Quando scopre l’eredità della casa, caccia la madre: perché il figlio la restituisce alla sorella che l’ha abbandonata.

A volte sembra che l’amore dei figli per la madre sia una verità incondizionata, solida come una roccia. Ma arriva il giorno in cui quella roccia si incrina, sotto il peso delle circostanze, dell’egoismo e del crudele disinteresse. È esattamente ciò che accadde nella famiglia di Bianca e Marco, dove tutto iniziò con una malattia e finì con tradimento e dolore.

Quando la loro anziana madre, Maria Grazia, ebbe un ictus, i primi a cui si rivolsero per aiuto furono i suoi figli. La figlia maggiore, Bianca, nonostante un lavoro stabile e una figlia già adulta, rifiutò immediatamente di prendere la madre con sé. Disse di vivere in un monolocale, di non avere spazio, né tempo, e di non sentirsi “capace di sopportare una tale responsabilità”.

Allora Marco, il figlio minore, senza esitare, portò la madre nel suo bilocale a Pisa. Sua moglie, Elena, non oppose resistenza—anzi, si impegnò ad aiutare. All’inizio fu difficile: Maria Grazia era costretta a letto, incapace di parlare, bisognosa di cure continue. Marco propose alla sorella di dividere le spese per una badante, ma Bianca rifiutò categoricamente—aveva un mutuo, debiti, e la figlia all’università.

“Scusa, Marco, ma davvero non posso,” fu tutto quello che disse.

Elena si fece avanti. Lasciò il lavoro e si prese cura della suocera. La lavava, la nutriva con un cucchiaino, le faceva le iniezioni, cambiava le lenzuola. Grazie alle sue attenzioni, Maria Grazia migliorò lentamente. Ricominciò a parlare, a muoversi, persino ad aiutare con le faccende domestiche. E quando arrivò il momento in cui avrebbe potuto tornare a casa, fu lei a chiedere:

“Marco, vorrei restare con voi. Qui mi sento tranquilla, i nipoti sono vicini, e tu ed Elena siete la mia famiglia.”

Marco ed Elena si scambiarono un’occhiata e accettarono. L’appartamento vuoto di Maria Grazia, nel centro di Firenze, rimase intatto—lei stessa non insistette per venderlo. Tutto sarebbe andato bene… finché Marco non udì per caso una telefonata tra sua madre e Bianca.

“Bianchina, ho deciso. Venderò il mio appartamento e salderò il resto del tuo mutuo. Tu e Valentina meritate tranquillità. E forse avanzerà qualcosa per una piccola casa al mare—per te e tua figlia.”

Quelle parole trafissero Marco come un coltello. Non poteva credere alle sue orecchie. Quella che per tre anni non si era preoccupata di loro madre avrebbe avuto tutto? E lui? La sua famiglia? Dov’era la giustizia?

“Mamma, sai quanto abbiamo speso per aiutarti a riprenderti? Quante notti insonni ha passato Elena? E tu vuoi dare tutto a Bianca, che non ha nemmeno pagato per una badante?” le chiese quella sera.

Ma Maria Grazia si limitò a sospirare:

“Marco, Bianca ha più difficoltà, voi ed Elena siete forti…”

Quelle parole lo finirono. Quella stessa notte, senza trattenersi, preparò in silenzio le valigie di sua madre e le portò da Bianca. Le lasciò davanti alla porta, suonò il campanello e se ne andò.

“Se vuoi dividere l’eredità, dividi anche le responsabilità,” scrisse brevissimo a sua sorella.

Il mattino dopo, Elena pianse a lungo. Ma, diversamente dal marito, non era arrabbiata. Le faceva solo male: tre anni di vita, tre anni di dedizione fisica e morale, e in cambio solo indifferenza e tradimento.

Marco non lo nasconde: forse ha agito d’impulso. Ma se la giustizia non c’è nel cuore di una madre, forse esiste negli occhi di una figlia? Si chiede: un figlio deve sempre essere forte e paziente se i suoi gesti sinceri non vengono apprezzati?

A volte i figli amano davvero. Fino a quando non scoprono a chi andrà l’appartamento.

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