Quella era la nostra casa di tre vani, ma io anchio ne ero la padrona disse Ginevra, la ragazza di Andrea, mentre il figlio rimaneva lì a guardare.
Mamma, perché continui a entrare nella mia stanza senza bussare! sbottò Andrea, uscendo dal suo letto con unespressione contrariata.
Che bussare? Questa è la mia casa! rispose la signora Giovanna Bianchi, poggiando il cesto di biancheria appena steso. Ho portato la lavanda appena asciutta e lho messa qui.
Potresti prenderla direttamente dal bagno! ribatté il figlio.
Potrei, ma non lho fatto. Era rimasta lì per due giorni.
Andrea sbuffò e si chiuse di nuovo nella sua camera, la porta sbattendo dietro di sé. Giovanna Bianchi sospirò e si diresse verso la cucina per far bollire lacqua per il tè. Negli ultimi tempi il giovane era diventato irritabile, pronto a scattare per ogni cosa; prima non era così.
Era una donna di cinquantasette anni, tutta la vita dedicata al figlio. Il marito laveva lasciata quando Andrea aveva cinque anni; da allora non si era più risposata, e aveva lavorato doppiamente per assicurargli una vita senza mancanze. Aveva studiato in una buona scuola, poi alluniversità, e ora Andrea occupava una posizione rispettabile in una ditta edile.
Lappartamento, registrato a nome di Giovanna, era stato ereditato dai genitori prima del divorzio. Vivevano tutti e tre in quelle stanze: il padre in una, Andrea nellaltra, e il salotto era condiviso.
Giovanna sistemò le tazze, tirò fuori dei biscotti e, poco dopo, Andrea tornò più calmo.
Scusa, mamma, ho perso la pazienza.
Non importa. Siediti, prendiamo un tè.
Si sedette di fronte a lei, afferrò una tazza.
Mamma, devo parlarti.
Il tono di Andrea annunciava che la conversazione sarebbe stata seria.
Ti ascolto.
Vorrei che Ginevra si trasferisse da noi, nella nostra casa.
Giovanna rimase immobile, la tazza ancora in mano.
Ginevra? La tua ragazza?
Sì, già da sei mesi, lo sai bene.
Lo so, ma farla venire a vivere qui Andrea, ti sposi?
Non ancora, distolse lo sguardo. Vogliamo solo capire se stiamo bene insieme.
E dove vivrà? Nella tua stanza?
Sì.
Andrea, è scomodo. Io vivo qui, voi due siete giovani
Mamma, ho trentanni, è ora di costruirmi una vita.
Non intendo ostacolarti; penso solo che sia meglio avere unabitazione a parte. Forse affittare un appartamento.
Perché affittare, se abbiamo già tre vani? Cè spazio per tutti.
Riflettici, figlio mio. Io sono la padrona di casa e ho le mie regole. E ora arriva una ragazza estranea
Non è estranea! È la mia ragazza!
Per me è estranea ribatté fermamente Giovanna. Lho vista solo tre volte, non la conosco davvero.
Vi conoscerete quando si trasferirà.
No, scuoté la testa. Scusa, ma sono contraria.
Andrea si alzò di scatto.
Sai una cosa, mamma? Sono stufo di chiederti il permesso per ogni cosa! Sono un adulto!
In casa mia chiedi il permesso.
In casa tua replicò con un sorriso amaro. Sempre a ricordarmelo, come se fossi un inquilino, non tuo figlio.
Giovanna sentì un nodo salire in gola.
Andrea, non intendevo
Intendevi. Parleremo più tardi.
Uscì verso la sua camera, lasciandola sola sulla soglia della cucina, lo sguardo fisso fuori dalla finestra, il cuore pesante. Non voleva litigare con il figlio, ma né tantomeno accogliere una sconosciuta nella propria dimora.
Quella sera telefonò a sua sorella Ludovica.
Ludovica, ho un problema. Andrea vuole che la sua ragazza venga a vivere con noi.
Qui? Nella casa?
Sì. Io sono contraria, ma lui è offeso.
Ludovica rimase in silenzio per un attimo.
Hai pensato che ormai sia adulto? Ha bisogno di una vita privata.
Lo capisco, ma perché non affittino?
E il denaro? Laffitto ora è caro. Voi avete una casa ampia, cè spazio.
Sei dalla sua parte?
Non prendo parti. Penso solo che, prima o poi, succederà. Non può vivere da solo per sempre.
Giovanna chiuse la chiamata, sentendosi tradita anche dalla sorella.
Passarono giorni di silenzio tra madre e figlio. Andrea tornava tardi dal lavoro, cenava in silenzio e si chiudeva nella sua stanza. Il silenzio la opprimeva, ma lorgoglio non la lasciava avvicinare per primo.
Venerdì sera Andrea entrò a casa non da solo. Con lui cera Ginevra.
