese Roberto, ricordando le proprie emozioni.

«Male… anzi, triste. Il primo giorno avevo voglia di festeggiare, sai? Comprai pure una bottiglia di spumante… la misi in frigo, ma non ebbi il coraggio di aprirla. Nessuno che ti sgrida, che ti dice “Non osare!”. Silenzio totale. E a un tratto non ne ebbi più voglia. Mi presero una malinconia…»

Roberto rise. Capiva Domenico. Ci era passato anche lui, esattamente come lo descriveva.

Domenico rimase in silenzio, fissando la scacchiera. Gli altri uomini intorno osservavano la scena, divisi tra preoccupazione e compassione.

Nessuno, a quell’età, voleva rimanere senza la propria moglie.

Per quanto ci fossero stati momenti noiosi nella routine di tutti i giorni, la propria metà della mela serviva proprio a completarsi.

«Chiamala, di’ che hai capito, che ti penti,» propose uno dei più giovani del gruppo.

Domenico scosse la mano: «Chi può capire cosa vuole quella lì?»

«Io mi ricordo, da bambino, quando badavo alle caprette in campagna,» improvvisamente parlò il vicino del quinto piano. «Se una capretta scappava e non voleva tornare, la attiravo con una carota. Provaci anche tu! Le cose poi si sistemano da sole…»

«E con cosa la attiro?!» rise Domenico. «Ha già tutto, qui non si può sbagliare…»

«Facciamo così, io la chiamo e le dico che sono venuto da te cinque volte, ma non aprivi?» propose il vicino di pianerottolo.

«Perbacco! Giusto!» si illuminò Domenico. «Tornerà di corsa, penserà che è successo qualcosa. E io… eccomi qui, fiori, torta!»

E così, gli uomini si dispersero…

…Il giorno dopo, come concordato, il vicino Bruno telefonò alla moglie di Domenico e le disse che non lo vedeva da giorni e che non apriva la porta.

«Forse è successo qualcosa… vieni subito.»

Domenico, intanto, non perse tempo. Di prima mattina corse al supermercato, comprò dolcetti. Poi passò dal fioraio, prese tre garofani e tornò di corsa a casa.

«Uff, che fatica! Sono distrutto,» pensò Domenico.

Ma decise che presentarsi in pantofole non era dignitoso.

Indossò il suo completo grigio, quello che la moglie gli aveva comprato per i funerali, e preparò la tavola in cucina.

Sistemò tutto, mise lo spumante e la torta in frigo, bollì l’acqua per il tè. Poi si sedette ad aspettare.

Che caldo, col completo… Ma non poteva toglierselo, doveva presentarsi a Luisa in tutto il suo splendore!

Corse alla finestra più volte. Niente.

Poi decise di accoglierla con i fiori. Prese i garofani, e per sfiga uno si spezzò.

Prese un bicchiere di spumante, lo sorseggiò per calmarsi.

Rimase lì, con i fiori in mano, sul divano… finché il sonno non lo assalì.

«La sentirò entrare,» pensò, e si sdraiò con cautela per non sgualcire il completo. Stringendo i fiori sul petto, per non doverli cercare all’ultimo…

…La moglie di Domenico arrivò sul tardi. Tornava dalla sorella in un’altra città, cinque ore di treno e poi un taxi.

Davanti al portone, Luisa alzò lo sguardo… le finestre di casa erano buie!

Si agitò e corse dentro.

Apri la porta piano con le chiavi, entrò… silenzio.

«Oddio, Domenico…»

Accese la luce nell’ingresso e raggiunse il salotto.

E lì, sul divano, vide…

Domenico steso, nel completo… due garofani appassiti stretti nelle mani…

Cadde in ginocchio, la testa bassa, finché le lacrime non iniziarono a scorrere.

«Luisa! Sei tornata!» le sorrise, porgendole i fiori.

«Sei vivo!» urlò lei. «Per la miseria, Domenico! Io lo sapevo! Neanche una settimana ti posso lasciare da solo, eh? Che uomo sei!»

Continuava a sbraitare, mentre lui se ne stava seduto, sorridendo.

«Che bello, com’è diventato accogliente casa,» pensò. «La mia capretta è tornata… l’ho attirata davvero.»

«Siedi lì e sorridi!» continuava lei. «Ti faccio vedere io!»

«Ti amo, Luisa, così tanto che non ti lascerò più andare,» disse calmo.

A quelle parole, la moglie smise di sgridarlo.

«In questa settimana ho capito tutto… non lasciarmi, farò tutto quello che vuoi…»

«E non farai più lo scemo?»

«Ma non l’ho fatto neanche ora, stai tranquilla. Solo un goccino per calmarmi.»

«Va bene,» fece lei, accendendo la luce in cucina.

«Oh… oh…» si sentiva da lì.

«Che bella carotina,» pensò Domenico. «Ora dovrò sorprenderla ogni giorno, e la mia Luisa non scapperà più…»

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