Quel giorno in cui riportai mia suocera a casa del mio marito infedele e della sua amante con parole che li lasciarono senza fiato” 4 min di lettura

Il giorno in cui riportai mia suocera a casa di mio marito infedele e della sua amante, con parole che li lasciarono senza fiato.

Marco e io eravamo sposati da sette anni. Dal giorno stesso del nostro matrimonio, avevo accettato di vivere con mia suocera, la signora Rosa, una donna che aveva avuto un ictus, era paralizzata da un lato e aveva bisogno di cure costanti per ogni pasto e ogni pisolino. Allinizio, credevo sarebbe stato semplice: lei era mia suocera, io sua nuora, e prendermi cura di lei era semplicemente il mio dovere.

Ma non avrei mai immaginato che il peso di quella responsabilità sarebbe durato così a lungo e la cosa più difficile era che veniva dallunica persona che avrebbe dovuto condividerla con me: mio marito, Marco.
Marco lavorava tutto il giorno e la sera restava incollato al telefono. Spesso diceva: «Tu ti prendi cura di mamma meglio di me. Se ci provo io, soffrirà di più». Non gli serbai mai rancore per questo.

Pensavo che la vita fosse così: la moglie si occupa della casa, il marito porta a casa il pane. Ma poi scoprii che Marco non era sempre al lavoro aveva qualcun altro.

Un giorno inciampai in un messaggio: «Stasera torno da te. Stare con te è mille volte meglio che stare a casa». Non gridai, non piansi, non feci scenate.

Semplicemente chiesi a voce bassa: «E tua madre, quella che hai trascurato tutti questi anni?». Marco non disse nulla. Il giorno dopo, se ne andò di casa. Sapevo esattamente dove fosse finito.

Guardai la signora Rosa, la donna che una volta criticava ogni mio boccone, ogni mio riposino, che diceva che io «non ero degna di essere sua nuora», e un nodo mi salì in gola. Volevo lasciar perdere tutto. Ma poi mi ricordai: una persona deve sempre mantenere la propria dignità.

Una settimana dopo, chiamai Marco. «Sei libero? Ti porto tua madre perché te ne occupi tu».

Preparai le sue medicine, i referti medici e un vecchio quaderno degli appunti in una borsa di tela. Quella sera, la aiutai a sedersi sulla sedia a rotelle e le dissi dolcemente: «Mamma, ti porto a casa di Marco per qualche giorno. Stare sempre nello stesso posto annoia». Annuì, con gli occhi lucidi come quelli di una bambina.

Nel piccolo appartamento, suonai il campanello. Marco aprì la porta, e dietro di lui cera laltra donna, in un camicione di seta e con le labbra dipinte di rosso acceso. Spinsi la signora Rosa fino al salotto, sistemai coperte e cuscini, e posai la borsa delle medicine sul tavolo.

La casa profumava forte di profumo, ma era fredda e silenziosa. Marco balbettò: «Che che stai facendo?».

Sorrisi con dolcezza. «Ti ricordi? Mamma è tua. Io sono solo tua nuora. Lho accudita per sette anni basta così». La donna alle sue spalle impallidì, con un cucchiaio di yogurt che non riuscì a mandar giù.

Mi allontanai con calma, come se avessi concluso un compito a lungo pianificato. «Qui trovi la sua cartella medica, le ricette, i pannoloni, le garze e la crema per le piaghe. Ho annotato tutte le dosi sul quaderno».

Lasciai il quaderno sul tavolo e mi girai per andare via. La voce di Marco si alzò. «Stai abbandonando mia madre? È crudele!».

Mi fermai, senza voltarmi, e risposi con tono sereno e fermo:
«Tu lhai trascurata per sette anni cosè quello, se non crudeltà? Lho curata come fosse la mia famiglia, non per te, ma perché è una madre. Ora me ne vado, non per vendetta, ma perché ho fatto la mia parte come essere umano».

Mi rivolsi allaltra donna e la guardai negli occhi, sorridendo leggermente. «Se lo ami, amalo tutto intero. Questo fa parte del pacchetto».

Poi, lasciai le carte della casa sul tavolo. «La casa è solo a mio nome. Non porto via nulla. Lui ha preso solo i suoi vestiti. Ma se un giorno avrete bisogno di soldi per prendervi cura di mamma, continuerò a contribuire».

Mi chinai e accarezzai per lultima volta i capelli di mia suocera. «Mamma, fai la brava qui. Se ti senti triste, verrò a trovarti».

La signora Rosa sorrise, con la voce tremante. «Sì vieni a trovarmi quando torni a casa».

Uscii, chiudendo la porta alle mie spalle. La stanza rimase in silenzio, piena di un miscuglio di profumo e olio da massaggio. Quella notte, dormii in pace, senza sogni. La mattina dopo, mi alzai presto, portai mio figlio a fare colazione e abbracciai un nuovo inizio, senza lacrime, senza rancore.

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