Mamma, ciao. Ginevra dormirà qui disse, infilandosi nella sua camera.
Giovanna rimase immobile nel corridoio, Ginevra sorrise timidamente.
Buongiorno, signora Bianchi.
Buongiorno.
La ragazza passò davanti a lui e la porta si chiuse. Giovanna, ferma nel corridoio, non sapeva che fare. Luomo aveva deciso di agire a porte chiuse, portando la ragazza senza preavviso.
Il giorno dopo, al risveglio, preparò la colazione. Dopo mezzora apparvero Andrea e Ginevra.
Buongiorno salutò la ragazza.
Buongiorno rispose Giovanna, secca.
Si sedettero al tavolo; lei servì tè e crostini, mentre tutti mangiavano in silenzio.
Signora Bianchi, la sua casa è molto accogliente osservò Ginevra.
Grazie.
Andrea mi ha detto che vive qui da tanto tempo.
Dal nascituro. Questa è la casa dei miei genitori.
Un attimo di imbarazzo. Andrea guardava il telefono, senza intervenire.
Giovanna, con lorologio ancora lontano dallinizio del turno, si alzò.
Devo andare, il lavoro mi aspetta disse, sebbene manchessero ancora due ore al suo turno.
Uscì, si cambiò e lasciò lappartamento. Non aveva dove andare, così vagò per le strade, uccidendo il tempo. Rientrò tardi, trovando la casa silenziosa; Andrea era seduto in salotto davanti alla TV.
Dovè Ginevra? chiese.
È tornata a casa.
Andò in cucina, riscaldò la cena. Andrea si avvicinò e si fermò sulla soglia.
Mamma, dobbiamo parlare. Normalmente.
Ti ascolto.
Capisco che ti senti a disagio, ma Ginevra è importante per me. Voglio che viviamo insieme.
Non mi oppongo a lei, sospirò Giovanna. Ho solo paura.
Di cosa?
Che tutto cambi. Che io diventi superflua nella mia stessa casa.
Non lo sarai. È la tua casa.
È la mia ora, ma presto arriverà lei e io sarò di troppo.
Non inventare.
Non è invenzione. So come è. I giovani vogliono stare soli, ma la madre è lì a fianco.
Andrea si sedette accanto a lei.
Facciamo così. Ginevra si sposterà, ma cercheremo di non disturbarti. Abbiamo la nostra stanza, tu la tua.
E la cucina e il bagno?
Condivisi. Ma organizzeremo gli orari.
Giovanna guardò il figlio, negli occhi una supplica.
Va bene, lasciamola trasferirsi. Proviamo.
Andrea la abbracciò.
Grazie, mamma. Non te ne pentirai.
Una settimana dopo Ginevra portò due valigie e una scatola di trucchi. Giovanna le accolse cordialmente, aiutandola a portare le cose.
Grazie, signora Bianchi sorrise Ginevra. Cercherò di non creare problemi.
Non ti preoccupare, accomodati.
I primi giorni trascorsero tranquilli; Ginevra si mostrava educata, cucinava da sola e puliva dopo. Ma presto iniziarono i piccoli attriti.
Giovanna notò che nel bagno comparvero numerose nuove bottiglie di profumo, occupando lo scaffale che lei usava.
Andrea, posso chiedere a Ginevra di sistemare un po di roba? domandò la sera. Non cè più spazio per girare.
Mamma, ha bisogno di un posto dove tenere le cose.
Che la metta nella sua stanza.
Non cè posto.
E nel bagno?
Andrea sbuffò.
Dico a Ginevra.
Ma i flaconi non sparivano; ne arrivavano di più.
Poi Giovanna scoprì che la cucina era stata riorganizzata: le tazze non erano più al solito posto, le pentole erano capovolte.
Ginevra, è stata lei a spostare tutto? chiese, cercando di mantenere la calma.
Sì, ho sistemato, rispose con un sorriso. È più comodo, vero?
A me andava meglio così comera.
Ma è più pratico così!
Giovanna rimase in silenzio, riportò tutto al suo ordine. Ginevra, la sera successiva, lo sistemò di nuovo a modo suo. Una guerra silenziosa di posate iniziò.
Andrea, parlane con lei implorò Giovanna.
Mamma, che importa dove sta la tazza?
È importante! Sono abituata!
Ginevra vuole comodità.
Questa è la mia cucina!
Ora è comune replicò Andrea, allontanandosi.
La casa diventava sempre più condivisa. Ginevra cominciò a lasciare i suoi giornali in salotto, le scarpe nellingresso, le cose sul balcone. Giovanna sentiva che la spingevano fuori dal proprio appartamento, ma taceva per non rovinare il rapporto con il figlio.
Una sera, tornando dal lavoro, trovò due ragazze sconosciute sedute al tavolo a bere caffè, a ridere ad alta voce.
