Quando mia suocera venne a sapere che intendevamo comprare un appartamento, prese mio marito da parte per “una chiacchierata”. Quello che accadde dopo mi sconvolse nel profondo.
Io e mio marito, Luca, avevamo risparmiato a lungo per una casa nostra. Lavoravo per unazienda internazionale stabile, guadagnavo il doppio di lui, ma in famiglia tutto era condivisobilancio comune, obiettivi comuni. Il sogno di un appartamento ci univa, e sembrava che nulla potesse fermarci. Fino a quando la sua famiglia non ne venne a conoscenza.
Luca aveva quattro sorelle. In quella famiglia, un uomo non era solo un fratelloera il sostegno, il finanziatore, il risolutore di ogni problema. Fin dalladolescenza, le aveva aiutate tuttepagando gli studi, comprando telefoni, o “prestando” soldi fino allo stipendio, soldi che non erano mai tornati indietro. Avevo visto tutto, avevo taciuto, sopportato. Capivoerano parenti, bisogna aiutare. Anche io mandavo qualcosa ai miei genitori, a volte. Ma a causa di questi “aiuti”, il nostro percorso verso un appartamento si era allungato di quasi tre anni.
Finalmente, quando avevamo messo da parte la somma necessaria, cominciammo a cercare. Mi occupai io delle ricerchelui era impegnato col lavoro, tornava tardi. Ero felice di poter organizzare tutto, di scegliere la soluzione migliore, perché volevo davvero fare le cose per il nostro bene.
Un giorno, sua madre ci invitò a una festala figlia più piccola finiva il liceo. Andammo, cenammo, e a tavola, improvvisamente, mia suocera iniziò a parlare:
“Spero che presto mio figlio si trasferirà nel suo appartamento Sono stanca di venire sempre da voi,” disse sorridendo.
E allora Luca, orgoglioso, annunciò che stavamo già cercando e che mi occupavo io della scelta.
Se aveste visto come le si cambiò lespressione in un attimo. Il sorriso svanì. Mi squadrò con uno sguardo pesante e disse con voce fredda:
“Certamente, è bello Ma, figlio mio, avresti dovuto consultarmi. Io ho vissuto, so meglio. Hai lasciato che tua moglie si occupasse di una cosa simile senza il mio consiglio?”
E la sorella maggiore la sostenne:
“Esatto. Tua moglie è egoista. Pensa solo a se stessa. Non ci ha dato un euro. Il suo appartamento è più importante della famiglia!”
Rischiai di soffocare dallo shock. Mi venne da dire tutto quello che pensavoche se avevano bisogno di soldi, potevano andare a lavorare. Ma tacqui. Continuai a mangiare, senza intervenire. Ero troppo scioccata. Non mi aspettavo un colpo del genere a tavola.
Poi mia suocera si alzò, prese Luca per mano e lo trascinò in cucina. “Dobbiamo parlare,” disse mentre se ne andava. E a tavola, una delle sorelle commentò:
“Noi e nostro fratello vivremo nel suo nuovo appartamento. Avremo una stanza anche noi.”
Sentii il sangue pulsarmi nelle tempie. Non ce la feci più, mi alzai e andai nellingresso. Non dovetti neanche prendere le mie cosechiamai un taxi e me ne andai.
Quella sera, a casa, cercai di parlare con Luca. Ma era un altro uomo. Rimase in silenzio, poi disse allimprovviso:
“Dobbiamo divorziare.”
“Cosa?”
“È meglio così. Devo pensare alla mia famiglia alla mia vera famiglia.”
Il giorno dopo prese le sue cose e se ne andò. Dopo due settimane mi chiamò e chiese “la metà” dei nostri risparmi. Gliela diedi. Senza litigi. Senza umiliazioni. Senza lacrime. Tirai semplicemente una linea.
Qualche mese dopo, comprai un appartamento. A mio nome. Con i miei soldi. Sì, è stato difficile, sì, ho dovuto rinunciare a molte cose, ma ce lho fatta. Lui, come scoprii poi, era rimasto a casa di sua madre. Le sorelle, ovviamente, si erano già spartite la “sua parte”: una parte prestata, unaltra chiesta, unaltra strappata. Non era rimasto nulla del suo sogno di un appartamento.
Ma questa non è più la mia storia. La mia storia è una lezione. La lezione che se un uomo non si stacca dalla sua famiglia, non sarà mai davvero tuo. Che se permette ad altri di controllare le vostre decisioni, non cè più una famiglia. E che né i soldi né i compromessi salvano un legame in cui tu costruisci e gli altri distruggono.




