— Enzo, per favore, potresti passare a prendere il pane? — La voce di Valentina Rossini tremava come il vetro sotto i piedi. — C’è ghiaccio per strada, ho paura di cadere…
— Mamma, ma stai scherzando? — Alessandro alzò gli occhi al cielo senza alzarsi dal divano. — Sono appena tornato dal turno di notte. Io e Giulia stavamo per guardare un film. Vuoi che riposi un po’, no?
— Figlio mio… davvero non ce la faccio… — sussurrò, stringendo il telefono.
— Mamma, ma sei rimasta all’epoca dei dinosauri! C’è la spesa a domicilio, le app, tutto fatto per te! Impara a usarle!
— Mi confondo con ‘sti telefoni… Potresti ordinare tu?
— Sono in macchina, non posso parlare. Chiedi a Beatrice.
— L’ho già fatto… Ha una riunione.
— Va bene, — borbottò Alessandro. — Quando torno a casa, ti chiamo. Dimmi cosa comprare.
— Grazie, aspetto, — sussurrò Valentina. Ma dopo un’ora, poi due, nessuna chiamata. Provò lei stessa — squilli e silenzio. Alla fine, il vicino, Sergio Marini, le salvò la situazione: ordinò tutto online e le aiutò a sistemare la spesa.
Mentre metteva via i sacchetti, Valentina sentiva un peso sul cuore. Perché questa vita? Perché, quando aveva bisogno, non c’era nessuno di quelli per cui aveva vissuto?
Era stata una brava madre. Rimasta vedova quando Alessandro aveva sedici anni e Beatrice undici. Li aveva cresciuti da sola. Lavorava come contabile di giorno e come addetta alle pulizie di notte. Sua madre e sua suocera l’avevano aiutata, finché non se ne erano andate — e tutto era ricaduto su di lei.
L’appartamento del nonno? A Beatrice. Quello della nonna? Ad Alessandro. A lei? Niente. Tutto ai figli. Università, matrimoni, nipoti — tutto sulle sue spalle. E non si era mai lamentata. Pensava: *Almeno loro avranno un futuro. Loro staranno bene.*
Li aveva portati a lezioni di musica, li aveva aiutati con i compiti, aveva lavato, cucinato, fatto la spesa, preparato brodi per i malanni. E ora? Era diventata invisibile. Uno sfondo. Come una mensola in cucina: c’è, ma nessuno la nota.
Se Beatrice chiedeva di badare al cane, Valentina lo portava a passeggio con la pioggia e il gelo. Se Alessandro le lasciava il nipotino nel weekend, lei non dormiva la notte. E non chiedeva mai nulla in cambio.
Ma quando si ammalava, erano Sergio Marini a portarle le medicine. I figli venivano in ospedale per dieci minuti. Beatrice storceva il naso:
— Mamma, sai, io ho paura degli ospedali…
— Nessuno li ama, cara…
— Fatti curare, poi ci sentiamo.
Alessandro se ne andava in fretta: «Giulia è stanca, devo aiutare con il bambino». Niente abbracci, niente tempo insieme. Niente.
E oggi… Il ghiaccio che scricchiolava sotto i piedi le ricordò una verità: stava invecchiando. E se fosse caduta? Nessuno sarebbe arrivato. Nessuno.
Poi le venne in mente quell’estate. Aveva trent’anni. Alessandro era piccolo, Beatrice non era ancora nata. Un sanitario in Liguria. Caldo, silenzio, nessuno che la chiamava. Allora non c’erano i cellulari. Solo lei e il mare. Allora era felice.
Quasi trent’anni dopo…
Non aveva più vissuto per se stessa.
Quella sera, a letto, si chiese: cosa la tratteneva? I figli erano grandi, indipendenti. Nessuna gratitudine, nessun affetto. Solo richieste. E lei? Non era una persona anche lei?
La mattina dopo si alzò, preparò il caffè, prese un quaderno e scrisse: «Vendere l’appartamento. Comprare una casa al mare. Vivere per me».
Trovare un agente immobiliare fu facile — un’amica le diede un contatto. L’appartamento si vendette in un mese. I soldi sul conto. Tutto sistemato.
Quando fu tutto pronto, chiamò i figli.
— Che succede? — sbuffò Alessandro. — Sono appena tornato dal lavoro.
— Mamma, ho un appuntamento con una collega. È urgente?
— Sì. Devo dirvi una cosa.
— Allora sbrigati, — borbottò Beatrice. — Ho una riunione. Ah, e questo weekend ti portiamo Fido.
— No, non potete, — rispose dolcemente Valentina.
— Perché no?
— Me ne vado.
— Dove?! — dissero insieme.
— A Rimini. Ho comprato una casa al mare. Andrò a vivere lì.
Silenzio. Poi Alessandro scoppiò a ridere:
— Mamma, ma sei fuori? Con che soldi?
— Ho venduto l’appartamento.
— COPPO?! — urlò Beatrice. — Senza consultarci? Senza dirci niente?
— Siete sempre occupati. Non avete tempo per me.
— E come farai lì? Da sola?
— Me la caverò. Ora ho tutto mio. La mia casa, il mio mare, la mia vita.
— Mamma, non hai pensato a noi? — strillò Beatrice. — Pensavamo che l’appartamento sarebbe stato nostro!
— Anch’io pensavo che voi sareste stati il mio sostegno. Mi sbagliavo. Basta, figlioli. Vi amo. Ma ora scelgo me stessa.
Se ne andarono. Arrabbiati, scioccati. Lei rimase lì — sola. Ma per la prima volta in trent’anni, quel «sola» non faceva paura. Era libertà.
Una settimana dopo, era sulla veranda della sua nuova casa, respirava l’aria salmastra e accarezzava il davanzale. Caldo. Silenzio. Libertà.
A volte, per tornare a vivere, basta allontanarsi. Da chi non ti apprezza. Da chi non ti guarda. E tornare a se stessi. Al mare. Alla vita.