Chi sono? chiese a Ginevra.
Le mie amiche. Proviamo una danza, ci serve spazio.
Avreste potuto avvisare.
E perché? alzò le sopracciglia Ginevra. È la nostra casa comune, anchio sono padrona qui.
Quelle parole colpirono Giovanna come una sberla. Rimase immobile, senza parole.
Una delle amiche le sorrise:
Entri pure nella tua camera.
Giovanna, ferma, si ritirò, si sedette sul letto, le mani tremanti per la rabbia. Padrona! pensò Una ragazza che vive qui da una settimana si crede padrona!
Il giorno dopo Andrea la chiamò in corridoio.
Devo parlarti, è urgente.
Cosa è successo?
Andiamo in cucina.
Seduti al tavolo, la porta della stanza di Ginevra era chiusa.
Andrea, oggi la tua ragazza ha portato le amiche senza avvisare.
E allora?
È la mia casa!
Mamma, ricominci a dire sempre la stessa cosa.
Non è una ripetizione, è una questione di rispetto!
Andrea alzò le spalle.
Non voleva offenderti, ha solo sbagliato modo di dire.
Sbaglio? scattò Giovanna. Lei si crede padrona nella mia casa!
Mamma, lei vive qui, perciò si sente a casa.
Ma non è casa sua!
E di chi è allora? Solo tua? Io non vivo qui, vero?
Tu vivi qui, sei mio figlio. E lei
È la mia ragazza. Voglio che si senta a suo agio.
E a me?
Andrea si alzò, infuriato.
Basta, mamma. Non vuoi che una donna sia vicino a me. Sei gelosa.
Cosa? scoppiò Giovanna. Non sono gelosa! Voglio solo rispetto nella mia dimora!
Allora rispetta anche gli altri!
Andrea uscì di corsa, lasciandola a lottare contro le lacrime.
Quel giorno chiamò nuovamente Ludovica.
Gial, ti avevo detto che sarebbe stato difficile.
Hai detto che cera spazio per tutti!
Intendevo spazio fisico. Psicologicamente è sempre duro quando entra una persona estranea.
Che devo fare?
Parla con la ragazza, spiegale ciò che ti dà fastidio.
Lei non ascolta!
Allora passa per il figlio. Fa parlare lui.
Ma Andrea sembrava schierato dalla parte di Ginevra. Giovanna si sentiva tradita.
Passarono altri giorni; Ginevra si mostrava sempre più spavalda: shorts corti, magliette, musica alta, occupava il bagno per ore. Giovanna sopportava, ma la tensione cresceva.
Il culmine arrivò sabato, quando stava preparando una focaccia. Ginevra entrò.
Giovanna, liberami il tavolo, devo mettere il laptop.
Sono occupata, come vedi.
E allora? Ho bisogno di lavorare subito.
Lavora nella tua stanza.
Andrea dorme lì, non voglio svegliarlo.
Giovanna, sto preparando la focaccia. Ho bisogno del tavolo.
Io ho bisogno del tavolo per lavorare. La focaccia può aspettare.
Un nodo si spezzò dentro Giovanna.
Non aspetterà! Questo è il mio tavolo, la mia cucina, e decido io cosa fare!
Ginevra incrociò le braccia.
Abbiamo già detto che è una casa condivisa, quindi il tavolo è condiviso.
Non è condiviso! È la mia casa, io sono la padrona! Solo io!
Come vuoi. Ginevra sorrise freddamente. Ma ricorda, sto vivendo con Andrea, tuo figlio. E prima o poi questa casa sarà nostra.
Cosa?! Giovanna impallidì.
È logico, non trovi? Non sei per sempre. Lappartamento finirà per Andrea, e quindi per me quando ci sposeremo.
Vai via! urlò Giovanna. Fuori dalla mia casa, subito!
Tu? Ginevra non sgranò nemmeno un sopracciglio.
Porti via le tue cose e vattene!
Andrea mi ha permesso di vivere qui, non tu. Non me ne andrò.
Andrea arrivò di corsa.
Che succede?
La tua madre mi sta cacciando disse Ginevra, facendo una smorfia.
Io la caccio! gridò Giovanna, il respiro affannato. Ha detto che presto la casa sarà sua!
Andrea fissò Ginevra.
Lhai detto davvero?
Solo una constatazione, rispose la ragazza. Lappartamento, un giorno, sarà tuo per eredità, è ovvio.
Ginevra, è inappropriato.
Perché? Siamo adulti.
Perché è la casa di mia madre! Finché è viva e in salute, nessuno può parlare di eredità!
Ginevra si incrinò.
Scusami, Giovanna Bianchi. Non volevoAlla fine, madre e figlio si abbracciarono, accettando che la casa fosse ancora un luogo di amore e compromesso.






