Quando l’autobus si rompe, la vita inizia a funzionare

Quando l’autobus si è rotto, e la vita – invece – si è rimessa in moto

Maria Grazia Rinaldi tornava dalla casa al mare con i nipotini. Il sole di agosto picchiava senza pietà, i bambini erano irritabili, e l’autobus, cedendo al caldo torrido, si fermò di colpo in mezzo alla strada. Nel mezzo si alzò un brusio – la gente si lamentava, si sventolava con i giornali e inveiva contro l’autista. Maria Grazia guardò i due piccoli stanchi e capì che aspettare il prossimo autobus sarebbe stata una tortura. Doveva chiamare suo figlio perché li venisse a prendere. Stava già tirando fuori il telefono, quando accanto a loro si fermò una macchina. Il finestrino dal lato del guidatore si abbassò lentamente. Maria Grazia sbirciò dentro – e rimase senza fiato.

Ma questa storia era iniziata molto prima di quella giornata afosa…

Maria Grazia non si era sposata per amore, né tantomeno per interesse – ma per necessità. A venticinque anni, nel suo paesino, già la consideravano una zitella. E poi era arrivato Vincenzo – un tuttofare del paese, con le d’oro ma anche una debolezza per il bicchiere. I genitori la pressavano, le amiche avevano già figli… E lei cedette.

All’inizio cercarono di adattarsi. Lei tentò di amare suo marito, lui – non si sforzò troppo per farsi amare. Il matrimonio diventò presto una semplice convivenza. Poi nacque il figlio Andrea, e due anni dopo – la figlia Stefania. Con l’arrivo dei bambini, Vincenzo diede il peggio di sé. Prima lavorava nel paese – era richiestissimo, la gente lo pagava in prodotti o in lire. Ma quando si trasferirono in città, nell’appartamento ereditato da lui – tutto andò storto.

Vincenzo non teneva un lavoro fisso: fabbrica, mercato, officina – ma mai per molto. Maria Grazia dovette fare la tata all’asilo, giusto per piazzare i propri figli. I soldi non bastavano mai. Gli anni Novanta, la miseria, la disperazione… La casa di campagna l’avevano venduta da tempo. E il marito non perdeva occasione per ricordarle: l’appartamento era suo, e se non le andava bene – poteva pure andarsene.

Ma non aveva dove andare. Maria Grazia sopravvisse – per i figli. Dell’amore per il marito non ne restava nemmeno una traccia, solo amarezza e delusione. Col tempo, però, le cose cambiarono. Lei trovò lavoro in un ufficio del personale, iniziò a guadagnare. Vincenzo si arrangiava con un’officina. I soldi per mangiare c’erano, ma la felicità no.

Quando Andrea andò all’università e Stefania aveva appena quattordici anni, Vincenzo se ne andò. Infarto. Maria Grazia pianse, certo – ma senza tragedia. Per lei rimase sempre uno straniero. Lo seppellì e restò sola con i figli. A quarantacinque anni, si sentiva già vecchia. Niente amore, niente sogni, niente speranze.

Si immerse nei figli. Non si intromise nelle loro vite, non fece domande indiscrete. Lei sapeva com’era vivere con chi non si ama. Nemmeno chiese i nipoti – sapeva che tutto viene a suo tempo. Ma quando sia Andrea che Stefania trovarono l’amore, si sposarono, e le regalarono i nipotini – il suo cuore si riempì di vera gioia.

I figli si prendevano cura di lei, e lei spesso badava ai bambini. Con i soldi della famiglia, le comprarono una casetta al mare, e Maria Grazia ci passava ogni estate con i nipoti, nella quiete più totale.

La vita era diventata una routine. Senza passioni, senza emozioni. E Maria Grazia si era rassegnata all’idea di aver perso da tempo la sua felicità femminile. Provava a ricordare qualcosa di bello del matrimonio – ma non ci riusciva. Perché, in fondo, si era sposata senza amore…

Poi arrivò quel giorno. Tornavano dalla casa al mare. L’autobus si ruppe. Il sole bruciava, i bambini piagnucolavano. Maria Grazia stava per chiamare il figlio, quando si fermò una macchina.

Al volante – un uomo della sua età. Abbassò il finestrino, guardò l’autobus e chiese:

“Guasto?”

“Sì, purtroppo… Che caldo terribile.”

“Avete bambini con voi?”

“Sì. Stavo per chiamare perché ci venissero a prendere.”

“Andate in città?”

“Sì…”

“Vi porto io. Non discutete, su. Non restiamo qui sotto il sole.”

All’inizio Maria Grazia stava per rifiutare, ma poi annuì – e fece bene. L’uomo si chiamava Romano. Anche lui tornava dal mare, ma aveva la macchina. Durante il viaggio chiacchierarono. Era vedovo, anche lui con nipoti, lavorava come ingegnere e si gestiva tutto da solo.

Maria Grazia sentì qualcosa che non aveva mai provato. Eccitazione. Imbarazzo. Forse quelle famose farfalle nello stomaco di cui leggeva nei libri, ma in cui non aveva mai creduto.

Arrivati a casa, visto il peso delle borse, Romano aiutò a portarle su. Maria Grazia lo invitò per un caffè. I bambini giocavano in camera, mentre gli adulti parlavano in cucina. Della vita, del passato, dei figli. Il tempo volò. Solo quando arrivò il figlio a prendere i nipotini, Maria Grazia capì quanto fosse passato in fretta. Romano salutò con imbarazzo e se ne andò. E… non si scambiarono i numeri.

Se ne accorse quando rimase sola. Il cuore le si strinse per una malinconia improvvisa. Si vergognò persino – ma come, a questa età… E se lui era stato solo gentile? Se non lo avesse più rivisto?

Passarono giorni. Maria Grazia cercava di convincersi a dimenticare. Dopotutto, era stata una coincidenza. Ma una sera, mentre si preparava il caffè e accendeva la tv per la sua serie preferita, suonò il campanello.

Sulla soglia c’era Romano. Con un mazzo di gladioli e una scatola di pasticcini.

“Scusate se mi presento così… Ma non ho preso il vostro numero. E non riuscivo a dimenticarvi.”

Maria Grazia lo guardò e sorrise tra le lacrime.

“Che gioia rivedervi.”

E anche se aveva quasi sessant’anni. Anche se i capelli erano grigi e le ginocchia facevano male la sera. Per la prima volta nella vita, si sentì una vera donna – desiderata, importante, amata.

Succede così. Quando l’autobus si rompe, e il cuore – invece – si riaccende. Quando la vita, dopo tanto dolore e delusioni, ti regala una possibilità – per l’amore. Quello vero, maturo, quieto come una sera d’estate.

E se pensate che sia tutto finito – aspettate. La cosa più bella potrebbe essere ancora davanti a voi.

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Quando l’autobus si rompe, la vita inizia a funzionare