Quando le cose non sono come sembrano

Quando tutto non è come sembra

Elena tornava dal lavoro sull’autobus, con la testa appoggiata al finestrino. Gocce di pioggia scivolavano sul vetro, rendendo il mondo fuori confuso e distorto, quasi irreale. «Proprio come la mia vita. Il futuro è sfocato, incomprensibile. E fa un po’ paura.» Chiuse gli occhi. Sotto le ciglia brillarono lacrime.

“Eh, i giovani. Seduti come se nessuno esistesse intorno. E gli anziani in piedi,” risuonò sopra di lei una voce carica di disapprovazione e rabbia verso il mondo.

Elena aprì gli occhi e vide una donna corpulenta e austera che la fissava con uno sguardo penetrante.

“Prego, si sieda,” disse Elena, alzandosi.

“Certo che mi siedo. Se non glielo dici, non ti cedono il posto,” borbottò la donna.

Elena si infilò a fatica tra la donna e il sedile davanti. Rimasta in piedi vicino alla porta, sentì ancora i brontolii sulla gioventù maleducata. Qualche passeggero annuì, facendo coro.

«Forse la sua situazione è peggio della mia. Ecco perché è così arrabbiata», pensò Elena.

“Scendi?” chiese una voce giovane alle sue spalle.

Elena si voltò e riconobbe la sua amica del liceo, Cecilia.

“Elena! Che sorpresa, è un’eternità che non ci vediamo…”

Non fece in tempo a rispondere: le porte dell’autobus si aprirono con un sibilo, e la folla le spinse fuori.

“Che gioia rivederti,” sorrise Cecilia.

Sembrava fresca, felice. Le prese il braccio. “Non credere che ti lascerò andare senza sapere tutto di te.”

“Anch’io sono contenta,” disse Elena senza sorridere. “Ma non posso invitarti a casa mia.”

“Non importa. Vieni da me, anzi, da mia madre. Io sono sposata e vivo altrove. Sto andando a trovarla,” spiegò Cecilia mentre camminavano.

“Cecilia, davvero non posso. Un’altra volta,” Elena si fermò.

“Non voglio sentire scuse. So già che dovrei aspettare altri cent’anni per rivederti. Dai, solo mezz’ora,” supplicò Cecilia.

“Va bene, ma solo un po’,” cedette Elena.

“Hai la casa piena di bambini?”

“No. Una figlia e mio marito.”

“Ah, meno male. Figlia e marito possono aspettare,” disse decisa Cecilia, trascinandola oltre casa sua, verso un vicolo.

“Mamma, guarda chi ho portato!” annunciò trionfante Cecilia.

La madre, vedendo Elena, batté le mani con gioia. Al liceo erano state inseparabili. Dopo la scuola, Cecilia aveva insistito per incontrarsi, ma Elena era sempre occupata.

Si era innamorata perdutamente. Ogni giorno ascoltava i moniti di sua madre: “Che ci trovi in lui? Un pugile. Che lavoro è quello? Rompersi il naso a pugni? E poi l’invalidità… Pensa, Elena…”

La madre di Cecilia iniziò a preparare il tè.

“Mamma, lasciaci parlare,” chiese Cecilia.

“Certo, capisco.” Uscì dalla cucina.

“Ora raccontami. Ho capito subito che hai problemi. Parla, forse posso aiutarti.”

Elena non voleva aprirsi, ma lo sguardo sincero di Cecilia la convinse.

“Allora, hai sposato quel Giorgio di cui eri pazza?”

“Sì. Litigavo sempre con mamma per lui. Mi prendeva sempre come esempio te. Diceva che avresti avuto successo perché pratica e intelligente. A me invece diceva che ero una ragazza romantica, un’eroina da romanzo,” disse Elena senza rancore.

“Tipico di tua madre,” sorrise Cecilia. “Insegna ancora a scuola?”

“Sì,” finalmente Elena sorrise.

Cecilia era bionda, slanciata, con lineamenti impeccabili. Elena, invece, aveva un viso rotondo, capelli castani mossi e uno sguardo ingenuo. Una romantica convinta, pronta a sacrificarsi per l’amore. Ma ora sembrava stanca, smagrita, lo sguardo spento.

