— E allora, dove sono? — Giovanna sbircia nervosamente in cucina, poi in salotto. Niente. La casa era avvolta in un silenzio insolito e inquietante.
Tutta la mattina era stata un inferno. La madre — severa, testarda, con uno sguardo pesante e una lista infinita di rimproveri. Il marito — chiuso, irritato, sordo a ogni richiesta. Avevano accettato di vivere con la madre “per una settimana”. Era passata una settimana. Ora era la terza.
— Mamma! Alessio! — chiamò a voce alta. Nessuna risposta. Il cuore le fece un balzo.
Indossò in fretta la giacca e corse verso il garage. Lì si nascondeva sempre suo marito, intento a restaurare vecchi mobili, soffocato dalla routine. La porta era socchiusa e da dentro provenivano voci.
— Se prepari bene la superficie, la vernice si stenderà uniformemente — diceva la madre. La sua voce era morbida, quasi affettuosa.
— Io di solito diluisco il primo strato — rispose Alessio. — Così il legno assorbe meglio.
Giovanna si bloccò sulla soglia, come se temesse di rompere quell’armonia fragile. Davanti a lei, l’impensabile: sua madre e suo marito, sempre in disaccordo, seduti allo stesso tavolo e intenti a restaurare una vecchia cornice di specchio. La madre aveva un grembiule macchiato di vernice, Alessio teneva in mano un pennello e una carta vetrata.
— Questa sì che è una sorpresa — sussurrò Giovanna, sedendosi in un angolo a osservare.
Poche settimane prima aveva insistito: la madre doveva trasferirsi. Nella casa di riposo dove viveva dopo la morte del padre, stavano facendo lavori di ristrutturazione. Avevano promesso uno spostamento temporaneo. Ma la madre aveva detto secca: “Preferisco venire da mia figlia. Aiuterò e non sarò un peso”.
Alessio non ne era felice. Non aveva mai nascosto che i rapporti con la suocera erano difficili. Troppo diversi. Lei — rigida, esigente, con idee inflessibili. Lui — pacato, ma rancoroso.
Dal primo giorno erano iniziati i litigi: le forchette nel posto sbagliato, le camicie stese male, la porta sbattuta troppo forte. La sera, Giovanna ascoltava i loro giudizi silenziosi. Due persone forti, caparbie, abituate a comandare — sotto lo stesso tetto.
Temeva che il matrimonio non avrebbe retto.
Ma ora, eccoli lì, seduti insieme. La madre, a quanto pare, aveva lavorato tutta la vita in una falegnameria. E Alessio — un restauratore autodidatta che aveva sempre sognato di incontrare un professionista.
— Hai una mano precisa — disse lui. — Non tutti i maestri sanno fare così.
— E tu hai talento — rispose la madre. — Hai buon occhio.
Poi insieme prepararono il caffè, tirarono fuori da una vecchia scatola un barattolo di marmellata, e Giovanna non resistette:
— Avete sostituito mia madre?
La madre sbuffò:
— Prima non avevamo di che parlare. Ora abbiamo un progetto in comune. Credevo fosse un incapace, invece guarda come lavora il legno!
Alessio rise:
— Io pensavo che mi odiasse.
— Odio la stupidità. Ma tu, a quanto pare, non sei stupido.
Giovanna li guardò in silenzio. Poi sorrise.
Quella notte, rientrando a casa, sentì Alessio sussurrarle:
— Grazie che tua madre è qui. Non credevo che avremmo trovato un modo per andare d’accordo.
E la mattina dopo, la madre annunciò:
— Ho deciso. Non torno alla casa di riposo. Rimango qui. Vi aiuterò ad aprire una bottega.
Giovanna non obiettò. Quando due persone che faticavano persino a guardarsi, iniziano a capirsi, apprezzarsi e collaborare — non è una catastrofe. È un miracolo.
E forse, in quella casa, tornerà la serenità. Anzi, il calore.