Giulia stava affacciata alla finestra della cucina, masticando lentamente un pezzo di pane raffermo imburrato e osservando il cortile del vicino. La mattina era grigia, piovosa, perfettamente in sintonia con il suo umore delle ultime settimane. Dietro il vetro passò la figura familiare di signora Anna che avanzava verso l’ingresso carica di pesanti buste della spesa.
“Mamma, la tua vicina è di nuovo da sola con la spesa,” chiamò Giulia verso la stanza dove Maria, seduta al tavolo, sfogliava una rivista ingiallita. “La aiuto?”
“Che vicina? Quale vicina?” borbottò la donna senza alzare lo sguardo. “È solo un’estranea. Ha un figlio, che sia lui ad aiutarla.”
Giulia aggrottò le sopracciglia ma tacque. Ultimamente Maria si era fatta pungente come un riccio impaurito, sebbene un tempo fosse sempre la prima ad offrire aiuto a chiunque nel palazzo avesse difficoltà.
“Il figlio lavora in Germania, lo sai,” disse piano Giulia infilando il giubbotto. “Scendo al supermercato, intanto la aiuto con le buste.”
“Vai pure, nostra santa patrona,” brontolò Maria. “Hai pietà per tutti, poi ti dimentichi di me.”
Giulia si fermò sulla porta
Valeria sorseggiò il caffè, sentendo le lacrime calde scendere silenziose mentre il sole del mattino illuminava il volto di Giuditta, quella donna fragile e coraggiosa che per tutta la vita aveva scelto di chiamare “mamma”, sapendo bene che, nonostante il tempo rubato dalla malattia, ogni singola mattina trascorsa insieme era un fragile, prezioso gioiello strappato al destino.