“All’inizio tutto andava bene, ma durante le selezioni per il campionato italiano, Giorgio si è lesionato la testa. Poi l’ictus…” Elena scosse la mano. “I medici non davano speranze. Fine della carriera. Io ero già incinta. Non so come ho fatto a non perdere il bambino.”

Dopo il parto, con la bambina in braccio, si prese cura di Giorgio. Senza sua madre, non ce l’avrebbe fatta. Vendettero l’auto per pagare le cure. Tornò a lavoro dopo sei mesi, sua madre badava alla piccola. Ora ha cinque anni. È identica a Giorgio.

Ci vollero anni per la riabilitazione. Elena non sperava nemmeno più che potesse camminare. Ma ce la fece. Il pugilato però era finito. Lui non sapeva fare altro. Ogni lavoro era sbagliato, mancava l’esperienza, lo rifiutavano per le ferite. Si chiuse in sé, irritabile. Solo con la figlia si scioglieva… Elena si voltò per nascondere le lacrime.

“Con il lavoro posso aiutarti.” Cecilia le coprì la mano con la sua. “Anzi, no, stasera parlo con mio marito. Non è un magnate, ma ha una sua azienda. Giorgio potrebbe fare la guardia giurata. Non ti preoccupare, amica mia,” la rassicurò.

“Grazie, Cecilia. Che fortuna averti incontrata. Ma devo andare. Giorgio si preoccupa se torno tardi. Ha paura che lo lasci.”

“Scambiamoci i numeri. Ti chiamo domani. Paolo mi vuole bene, non mi negherà questo favore,” sorrise Cecilia.

“Mamma aveva ragione, sei davvero in gamba. Io rimprovero Giorgio, e poi mi metto a piangere,” la abbracciò Elena.

“Ma smettila. Anche per te tutto si sistemerà. Sai cosa si dice? Non importa come inizi, ma come finisci.”

A casa, Elena non disse nulla a Giorgio per non illuderlo. Cecilia chiamò solo tre giorni dopo, quando Elena aveva perso la speranza.

“Sono io. Ciao,” la voce allegra di Cecilia. “Ho parlato con Paolo, è disposto a assumere Giorgio come guardia. Ma vuole conoscerlo di persona. Capisci, dopo certi traumi… Scusa se sono diretta.”

“Capisco,” rispose Elena, sollevata che almeno non avesse rifiutato subito.

“Domani alle tre in ufficio. Vestito elegante. Rasato, pulito. E niente alcol oggi. Paolo non lo sopporta.”

“Giorgio non beve,” si offese Elena.

“Scusa, volevo solo avvisare.”

Elena riferì a Giorgio, omettendo la parte sull’alcol per non offenderlo.

Il giorno dopo, Giorgio andò all’incontro in giacca e cravatta. Elena era agitata, il telefono sempre in mano. Quando lui chiamò per dirle che l’avevano assunto, esultò. Aveva davvero temuto che cercasse conforto nella bottiglia, anche se non lo ammetteva.

Giorgio iniziò a guadagnare bene, e Elena rivedeva in lui l’uomo sicuro di un tempo. Due mesi di serenità. Sembrava che la vita fosse tornata normale.

Poi Paolo licenziò il suo autista e propose a Giorgio di sostituirlo. Patente ce l’aveva, era capace.

Dopo una settimana, Giorgio tornava tardi, cupo. Risposte secche alle domande di Elena. Finché una sera arrivò con le nocche della mano destra sbucciate.

“Ti sei azzuffato?” chiese Elena spaventata.

“Sì, sono una guardia. Non preoccuparti.”

Due ore dopo, Cecilia chiamò, senza preamboli:

“Vi ho aiutati, e Giorgio ha ripagato picchiando mio marito.”

“Spiegami cos’è successo”È stato Paolo a cercare di aggredirmi prima, ma io ho solo difeso una ragazza che lui molestava in un ristorante,” rispose Giorgio, mentre la verità finalmente veniva alla luce, cambiando per sempre le loro vite.

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