— Ma dove sono? — Giulia fece un rapido controllo in cucina, poi in salotto. Nessuno. La casa era avvolta da un silenzio insolito, quasi inquietante.
Quella mattina era stata una tortura. Sua madre — severa, testarda, con occhi che scrutavano ogni difetto e una lista infinita di critiche. Suo marito — chiuso, irritato, sordo a qualsiasi richiesta. Avevano accettato di ospitare la madre “per una settimana”. Una settimana era passata. Ora era la terza.
— Mamma! Luca! — chiamò a voce alta. Nessuna risposta. Un brivido le attraversò il cuore.
Si infilò la giacca e si diresse verso il garage. Era lì che suo marito si rifugiava spesso — a restaurare vecchi mobili, cercando una tregua dal peso della routine. La porta era socchiusa e da dentro provenivano voci.
— Se prepari bene la superficie, la vernice si stenderà perfettamente — diceva sua madre. Ma il tono era gentile, quasi affettuoso.
— Io di solito diluisco il primo strato — rispondeva Luca. — Così il legno assorbe meglio.
Giulia si fermò sulla soglia, come se temesse di rompere quell’armonia improvvisa. Davanti a lei, qualcosa di impensabile: sua madre e suo marito, sempre pronti a litigare, seduti allo stesso tavolo mentre ridavano vita a una vecchia cornice. La madre aveva un grembiule macchiato di vernice, Luca teneva in mano carta vetrata e un pennello.
— Ma guarda un po’ — sussurrò Giulia, sedendosi in un angolo a osservarli.
Poche settimane prima, aveva insistito: sua madre doveva trasferirsi da loro. Nella casa di riposo dove viveva dopo la morte di suo padre, stavano facendo lavori. Avevano promesso un trasferimento temporaneo, ma sua madre aveva tagliato corto: “Preferisco stare da mia figlia. Sarò d’aiuto, non di peso.”
Luca non era per niente contento. Non aveva mai nascosto che con la suocera andava a rotoli. Troppo diversi. Lei — rigorosa, esigente, con idee granitiche. Lui — tranquillo, ma con la memoria lunga.
Dal primo giorno erano iniziati i battibecchi: le posate nel posto sbagliato, le camicie stese male, la porta sbattuta troppo forte. La sera, Giulia ascoltava i loro risentimenti silenziosi. Due persone forti, ostinate, abituate a comandare — sotto lo stesso tetto.
Aveva paura che il loro matrimonio non ce l’avrebbe fatta.
Eppure ora, quei due erano seduti allo stesso tavolo. Scoprì che sua madre, da giovane, aveva lavorato in una fabbrica di mobili. E Luca, restauratore autodidatta, aveva sempre sognato di incontrare qualcuno che capisse il suo lavoro.
— Hai un tocco preciso — disse lui. — Non tutti hanno questa mano.
— E tu sei talentuoso — rispose lei. — Hai intuito.
Poi prepararono il tè insieme, tirarono fuori un vasetto di marmellata da una vecchia scatola, e Giulia non resistette:
— Avete sostituito mia madre?
La madre sbuffò:
— Prima non avevamo nulla di cui parlare. Ora abbiamo trovato qualcosa in comune. Pensavo fosse un incapace, ma guarda come lavora!
Luca rise:
— Io credevo che mi odiassi.
— Odio la stupidità. Tu, invece, sembri intelligente.
Giulia li fissò un attimo, poi sorrise.
Quella notte, tornati a casa, sentì Luca sussurrarle:
— Grazie per tua madre. Non credevo che avremmo trovato un punto d’incontro.
E al mattino, sua madre annunciò:
— Ho deciso. Non torno più alla casa di riposo. Rimango qui. Vi aiuterò ad aprire una bottega.
Giulia non oppose resistenza. Quando due persone che faticavano persino a guardarsi iniziano a capirsi, ad apprezzarsi, ad aiutarsi — non è un disastro. È un miracolo.
E forse, in quella casa, tornerà la pace. Anzi, la serenità.